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La collezione Vaf-Stiftung al Mart

La grande ricchezza dell’arte italiana del Novecento in mostra al Mart fino al 25 novembre.

Con sconcertante franchezza Volker Feierabend, collezionista tra i più importanti al mondo di arte italiana del Novecento, nell’intervista messa in testa al catalogo che documenta il percorso espositivo al MART di Rovereto, specifica le qualità che deve avere un collezionista: deve essere alla ricerca di capolavori (anche di artisti considerati minori), essere curioso e conoscere non solo gli artisti storicizzati o sulla bocca del grande pubblico (sempre gli stessi che girano per i musei del mondo - vedi gli artisti dell’Arte Povera o della Transavanguardia), ma anche di quegli artisti che nel silenzio dei loro studi avevano creato (ed alcuni di essi continuano a creare) opere di alta poesia (arte cinetica, pittura analitica, etc. sconosciute ai più), poter prestare a lungo termine le opere senza il pensiero fisso della supervalutazione dell’opera dopo il prestito...

Luigi Veronesi, “Composizione n. 1” (1938).

Ovviamente, dopo l’ubriacatura della collezione Phillips, il visitatore, passando al piano superiore dove è allestito il percorso della Fondazione in questione, dovrà fare i conti con l’alta qualità della scelta e concedersi del tempo: suggerisco una visita a tutte le classi V delle scuole superiori per il quadro ampio di investigazione dei movimenti più importanti del secolo.

Inutile quindi accennare alle sale dedicate alle Avanguardie, ma il vortice di linee colorate di Profumo di Luigi Russolo, l’aria da teatrino de Il gobbo e la sua ombra del 1917 di Depero che ritroveremo in quelli più noti (?) di Fausto Melotti, l’assoluta semplicità dei materiali quando ci si appresta a compiere un Viaggio (1933) in compagnia di Bruno Munari o dei racconti minimi nello Stato d’animo plastico marino del 1937 di Enrico Prampolini (da confrontare con gli objets trouvés di marca surrealista di Joseph Cornell degli stessi anni, non possono passare inosservati, opere di piccolo formato ma ricchissime di poesia.

E’ da grande collezionista scegliere l’opera di Filippo de Pisis Natura morta con quadro di de Chirico dove dialogano sullo stesso piano una conchiglia, un rametto di ulivo e i motivi del mito classico cari a de Chirico, e l’altro straordinario Gobbo, questa volta alla finestra, (del 1938 di Ottone Rosai), il cui livore nei confronti del mondo assume quasi i caratteri di un’anamorfosi.

E così si arriva ai grandi capolavori dell’Astrazione degli Anni ‘30 con Alberto Magnelli, Mauro Reggiani e le superbe Composizioni di Luigi Veronesi che troveranno sviluppi inediti ad esempio con le Astrazioni plastiche di Prampolini o la messa al centro della superficie che diventa il luogo di sperimentazioni, di incontri e scontri di geometrie (Mario Nigro), di deposito di materiali pittorici finora mai utilizzati come sabbie, carte stropicciate, cinghie, bende (Salvatore Scarpitta) o manifesti strappati (Mimmo Rotella)..., superficie che non è necessariamente una tela ma un piano di cemento (vedi le Terre di Giuseppe Uncini), e di prove e tensioni inenarrabili.

Bonalumi feconda la tela con le sue estroflessioni, Dadamaino invece asporta come un chirurgo o più tardi con lievi variazioni cromatiche proverà a creare dei cortocircuiti della visione, ma siamo già dopo la stagione dell’Informale.

Con gli Anni ‘60 si sentirà il bisogno di ripartire dalla geometria e dalla purezza della linea e del colore per dare spazio ai Silenzi (così si chiameranno alcuni lavori di Antonio Calderara), alle campiture tonali di Arturo Bonfanti, ad una più ricercata sapienza ritmica (Claudio Verna, Giorgio Griffa) o ad una più acuta sensibilità tattile come nelle opere di Claudio Olivieri, opere bellissime che danno la misura di una grande dimenticanza dal punto di vista storiografico di fronte alla grande saggezza del collezionista. In finale altre emozione dalle sculture di Arcangelo e dalla visionaria possibilità di ridisegnare il mondo nelle opere di Marco Tirelli.

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