Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 17, 15 ottobre 2005 Cover story

La scuola trentina di Salvaterra ritorna al modello Moratti

L’abbandono dell’istruzione tecnica, la discontinuità nei cicli scolastici, l’occhio di favore verso la scuola cattolica: tutti i punti (anche fortemente) negativi della riforma scolastica, prima abbandonati, poi ripresi dall’assessore Salvaterra. Con il che il Trentino diventa la regione più “morattiana” d’Italia. Perchè mai?

Lucia Coppola

Anche quest’anno scolastico, purtroppo come i precedenti, è iniziato all’insegna dell’incertezza e del disorientamento, a prescindere dal fatto che sul piano organizzativo le cose in qualche modo funzionino.

Ma sappiamo bene che anche in un sistema relativamente protetto e strutturato come il nostro, dentro le belle cornici dorate della nostra autonomia, possono affiorare questioni di fondo troppo sfumate e incerte per farne un’opera d’arte compiuta. E’ quello che sta accadendo alla scuola trentina e ciò anche a seguito della Legge Quadro presentata dall’assessore Tiziano Salvaterra, salutata inizialmente con soddisfazione per il suo intento di mettere ordine nella complessità del sistema scolastico e delle sue norme, sempre in bilico tra l’autonomia dal nazionale e le competenze reali, che in molti casi non sono primarie ma concorrenti allo stesso.

Già negli anni passati, peraltro, è accaduto che il Trentino abbia usato l’autonomia in modo autolesionista, diventando più realista del re, o meglio della regina (Moratti) con l’applicazione anticipata (ricordate l’accordo MIUR- PAT sottoscritto dall’ineffabile presidente del Consiglio provinciale Lorenzo Dellai?) di normative, in particolare la legge 53, sulle quali si era acceso un intenso dibattito a livello nazionale. Le stesse normative che di fatto, negli anni, non sono state applicate, perché insostenibili dal punto di vista finanziario, didattico-educativo e sociale, ma anche grazie alla mobilitazione degli insegnanti, dei genitori, degli studenti e di dirigenti avveduti.

Si è cercato di fare del buon senso l’arma vincente, di fronte alla sprovvedutezza di certe trovate, più consone ad un’azienda che alla scuola italiana, certamente più avanzata, dialettica, vivace e colta di chi voleva riformarla.

Ciò ha significato il salvataggio in extremis della scuola a tempo pieno, tenacemente difesa, e la mancata introduzione del "tutor" (un insegnante con funzione prevalente che disattendeva la pari dignità della funzione docente), almeno finché la questione non si fosse chiarita a livello contrattuale.

Anche nei confronti del "portfolio", una sorta di documento che dovrebbe accompagnare gli alunni dalla scuola elementare sino all’entrata nel mondo del lavoro, c’è stata recentemente una significativa presa di posizione da parte del garante della privacy, tesa ad evitare che questo strumento si trasformi in una intollerabile ingerenza nella vita dei bambini/studenti e in una sorta di schedatura che, ben lungi dall’essere un incentivo alla conoscenza e all’auto-consapevolezza di competenze e punti di forza, rischia di diventare una insopportabile gabbia dalla quale può diventare difficile liberarsi.

Insomma, le ombre erano infinitamente più significative delle luci e il disorientamento non ha mancato di creare confusione, difficoltà e tensione nelle scuole, mettendo in luce molta fragilità a livello istituzionale e di governo.

A tutto questo ha fortunatamente fatto da controcanto una solida assunzione di responsabilità da parte di chi la scuola la fa e la vive tutti i giorni, con passione e professionalità, con sicurezza dal punto di vista della didattica (anche a seguito di anni di proficuo aggiornamento), ma anche della democrazia e dei diritti acquisti sia in campo sindacale che in quello della partecipazione alle scelte.

In questo quadro estremamente delicato e di riequilibri appena abbozzati si è inserito il disegno di legge Salvaterra che, dopo un’intensa fase interlocutoria riguardante la prima stesura della bozza, si è ripresentato a settembre con incomprensibili aggiustamenti all’insegna di una ritrovata condivisione con la signora Moratti. La quale ha così potuto, per la seconda volta nel volgere di pochi anni, presentarsi ad una trasmissione televisiva citando il Trentino, con il suo governo di centro-sinistra, come il laboratorio di sperimentazione della sua osteggiata riforma. L’unico. Strano a dirsi ma è così.

Che cos’era successo durante l’estate? Non lo sapremo mai. Di certo il testo che abbiamo letto al rientro dalle ferie non ha mancato di creare sconcerto sia a livello politico che sindacale. Abbiamo infatti constatato che erano come per magia scomparsi i punti di forza della legge Salvaterra, quelli che creavano significativi distinguo ed una doverosa discontinuità con le proposte della ministra.

I cicli della scuola elementare, per fare un esempio, erano ridiventati quelli della legge nazionale, la classe prima, la seconda e la terza, la quarta e la quinta, smentendo la versione trentina della prima bozza, quella del 2+2+2 che consentiva l’ormai insostituibile legame, all’insegna della continuità, con la scuola media, la scuola primaria di primo grado, in ottemperanza alla scelta provinciale di accorpamento dei due ordini di scuola negli istituti comprensivi.

Ma il fatto più saliente riguardava la scomparsa degli istituti tecnici nella scuola superiore di secondo grado, le famose "tre gambe" del modello trentino, che prevedeva un sistema composto da licei, istituti tecnici e formazione professionale, in contrasto con la legge Moratti.

Il ministro della Pubblica Istruzione Letizia Moratti.

La cosa diventava ancor più stridente anche per il fatto che, nel frattempo, la Conferenza Stato-Regioni, riunitasi il 15 settembre, esprimeva parere negativo all’ ipotesi "duale" (licei e formazione professionale), per questioni di merito, come l’assenza di pari dignità tra i due sistemi e il diverso valore dei percorsi e dei titoli in uscita, oltre che per il metodo. Dunque una sonora bocciatura per la signora Brichetto Moratti, che è stata così costretta a fermare la riforma della scuola superiore.

La Conferenza Stato-Regioni, implacabile, ha ribadito il parere contrario anche a forme di sperimentazione di questa riforma che nessuno ormai condivide, tranne i partiti che sostengono il Governo: e tra questi non dovrebbero esserci quelli che fanno parte del centro-sinistra trentino.

L'assessore provinciale all'istruzione Tiziano Salvaterra (Margherita).

Un sussulto dei DS, il parere contrario dei sindacati, lo sconcerto generale che monta fanno sì che Salvaterra torni a più miti consigli e riscriva le norme in conformità, quanto meno, a quello che avviene a livello nazionale. Come dice il mio amico Marino Cofler, insegnante in un istituto tecnico, non possiamo essere più morattiani della Moratti e dunque il ritorno alla bozza di aprile, che salvaguardava e manteneva l’istruzione tecnica, in particolare quella tecnica-industriale, sarebbe doveroso, invece dell’attuale adeguamento passivo alla normativa statale così come si prefigurerà nel prossimo governo, previsto dal testo di legge migliorativo, a seguito delle tante critiche, approvato in terza stesura dalla Giunta provinciale.

E’ quello che in molti auspichiamo: più coraggio e determinazione!

Nel suo insieme, nonostante qualche passaggio migliorativo, il disegno di legge non convince.

Un punto di forte contrasto è quello relativo alla scuola pubblica, svilita nella sua insostituibile funzione e resa qualitativamente più fragile a causa delle troppe attenzioni riservate alle scuole paritarie, definite addirittura "pubbliche" in un passaggio poi fortunatamente corretto. Nessuno nega che in Trentino queste scuole facciano parte di un sistema integrato che si rivolge al pubblico, nessuno nega che allo stato attuale esse siano ampiamente finanziate con denaro pubblico disattendendo il dettato costituzionale che le prevede "senza oneri per lo Stato", ma l’idea di "scuola pubblica", aperta, aconfessionale, accogliente per tutti e tutte a prescindere dalla fede religiosa, dal censo, dal paese di provenienza, con sistemi di reclutamento degli insegnanti oggettivi, basati su titoli e concorsi e non discrezionali, è cosa ben diversa. E su questo non ci si può permettere alcuna ambiguità.

Da parte dei sindacati e di tutti coloro che hanno a cuore la scuola trentina, si rileva una sostanziale incapacità di usare a pieno la nostra autonomia, di ricavarsi spazi significativi di intervento, di alzare il tiro. E di essere un esempio di democrazia, un sostegno reale ai soggetti più deboli e in difficoltà come i portatori di handicap, i bambini e i ragazzi con disagio familiare e sociale, gli alunni stranieri, le bambine e le ragazze, affinché si realizzi una sostanziale uguaglianza nelle opportunità.

Questo ci aspetteremmo da una provincia ricca, culturalmente pronta a sfide alte nei confronti della dispersione scolastica, per favorire lo sviluppo economico e culturale, per battere il precariato che è lo spettro reale di tanti giovani e di tante famiglie.

Serve uno sforzo comune di riprogettazione del nostro Trentino per riprogettare il Paese, perché saperi e lavoro vanno di pari passo con diritti e libertà. Ecco perché la scuola ha bisogno di una centralità molto rilevante, di rilancio e rinascita a partire dai suoi lavoratori, sempre più stanchi e demotivati, ma soprattutto dai suoi utenti, che non sono cittadini qualsiasi ma la nostra speranza per un mondo più giusto, dove la conoscenza sia un bene comune a cui tutti e tutte possano avere pieno accesso.