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Drodesera, luogo di confronto e centro di produzione

E’ ormai acqua passata, risultato acquisito, il passaggio di "Drodesera" (Dalle strade alla Centrale) da simpatico festival interno a un paesino, a momento di confronto più ampio, un vero centro teatrale, con la produzione di spettacoli in proprio e l’ospitalità (spazi scenici per le prove) e il supporto (collegamenti con le altre rassegne) a varie compagnie, soprattutto giovani.

Questo era il percorso avviato alcuni anni fa; una sorta di rilancio, con l’abbandono (in parte obbligato dalle ristrutturazioni in corso) del paese come suggestiva quinta scenica e l’approdo alla Centrale di Fies. Un tentativo non facile, eppure pienamente riuscito.

Anzitutto dal punto di vista della struttura: due sale teatrali perfettamente attrezzate, altre due per eventi speciali, il tutto immerso in un parco con spazi vari all’aperto, per performance come pure - anzi, soprattutto - per la convivialità.

Ma la riuscita la si può misurare dalla capacità di coinvolgere forze, dar vita ad esperienze. Ben cinque saranno le co-produzioni del Festival, assieme a partner di rilievo; mentre due (nella danza la Compagnia Mal Pelo, nel teatro la regista di Sud Costa Occidentale Emma Dante) le personali, con la presentazione di vari spettacoli a illustrare i rispettivi percorsi artistici; e uno spazio di rilievo pure ai giovani gruppi italiani, con una serata dedicata ai sei finalisti del "Premio Scenario".

Detto questo, quali le suggestioni, i contenuti culturali del festival? Un festival che, appunto perché di ricerca, esplora territori nuovi e quindi può fare scoperte esaltanti, ma anche perdersi?

Il discorso qui si fa articolato, e lo affrontiamo per settori. Nella danza, negli ultimi anni, non abbiamo notato niente di strepitoso: a Dro, oltre alla personale della Compagnia catalana Mal Pelo, segnaliamo Virgilio Sieni, che ci è sembrato nell’anteprima dello scorso anno intraprendere un serio e interessante percorso di fusione tra nuove tecnologie e linguaggio del corpo. A dire il vero, quello delle tecnologie, o della multimedialità, è un discorso appena abbozzato: o meglio, da una decina di anni (almeno) vi si cimentano performer e compagnie, ma con risultati decisamente deludenti: replicare sullo schermo quello che accade in scena non si è dimostrato una gran trovata, e men che meno proiettarvi qualcosa d’altro (è la famosa arte del "contrappunto" che, come insegnava Bach, è impervia, per quanto sembri facile ai faciloni). Anche Dro, che negli scorsi anni vi aveva insistito, alla multimedialità sembra credere meno, anche se, giustamente, non l’abbandona (vedi il progetto "Iconology", con performance su avvenimenti del 2004, e la festa-happening finale).

Il teatro di ricerca esplora strade differenziate: la Valdoca prosegue per la sua strada (messe in scena rutilanti e testi suggestivi) che finora non ci aveva convinto; il Teatrino Clandestino, con le sue messe in scena shock su temi duri (l’anno scorso le madri assassine, ora la tortura) che indubbiamente colpiscono e dividono il pubblico; Emma Dante e la Compagnia Sud Costa Occidentale, con la straordinaria capacità di ricreare, con pathos straordinario, storie anche feroci del meridione; la Societas Raffaello Sanzio con la sua rivisitazione della tragedia.

Insomma, tanti stimoli, molteplici promesse. Alcune delle quali, lo si metta in conto, si riveleranno vuote. Ma altre, forse, come già in passato Paolini o Del Bono o Bergonzoni (ma la lista è lunghissima) riusciranno a dare nuovo senso alla comunicazione di pensieri ed emozioni.