La vera personalità dei cacciatori
Un articolo del giornale L’Adige del 30 marzo scorso ha il pregio di fare finalmente chiarezza sulle vere intenzioni del mondo venatorio e toglie ogni dubbio su cosa esso intenda per gestione della fauna.
Da anni i cacciatori dichiarano di essere loro i veri ambientalisti. Una tesi risibile che trova, nei risultati del sondaggio, la sua piena smentita. La presa di posizione della maggioranza dei cacciatori contrari all’ipotesi di ricolonizzazione del territorio trentino da parte di lince e lupo, toglie ogni dubbio sul fatto che, alla fine, l’unica cosa che conta per i cacciatori è poter essere loro gli unici predatori presenti sul territorio.Questo è ciò che essi hanno in mente quando si parla di gestione della fauna.
Peraltro, lo stesso Piano faunistico provinciale, approvato con l’appoggio della Federazione Caccia (ma con l’opposizione delle associazioni ambientaliste che lo considerano un piano più venatorio che faunistico), prevede, tra le poche cose positive, la reintroduzione di specie, come ad esempio la lince, in grado di svolgere un naturale compito di predazione. La lince, ricomparsa in Trentino in modo autonomo nei primi anni Novanta, dopo aver raggiunto in termini numerici il traguardo di circa 8-10 esemplari (quantità probabilmente in grado di garantire, con gli anni, una presenza stabile della specie), è stata purtroppo rapidamente eliminata da coloro che la ritenevano una pericolosa concorrente, cacciatori o bracconieri che fossero.
D’altra parte perché meravigliarsi di questa opposizione da parte dei cacciatori?
Per anni si è giustificata la loro attività sostenendo che la caccia è il modo migliore per mantenere stabile la popolazione degli ungulati (caprioli, cervi, camosci, ecc.). Logico che essi vedano come il fumo negli occhi la presenza dei predatori naturali, che toglierebbe alla caccia l’unica giustificazione possibile nei confronti dell’opinione pubblica. Non dimentichiamo che anche gli ultimi sondaggi hanno confermato che la grande maggioranza della popolazione italiana (addirittura il 75%!) è contraria all’attività venatoria. Altro che "la caccia fa parte del nostro DNA" come sostenuto da qualcuno!
Quanto accaduto alla lince non può far bene sperare per il lupo, anche se protetto a livello internazionale, ed il cui arrivo sul nostro territorio è questione di tempo. Se la decisione è lasciata ai cacciatori, il suo destino è segnato: un animale nocivo da abbattere. E della biodiversità lasciamo che ne discutano gli ambientalisti.
Se per i carnivori i tempi sono duri, anche per la popolazione delle prede, ossia gli ungulati, stanno arrivando grossi problemi. Il fiore all’occhiello della fauna trentina, nonché termometro della consistenza ottimale della nostra fauna selvatica, il capriolo, corre seri pericoli di consistenza. Da sei anni questa specie è gestita direttamente dagli stessi cacciatori ed improvvisamente ci troviamo di fronte ad un crollo della popolazione, ben oltre la consistenza ipotizzata di 26.000 capi. E pensare che ancora nella scorsa stagione l’abbondanza dei caprioli trentini veniva utilizzata per zittire chi avanzava dubbi sulla bontà delle scelte gestionali della nostra provincia.
Ora naturalmente, di fronte all’evidenza, si corre ai ripari trovando a tutti i costi giustificazioni esterne. La colpa del loro crollo sarebbe da imputare alle condizioni climatiche dell’anno 2004, ossia alle notevoli precipitazioni nevose. Il fatto è che questa è invece la migliore prova di quanto andiamo sostenendo, cioè che la caccia fa più danni di quanti pretende di risolverne. In una popolazione di caprioli ben strutturata e sottoposta alla selezione naturale, inclusa quella dei predatori, l’effetto climatico non causerebbe affatto quel crollo drammatico che si verifica invece in una popolazione stressata da una selezione venatoria forzata, con un’età media bassissima, sotto i 2 anni, e con pochissimi adulti riproduttori.
D’altra parte non serve essere esperti per accorgersi che i caprioli sono diventati molto più rari rispetto a qualche anno fa. Chiunque ha girato per boschi o colline in questo periodo ha constatato i pochi indici di presenza della specie.
Ma anche in questo caso perché meravigliarsi? La gestione di una specie che viene cacciata si può affidare a chi la caccia? Non esiste più il concetto di conflitto di interessi? E’ un po’ come se la direzione del carcere abolisse le guardie carcerarie ed affidasse la custodia agli stessi detenuti. Sembra un paradosso, ma invitiamo i lettori a riflettere un attimo su questa scelta gestionale fatta dalla nostra Provincia.
La situazione faunistica provinciale è dunque tutt’altro che rosea, e comunque ben diversa da quella che viene presentata al pubblico. Il crollo del capriolo, la possibile decimazione del camoscio a causa della rabbia sarcoptica che ha colpito la specie, la quasi scomparsa di coturnici e pernici bianche, la forte riduzione della lepre variabile, il regresso del gallo forcello, l’estinzione della starna: sono tutti elementi che dovrebbero preoccupare ed indurre tutti a ricercare soluzioni diverse da quelle fin qui adottate.
Soprattutto dovremo accettare il principio che la gestione faunistica non può e non deve essere intesa sempre e solo come attività venatoria.