ITEA: la rivolta degli inquilini
L’allarme rosso per la trasformazione dell’Istituto per l'Edilizia Abitativa in Società per azioni. Dopo venti anni di non-politica dell’alloggio pubblico, i nodi vengono al pettine. Avventurosamente si pensa di risolverli con la “finanza creativa”. “E dovremmo essere noi a pagare?” chiedono gli inquilini.
Erano furibondi i trecento inquilini riuniti nella sala della circoscrizione. Urla, interruzioni. Il segretario della Cgil Ruggero Purin non riusciva praticamente a fare l’intervento; quelli di Cisl e Uil erano prudentemente assenti; il consigliere provinciale (Margherita) Giorgio Viganò, crocifisso sulla stampa in quanto consigliere e inquilino Itea, veniva zittito di brutto: "Vergognati, che prendi 6.000 euro al mese!"; l’esponente di Rifondazione Stefano Marchesi diceva perplesso: "A questo punto non so neanch’io se sia il caso di parlare"; gli studenti di sociologia, di cui era previsto e sollecitato un intervento, saggiamente si schermivano: "Siamo qui per imparare".
Ad aggiungere una nota tra il drammatico e il comico sopraggiungeva una comunicazione: "Fuori ci sono i vigili che multano le auto, vedete di spostarle" e la gente si accalcava all’uscita, più imbufalita che mai ("Ma allora fanno apposta!").
Poi i vigili si dimostravano molto ragionevoli: c’era la caserma dell’Esercito, la legge antiterrorismo non consente auto addossate al muro di cinta, le si spostasse da qualsiasi altra parte e loro avrebbero chiuso un occhio. E in sala gli interventi si susseguivano sempre tesi, sempre appassionati, ma in un clima via via meno esagitato, fino a diventare riflessivo. E ragionevole: "Non siamo contrari a un modesto aumento dei canoni" - dichiarava un signore, tra i segni di assenso generali.
Erano fisionomie e vestiti decisamente popolari: di gente franca, onesta, lavoratrice. Che si era sentita offesa e tradita. Che vedeva in pericolo il proprio futuro.
Quando, alla fine, tutti defluivano, a Marchesi di Rifondazione, che senza nominare il partito era poi intervenuto, si accostavano in parecchi: "Mi raccomando, non lasciateci soli."
E’ la trasformazione dell’Itea (Istituto Trentino per l’Edilizia Abitativa) in spa, messa in cantiere dalla Giunta Dellai, a far perdere il sonno degli inquilini.
Società per azioni, privatizzazione: parole un tempo forse magiche, ma che oggi preoccupano, e di brutto, quando riguardano lo stato sociale. Perché l’esempio delle grandi privatizzazioni, che hanno sostituito al monopolista pubblico quello privato, come nelle Ferrovie o nelle Poste, è devastante.
"Calma, l’Itea spa sarebbe a capitale interamente pubblico – ribatte Antonio Rapanà della Cgil, il sindacato al contempo più critico verso la legge, e più scosso al proprio interno dal dibattito e dal disagio degli inquilini - Risulterebbe esclusivamente un contenitore operativo, sotto il pieno controllo, economico e politico, della Provincia. Non assomiglia alle altre privatizzazioni, nelle quali le quote sono state messe sul mercato."
Ma questo non basta a tranquillizzare gli inquilini: "E chi non ci dice che le quote della Spa siano in un secondo tempo, magari poco alla volta, messe sul mercato? - replica Silvano Largher, esponente del comitato spontaneo inquilini Itea.
Ed è stato lo stesso presidente Dellai a gettare benzina sul fuoco, affermando che lui si sente "presidente non solo dei 14.000 inquilini Itea, ma anche dei 21.000 cittadini che avrebbero diritto a un alloggio pubblico, ma non si riesce a darglielo". Il che ha fatto salire la tensione a mille tra gli inquilini, perché è stato come dirgli: "A quelli senza casa, l’alloggio dovete pagarglielo voi". E allora alla gente vestita di maglioni presi nei mercatini, la faccia segnata da una vita di lavoro, si sono rimescolate le budella.
Forse questo è il primo dei nodi della Politica provinciale a venire al pettine. Dopo 20-30 anni di bilanci pingui, le nuove ristrettezze portano a galla gli errori e gli sprechi, prima coperti dal fiume d soldi. E si va a tentoni per cercare di rimediare, magari facendo nuovi danni.
Qui è la politica della casa a mostrare la corda. Era stato Kessler, negli anni ’70, a varare l’Itea, con lo scopo di venire meglio incontro al bisogno abitativo della parte più disagiata della popolazione; sulla falsariga di quello che accade nel resto d’Europa, dove il 30% delle abitazioni è costituito da edilizia popolare. Raggiungendo due scopi: soddisfare un bisogno primario dei cittadini e calmierare l’intero mercato immobiliare.
In Trentino, nei primi anni, l’Itea si muoveva bene, realizzando ad ottimo prezzo e con rapidità interventi anche vistosi, come le Torri di Madonna Bianca. Poi però l’edilizia pubblica entrava in un cono d’ombra: la politica provinciale tendeva, sempre più vistosamente, a privilegiare la casa in proprietà. Da qui le sovvenzioni sempre ricche alle case in cooperativa, come pure alle ristrutturazioni o al semplice acquisto sul mercato immobiliare. Non era probabilmente estranea l’ideologia a questa scelta, una visione tipicamente democristiana tutt’altro che disprezzabile: facciamo sì che ognuno, con i suoi risparmi, possa farsi la propria casa.
Il risultato però era che il mercato degli immobili, drogato dalle sovvenzioni, lievitava; e che l’edilizia pubblica era ridotta ad un misero 5% del patrimonio abitativo (altro che il 30% europeo, o il 70% dello stato sociale dei paesi nordici!).
A questi esiti concorrevano altre dinamiche, pesantemente negative.
La prima e più vistosa, era – e tutt’ora è - la difficoltà dell’Itea a costruire, per la mancanza di aree. Secondo la legislazione urbanistica, i Comuni dovrebbero prevedere nei propri Piani Regolatori delle aree per l’edilizia pubblica. Ma non lo fanno. Colpevolmente, perché le aree ad edilizia privata sono più pregiate, e quindi classificarne una come pubblica significa fare uno sgarbo al proprietario; perché nelle case Itea si dice vengano zingari e marocchini, ed in ogni caso gente a basso reddito, e quindi vicini e commercianti mugugnano; perché infine, quando un’area viene finalmente destinata all’Itea, subito sorge un comitato, che scopre che proprio quella zona è vocata per un asilo nido, o per il verde, o a parcheggio, oppure si protesta per il progetto che non piace, ecc.
Un insieme di gravi responsabilità politiche e - diciamolo pure - di arretratezze culturali della popolazione, che ha portato a penalizzare i cittadini più indifesi, molti dei quali per risolvere il problema casa dovevano indebitarsi fino al collo o adattarsi a penose coabitazioni.
E così nel decennio 1993-2003 delle quasi 10.000 persone aventi diritto all’alloggio solo 5.700 avevano potuto ottenerlo. E degli alloggi a disposizione, una parte consistente (1.123) non sono stati costruiti in proprio, ma comperati sul libero mercato: questo per le politiche clientelari o assistenzialistiche del politico di turno che con acquisti a stock risolveva i problemi di invenduto dei costruttori, spendendo di più e drogando (invece di calmierare) il mercato.
Non basta. A coronare tutto ciò veniva il clientelismo spicciolo verso gli stessi inquilini: ai quali, attraverso l’istituto del riscatto, veniva di fatto svenduto l’appartamento.
Il risultato è un misero 5% di case popolari, quando la percentuale di popolazione che ha bisogno come il pane di un aiuto per l’abitazione, è molto superiore.
Non solo: non avendo inciso sulla folle corsa dei prezzi, ma anzi incentivandola con contributi e acquisti, si è anche compromesso proprio quello che si voleva conseguire, il sogno della casa in proprietà; oggi la casa è troppo cara, a Trento negli ultimi vent’anni si è passati dal 68% al 65% di alloggi in proprietà.
"Ma perché per tutto questo dovremmo pagare noi?" – ripetono gli inquilini.
"Le nostre case non ce le hanno regalate, le abbiamo pagate negli anni con le trattenute Gescal. Come possono pensare di darle ora a una società privata?" – si chiede Largher.
Il fatto è che la Provincia in questi ultimi tempi ha già stretto i cordoni della borsa non più tanto pingue. Nel bilancio 2005, a fronte di investimenti per 40-50 milioni annui negli esercizi precedenti, si sono stanziati solo 8,6 milioni (sufficienti solo a coprire i mutui contratti) mentre peraltro si continuano a versare 57 milioni per facilitare gli acquisti dei privati.
Insomma, visto che non sembra si intenda riequilibrare la politica per la casa, si è pensato che l’edilizia pubblica possa cavarsela da sola. Appunto, con la nascita dell’Itea spa.
E cosa dovrebbe fare questa spa?
La nuova spa dovrebbe procedere alla "valorizzazione del patrimonio Itea", ossia emettere presiti obbligazionari – cioè indebitarsi – per poter procedere nella propria attività.
E’ questo un esempio di quella "finanza creativa", che non lascia tranquillo nessuno, perché i prestiti bisogna poi restituirli; e come si farà, visto che la spa non pare avere partite positive? "Sembra una situazione stile Parmalat" - recita un documento interno dei Ds. "Venderanno i nostri alloggi" - temono gli inquilini.
Di sicuro i primi conteggi allarmano. Nella relazione accompagnatoria al disegno di legge, si scrive del gettito che dovrebbe provenire dal canone alla mitica spa: 40 milioni annui. Oggi gli inquilini pagano affitti per 10 milioni: da dove salta fuori la differenza? Ancora "dalla valorizzazione" - spiega il disegno di legge, cioè dall’indebitamento. Gli inquilini sospettano invece che il tutto finisca in un’impennata dei loro affitti.
"Non siamo contrari a un modesto aumento – affermano, ragionevoli - Ma quadruplicarli...!"
"Il mio decoroso tenore di vita lo devo, non ho difficoltà a riconoscerlo, ad aver pagato in questi anni un affitto modesto - diceva un inquilino in assemblea - Non sono disponibile a che tutto questo venga buttato via".
Noi il disegno di legge, così come è, non lo accetteremo mai - proclama Rapanà della Cgil - C’è il rischio che si riduca la quota dei cittadini ammessi all’alloggio pubblico, aumentando invece di diminuire, la ‘zona grigia’ di coloro troppo poveri per acquistarsi la casa, troppo ricchi, si fa per dire, per l’alloggio Itea. E vogliamo, nella legge, non nel regolamento, impegni vincolanti sui canoni e sulla permanenza negli alloggi degli attuali inquilini. Non solo: vogliamo impegni precisi a modificare le norme sulle aree, magari nominando commissari ad acta nei Comuni renitenti, per poter finalmente costruire".
All’assemblea di quindici giorni or sono gli inquilini avevano duramente contestato i sindacati, da cui si erano sentiti traditi, rei di essersi lasciati infinocchiare da Dellai il giorno prima.
Speriamo si sia cambiato rotta. "Non lasciateci soli" - dicono.
E la cosa non riguarda solo loro, ma tutta la politica sociale del Trentino.