Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

Politica channel

La TV italiana: giornalisti asserviti e politici politicanti. Da L’altrapagina, mensile di Città di Castello.

Daniele Barni

Non vogliamo dire che la televisione (italiana) sia un luogo senza cultura, perché questa sarebbe solo un’opinione bacchettona. II problema è un altro: la televisione (italiana) esprime unicamente un tipo di cultura: quella del divertimento. E’ essenzialmente monotematica. Siamo senza dubbio dei maestri, noi italiani, nel confezionare trasmissioni televisive che allietino le giornate dei nostri concittadini: l’unione di gioco ed erotismo, ingredienti con cui viene condita la maggior parte dei programmi, costituisce una miscela della quale i guru televisivi italioti detengono le migliori formule. Ma l’Italia è anche una democrazia, ancorché scalcinata. E le democrazie sono tanto più fiorenti quanto più l’humus che alimenta le loro radici è abbondante e fertile. E questo humus che nutre le fibre delle democrazie non è altro che l’opinione pubblica, la quale, purtroppo, in un paese di pochi lettori (sia di quotidiani che di libri) come il nostro, si forma esclusivamente attraverso il piccolo schermo.

La condizione del sistema televisivo nazionale è sotto gli occhi di tutti: il grande puparo Berlusconi maneggia i fili di tutte le emittenti. Ma ciò costituisce solo una metà del problema: l’altra metà, e forse anche più della metà, coincide con la mancanza di approfondimento che regna sovrana nelle nostre trasmissioni, appunto, di approfondimento. Salvo un’unica eccezione: Report. La conduttrice, la grintosa Milena Gabanelli, guida ogni volta i suoi collaboratori in inchieste vertiginose, senza guardare in faccia a nessuno, con una precisione e un’accuratezza che risaltano ancor più in un panorama televisivo arcipiatto. Politica interna ed estera, finanza ed economia, giustizia: il bisturi affonda in profondità nel corpo sociale, come in una fredda autopsia. Ma il programma della Gabanelli & Co. rappresenta l’eccezione. Per il resto, la televisione (italiana) è il classico piffero che deve incantare il serpente, cioè tutti noi, e tenerlo buono. E qui le responsabilità vanno divise fra la casta dei giornalisti e quella dei politici. Ma andiamo per ordine.

I giornalisti. Forse dipende dal fatto che l’Italia sia stata da sempre terra di corti e cortigiani, oppure dal fatto che l’asservimento a chiese e ideologie abbia avuto, qui da noi, una forza d’attrazione maggiore rispetto all’esercizio del libero pensiero, o forse dipende dai nostri cromosomi. Fatto sta che la stragrande maggioranza dei giornalisti italiani serve un padrone piuttosto che una propria visione del mondo. Attentissimi, nella migliore delle ipotesi, a non pestare i piedi a nessuno, i giornalisti nostrani rimasticano nei loro articoli o nei loro programmi le veline distribuite da qualcuno che sta più in alto di loro, fornendo un pessimo servizio a colui che dovrebbe essere, il loro unico e indiscusso padrone: il pubblico. Un pubblico già di suo poco incline a seguire e a partecipare alla vita politica, un po’ disinteressato e molto disilluso, la cui opinione (l’opinione pubblica, appunto) tiene le mani sul volante della democrazia: se l’opinione pubblica si distrae, la democrazia sbanda e potrebbe intruppare su qualche albero a bordo via. Soltanto un’opinione pubblica poco vigile, tanto per riportare esempi concreti, ha consentito, in Italia, la formazione della cancrena consociativa e corrotta della Prima Repubblica e, non contenta, la deriva berlusconiana della Seconda. Giornalisti come Bruno Vespa o Emilio Fedei non sono affatto fenomeni da baraccone: almeno questo dobbiamo levarcelo dalla testa! Sono la punta di diamante di un fenomeno diffuso e dannosissimo.

I politici. Per costoro occorre partire più da lontano. La nostra classe politica è sorprendentemente statica, stagnante, paludosa: assenti quasi del tutto i ricambi generazionali. O meglio, i nostri politici ruotano secondo le generazioni biologiche, non politiche: soltanto la vecchiaia ne determina il declino o il ritiro dalla scena, non i cicli sociali e istituzionali. Nel mondo anglosassone una personalità pubblica che abbia concluso il suo mandato scende dal palcoscenico e raramente se ne sente parlare ancora. Da noi, un personaggio come D’Alema, uno dei massimi responsabili della sconfitta del centrosinistra alle ultime elezioni politiche, dopo qualche piroetta siede ancora dietro la plancia di comando. Questa, secondo noi, costituisce la morte della politica, perfettamente rappresentata dalla televisione. Uomini politici impegnati, da mattina a sera e per l’intera vita, nella quotidiana schermaglia partitocratica non possono avere tempo da dedicare allo studio, all’approfondimento dei problemi, all’invenzione di nuovi modelli di vita comune.

E così, quando vanno in televisione, questi personaggi, non possono far altro che alimentare chiacchiericci sterili, battibecchi inutili, conditi da qualche parola d’ordine, come l’ormai famosa "Meno tasse per tutti", e poc’altro. E ciò avviene, per essere chiari, sia a livello nazionale che a livello locale.

Parole chiave:

Articoli attinenti

In altri numeri:
Lo sciopero della pasta Cunegonda
Vladimiro Ilijc Offman
Davanti alla Tv, manipolati e contenti
Achille Rossi

Commenti (0)

Nessun commento.

Scrivi un commento

L'indirizzo e-mail non sarà pubblicato. Gli utenti registrati non devono inserire altre verifiche e possono modificare il proprio commento dopo averlo inserito.

Riporta il codice di 5 lettere minuscole scritto nell'immagine. Puoi generare un nuovo codice cliccando qui .

Attenzione: Questotrentino si riserva la facoltà di cancellare commenti inopportuni.