“Non sparate sul turista”
Duccio Canestrini, Non sparate sul turista. Torino, Bollati Boringhieri, 20034, pp. 148 , euro 9,50.
Se a Panama, a un turista normale, sconsigliano di visita re un determinato quartiere, un turista normale non lo visita. Duccio Canestrini, che è molto altro rispetto a un turista normale, invece lo visita, matematicamente certo di essere derubato. Per vedere l’effetto che fa. La matematica non è un’opinione e Duccio Canestrini viene in effetti derubato, per la prima volta nella sua vita di turista.
Viene in mente una storia di Stefano Benni, raccolta in "L’ultima lacrima": un signore elegante, per scelta ideologica, decide di viaggiare in treno in una specie di vagone di disperati. E viene derubato. L’uomo del racconto di Benni dice alla fine della storia: "Non ho cambiato idea, sa!" Il narratore dell’apologo commenta: "E io pensai tra me: -Questo è un uomo -".
"Non sparate sul turista", l’ultimo libro di Duccio Canestrini edito da Bollati e Boringhieri, è un volumetto utile, seducente, curioso, che mescola ricerca bibliografica, aneddotica, divagazione letteraria, consigli, proposte. La saga del turismo di massa, di cui Canestrini è forse il maggior cantore italiano, si arricchisce in quest’ultimo volume degli echi dei traumi che sta attraversando il mondo dopo l’11 settembre. Viaggiare è il modo più comune per conoscere e interessarsi ad altre culture. Chiunque, dopo un viaggio in Egitto, diventa esperto di egittologia. Ma quando si vive, volenti o nolenti, in un’epoca come la nostra di scontri tra civiltà, venire a contatto con altre culture può essere un’impresa piuttosto difficile, specie per quel turismo riassumibile nell’immagine dell’"immacolato viaggiatore" che vorrebbe essere il meno disturbato possibile nella sua consultazione della guida del Touring. Il viaggiatore immacolato finisce così per barricarsi. E più si barrica, più si sente minacciato.
"Non sparate sul turista" percorre il tema del viaggio e del pericolo, partendo dalle ataviche, barzellettare paure dell’uomo nero potenzialmente cannibale per arrivare alla paura indotta dai tanti meccanismi iper-tecnologici di protezione e di sicurezza.
Di fatto, oggi l’occidentale che viaggia viene considerato, a torto o a ragione, ambasciatore della civiltà dell’abbondanza e corresponsabile di un ordine politico-economico. Si trova così ad essere un preda assai ambita: nella sua veste crapulona, dalle mani di coloro che vedono nel turista (e qui non occorre andare in luoghi tanto esotici) solo un pollo da spennare; nella sua veste di imputato della politica estera della propria nazione, da quelle di terroristi in cerca di carne da sequestro o peggio.
Conteso tra questi Scilla e Cariddi, al viaggiatore apparentemente non resta che battere in domestiche ritirate, concentrarsi sugli agritur in Toscana, riscoprire le città d’arte europee. La mission del moderno viaggiatore potrebbe riassumersi in uno slogan: mangiare e non essere mangiati. Perché viaggiare rimane comunque un obbligo: se non si viaggia, non si ha niente da raccontare. Tramontata l’epoca fantozziana delle serate di diapositive, il digitale (macchine fotografiche e videocamere) ha centuplicato i meccanismi di fissazione del ricordo, producendo, di quelle serate-diapositive da modernariato, un semplice aggiornamento tecnologico di fronte al quale ogni resistenza è vana.
Studiare quindi, con Canestrini, antropologia del turismo, vuol dire oggi anche interrogarsi su tutti gli apparati di sicurezza messi in atto per proteggere le nostre vite dal terrore. Scrive Canestrini: "Da alcuni anni a questa parte, non c’è edizione di telegiornale Rai o Mediaset in cui non venga enunciata la fatidica frase: ‘E intanto cresce la tensione…’ Se fosse la verità, saremmo già tutti schiantati dal nervoso, o per lo meno tesi come corde di violino".
Poco male dunque, se questo terrore così bisognoso di rassicurazioni politico-cartellonistiche è in gran parte indotto. L’importante è che sia messo in piedi un enorme sforzo di security atto, appunto, a fornirci una sicurezza almeno presunta: ecco quindi spuntare metal detector, poliziotti, guardie armate, reti elettrificate, perquisizioni, schedature.
Canestrini stende un elenco delle misure di sicurezza più stupide, e ne aggiunge di controproducenti. Questa ossessione per la sicurezza ci fa compiere viaggi in cui tutto è garantito, assicurato: "Una sacrosanta congiura contro l’imprevisto. I cambiamenti di programma e tutto quanto sa di apertura, di casualità e di libero arbitrio sono temuti e banditi. Si compiono spedizioni turistiche di fatto sempre più simili a spedizioni militari".
Qualche settimana fa, sul Manifesto, Roberto Zanini ha scritto un editoriale in cui rimarcava quanto le nostre vite siano già cambiate nell’era del terrorismo globale e quanto poco di questa trasformazione sia stato analizzato in modo critico e consapevole: "In Italia i tassisti intercettano clienti che fuggono dalla metropolitana, in Piazza San Pietro si entra solo dal metal detector ma il Grande Fratello va ancora in onda, Roma e Lazio non finiranno in B e perciò riteniamo di fare una vita normale".
Cambia la qualità della nostra vita, non solo quando dobbiamo prendere un aereo, e tutto viene recepito come se fosse più o meno naturale: più che scelta, necessaria conseguenza.
Su un muro in un vicolo di Trento vicino a Piazza Duomo, c’era fino a qualche tempo fa una scritta che diceva: "La vostra sicurezza discrimina, uccide, espelle". La scelta tra sicurezza e restrizione delle libertà collettive pare sia già stata fatta.
Eppure, anche per il turista medio di Canestrini, porsi in una situazione di totale immunità rispetto agli incidenti del mondo è "debole, sbagliato e perdente": nemmeno le bolle ambientali, i villaggi di Cuccagna turistici possono proteggere dalla contaminazione da parte della diversità.
Gli scenari che Duccio Canestrini delinea alla fine del libro sono due: occorrerà scegliere tra un turismo militarizzato e un turismo aperto, permeabile, sprotetto - l’argomentato auspicio di Duccio Canestrini -, capace di restituirci tutto il gusto e il diritto di capire la diversità: "La qualità, e la gioia, nonostante tutte le difficoltà, stanno nello scambio di esperienze e nella fiducia".
La storia di Canestrini a Panama, fra l’altro, non finisce mica lì: l’antropologo vede passare un taxi e chiede al tassista di tuffarsi per quelle strade malfamate all’inseguimento dei tre che gli hanno rubato una preziosa pellicola già impressionata. Il tassista lo guarda come un pazzo e si rifiuta: troppo rischioso. Allora Canestrini si lancia a piedi all’inseguimento dei banditi di strada. Non li trova, ma si ferma a parlare con un gruppo di personaggi di chissà quale fatta per promettere loro una ricompensa in caso di ritrovamento della macchina.
La macchina fotografica non l’ha recuperata, e Canestrini dice nel libro che, se tornasse indietro, l’inseguimento se lo risparmierebbe.
Eppure, continua, "i panamensi non mi hanno mangiato. E ora ci posso anche scrivere sopra".