Storie scellerate
"I bambini di via della Scala" di Ugo Chiti, crude vicende di ragazzi di un quartiere popolare degli anni '50.
Cinque vite sulla "cattiva strada", sospese tra fantastico e reale. Ugo Chiti le racconta con ironia e leggerezza, senza affondare in stereotipi la critica sociale. Gli episodi s’incastrano, stile "Decameron", in una struttura a cornice tessuta dai ragazzi d’un quartiere popolare anni ’50 di Firenze. Giovannino (Lombardi) è un diciottenne minorato, orfano di padre e legatissimo alla mamma, cui impedisce una nuova relazione. Stefano (Venturini) scimmiotta i momenti romantici o di maggiore suspense. Enrico (Costa) è il più tranquillo e studioso. Quasi donna, l’intraprendente Marcellina (Socci) scompare dopo le prime mestruazioni. Maurino (Dwerryhouse) spalleggia Stefano e, in segreto, si vende per mille lire al vicino cieco che gli ha insegnato a masturbarsi con lo sputo.
Da tale sfondo emergono le "storie di paura", non stupisce dunque che il fiabesco s’insinui nei meandri scabrosi di Storia e Psiche. L’amore è sacrificio, mutilazione, omicidio, persino cannibalismo… ne "La leggenda di San Giuliano", "Una mamma d’oro", "Il Principe Bestia" e "La sordida leggenda dell’avaro" si compie un solo perverso destino di incubi, malformazioni e plagi divini o infernali. Tra i momenti più appetitosi e "imbarazzanti", la prostituta Agnese in crisi d’astinenza per aver venduto la vagina: i fedeli pensano a visioni mistiche e adorano la "santa" in preda a un impossibile orgasmo. La mente viaggia lungo il filo delle citazioni: la bambola di piacere ricorda il "Casanova" di Fellini; il principe-cinghiale, che si dona a pezzetti all’amata, Boccaccio e De André ("Tancredi", "La ballata dell’amore cieco"). In più Salvianti declama il passo dantesco di Paolo e Francesca nella speranza d’addolcire la sposa ed essere baciato; come in "Elephant Man", John Merrick recita i versi di "Romeo e Giulietta". Ma non è tutto. Le musiche portanti, con tanto di balletti, sono "It’s Now Or Never" e "Surrender", cioè "’O sole mio" e "Torna a Surriento" cantate da Elvis Presley; l’avaro ricalca il Gobseck di Balzac più che Molière, il Diavolo le leggende popolari e il "convitato di pietra" di Mozart; Maurino fa il verso a Hitchcock, imitando i suoi commenti ai vecchi thriller televisivi, mentre il ferro da stiro è la versione casalinga del coltello nella doccia di "Psycho". Un topos popolare-letterario e cinematografico, poi, il defunto che bussa alla porta per riavere ciò che gli appartiene.
Ottimo il cast, specie Lombardi, perfetto nella voce e nei gesti impacciati, Francesco Mancini (la "mamma d’oro"), i ragazzi, Dimitri Frosali (il cieco), Massimo Salvianti (il principe), Giuliana Colzi (Agnese). Versatile e intensa Teresa Fallai. Intorno ai personaggi, scene a sipario rievocano, stilizzati, gli ambienti su cui domina il quartiere. La platea è la città e ciò dissuade dall’abdicare la nostra coscienza civile: le storie scellerate non accadono se non lo vogliamo.