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L’indifferenza e la speranza

Dallo strisciante disagio per la situazione irakena, al crescente malessere sociale.

Chi vi scrive si trova da un po’ di tempo negli USA e specialmente a New York, che è certamente una città speciale. La "Lettera" di questa settimana dunque arriva da un po’ più in là del Sudtirolo, anche se è impossibile lasciare indietro la propria sudtirolesità, che si esprime almeno nel fare un breve viaggio nella Pennsylvania degli Amish oppure nel visitare la mostra di cesti tradizionali dei "nativi" indiani, nell’imponente ma trascurato museo nel pieno della Downtown finanziaria. Seguendo il filo dell’arte contemporanea, ci si imbatte nell’esposizione di arte afro-americana dello Studio Museum di Harlem, in cui la sudtirolesità coglie immediatamente l’obiettivo esplicito di costruire un senso di comunità in una minoranza non legata alla terra o alla tradizione.

La sudtirolesità si esprime naturalmente anche alla rovescia, nella frequentazione di persone o di luoghi come la chiesa battista di Riverside, e non solo per le celebrazioni interreligiose o per il meraviglioso coro gospel, ma perché è un punto di riferimento dei liberal neri e bianchi, ed un osservatorio sulle battaglie civili, in cui la congregazione intorno al reverendo Forbes è all’avanguardia: per la pace, i diritti umani, il diritto all’educazione, e - fatto di attualità - la libertà di orientamento sessuale.

La strage di Madrid ha colto gli USA in piena campagna elettorale. John Kerry ha vinto le primarie per i democratici sostenuto dalla speranza di evitare un secondo mandato di Bush. Per ora le speranze si fermano al 50%, che tuttavia non è poco. La presenza sulla stampa della notizia dell’attentato al treno è stata scarsa, a parte il primo giorno di foto e di rinnovato ricordo della ferita inferta a New York dall’attentato dell’11 settembre 2001. Molto di più fa discutere il cambio di governo della Spagna, che alcuni sostenitori del presidente hanno suggerito apertamente essere anche una vittoria di Al Qaida, una dichiarazione che Bush stesso ha poi lasciato cadere, perché tanta grossolanità non fa bene alla sua campagna elettorale, pur intrisa di cose hard.

La neve cade a folate sulla prima pagina del New York Times di martedì 17, che riporta le parole del nuovo presidente spagnolo e dà rilievo all’annuncio del ritiro di un alleato che si era rivelato essenziale per mettere in difficoltà l’Europa di Schröder e Chirac.

Dal fronte di guerra le notizie delle morti dei soldati americani continuano a gocciolare paurosamente, anche se confinate in piccoli articoli, sollevando voci a favore del ritiro. La Fox ha mandato in onda la vecchia registrazione di un lungo discorso di un giovanissimo John Kerry, del 1969, in cui, parlando a nome dei veterani del Vietnam, chiedeva il ritiro degli USA da quella guerra. L’ultimo numero di Time dedica la storia di copertina, con numerosi servizi, a discutere un progetto dell’amministrazione Bush di ritiro e allargamento di responsabilità. Però sul canale C-SPAN, che riporta interamente le discussioni del Congresso (una specie di radio radicale televisiva), alcuni rappresentanti repubblicani paragonano il ritiro dall’Iraq all’Accordo di Monaco con Hitler che non evitò, ma rafforzò quest’ultimo. L’enormità della differenza non fa presa sul pubblico, che non ha in generale alcuna idea di che cosa fu quell’accordo. La gente sembra indifferente alla campagna. L’entusiasmo giovanile, nato intorno a Howard Dean, il governatore del Vermont, che ora è fuori dalla competizione, si è spento con lui, benché egli stesso abbia promesso di usare ciò che ne rimane a favore del candidato democratico. La realtà è che gli americani hanno sofferto pesantemente la politica interna di Bush. Proprio nel giorno della vittoria dei socialisti in Spagna, il sindaco di New York, con un colpo di mano, ha sostituito tre membri della consulta sull’educazione e fatto passare per 8 a 5 la decisione di cancellare il sostegno sociale alle scuole pubbliche della città.AmNewYork, un giornale distribuito gratuitamente alle fermate della subway, diretto da una donna molto decisa, pubblica il calcolo dei danni: 15.000 giovani che non raggiungeranno il Third Grade, il livello che rende capaci di capire e di scrivere correttamente: un fatto drammatico soprattutto per le comunità ispanica e afroamericana. In questo modo si risparmiano 33 milioni di dollari, che il sindaco vuole investire diversamente. Come contrasta questa decisione con le meravigliose parole di Thomas Jefferson che nella Dichiarazione di Indipendenza e nella Costituzione indica nel diritto all’istruzione dei giovani uno dei punti fondamentali della democrazia americana! Il mondo dell’educazione si sta sollevando, ma il sindaco afferma il suo diritto a portare avanti il suo programma.

Il sindaco gode del merito di avere rafforzato la sicurezza continuando la battaglia di Giuliani contro il piccolo crimine. E il pericolo del terrorismo ha facilitato questo successo. La città è presidiata ovunque da militari anche in tenuta d’assalto, che si aggiungono all’enorme numero di poliziotti che caratterizzano la politica della "Tolleranza Zero" (= disinvestire nel sociale e investire nella sicurezza), dando sicurezza a chi si muove di giorno e di notte, per affollare i club di Tribeca o del Village, per ascoltare le orchestre sinfoniche di Vienna, di Boston, di Pittsburgh, e i concerti e le opere nei teatri sempre esauriti di Lincoln Center o alla Carnegie Hall sulla 57a, o gli eventi del centenario della nascita di Balanchine, fondatore del New York City Ballet o il Farewell, il concerto di addio di Pavarotti.

Le emergenze che mordono una parte considerevole degli americani sono altre. La corsa per guadagnare abbastanza da vivere, la sanità. Moltissime persone sono senza assicurazione sanitaria, il che significa che in caso di bisogno non verranno curate. "Non me lo posso permettere" - replica al mio sbalordimento un insegnante di una scuola privata che presumo guadagni parecchio. E una manager di una società internazionale, "dismessa" per un cambio di gestione che ha ridotto i dipendenti, gli fa eco. E un’amica, che fa la sport-trainer personale per persone facoltose, non può permettersi più di cinque giorni di vacanza. I newyorkesi nei loro conti comunque non rinunciano alla musica classica, ai libri e agli spettacoli seri. Mentre a Times Square impazzano i musicals per i turisti, per "Embedded", la commedia amara di Tom Robbins sulla guerra in Iraq, c’è perennemente il "sold out", tutto esaurito.

Chi rimane senza lavoro ha altre urgenze. Ad esempio trovare cibo decente a prezzi abbordabili. C’è ogni genere di cibo, to stay o to go (da mangiare sul posto o da portare a casa o in ufficio), ma i poveri diventano subito grassi, perché il cibo a poco prezzo è grasso e poco nutriente, mentre gli altri hanno una scelta immensa di negozi e ristoranti biologici, integrali, macrobiotici, di tutte le nazionalità e "fusioned", l’ultima invenzione che impazza mescolando le cucine del Pacifico con quella della New England.

Il rappresentante democratico del Michigan John Conyers in un intervento al Congresso cita esempi da un libro scritto da medici che raccoglie casi di mancate cure sanitarie, osservando che il numero di afro-americani morti per colpa del sistema sanitario è il doppio di quello dei bianchi e conclude: "Tutti i paesi industrializzati hanno un sistema sanitario nazionale e la gente viene curata anche se non può pagare". Una cosa che ad ogni europeo sembra ovvia, e invece qui è in aperta discussione.

L’economia americana va benissimo, mi dice qualcuno, e questo nella competizione elettorale va a favore di Bush. Ma che economia è, obietto, se la gente sta sempre peggio, se il ceto medio non può permettersi l’ospedale, se il dollaro è debole e i prezzi (anche per i possessori di euro e di yen) sono altissimi? Risponde Bush ad una conferenza dell’associazione del commercio di Washington: "Io credo che l’assistenza sanitaria sia una questione privata fra lavoratori e imprenditori e che si regoli nel rapporto fra consumatore e produttore". Sono affermazioni che i leader europei non possono permettersi, anche se forse qualcuno le condivide almeno in parte. Qualcuno dice che Bush è uno che non sa pesare le parole. Ma qui sono abituati a dire ciò che pensano. E io sono dell’idea che si debba prendere sul serio ciò che dicono i politici.

Il Boston Globe del 13 marzo in un articolo in prima pagina informa che le società farmaceutiche stanno abbandonando la ricerca di nuovi antibiotici, proprio ora - affermano studiosi intervistati dal giornale - che le malattie resistenti agli antibiotici esistenti si stanno sviluppando. Le imprese preferiscono fare ricerca su medicine per la depressione, l’impotenza, la tachicardia: perché rendono di più. La tubercolosi, il vaiolo, le centinaia di infezioni che si prendono negli ospedali e quelle che caratterizzano i paesi poveri, rischiano di dare origine a nuove epidemie, contro le quali non esisteranno risposte. Così si regola il mercato.

L’economia va bene, ma il numero di disoccupati è spaventoso e in alcuni stati è particolarmente concentrato. A New York è meno visibile, benché capiti spesso di sentire persone che sono "laid off", dimesse, un vocabolo che si distingue da "fired", licenziato, perché non implica colpa personale. Un fatto significativo dal punto di vista culturale, ma il risultato è identico, in assenza di strumenti di protezione sociale. John Kerry non ha il coraggio di dire che cambierà la politica internazionale rispetto a quella dell’America del vertice sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg, che ebbe la sua sintesi nel rifiuto di qualsiasi accordo internazionale per rendere ecosostenibile l’economia mondiale. Ma l’intenzione da lui espressa di migliorare i rapporti con gli alleati europei conferma, anche su questo piano, la speranza concreta che qualsiasi alternativa, anche la più moderata, sarà meglio di Bush. All’ennesima apparizione TV (ha molto denaro per la sua campagna) quest’ultimo esce fra la folla plaudente accompagnato da insistenti marcette suonate da una grossa band.

Marcerà anche sul Mall di Washington il prossimo gennaio per andare, come prescrive il cerimoniale, dai gradini del Congresso alla Casa Bianca? O sarà un altro a portare sulle sue gambe la speranza di pace e di giustizia sociale dell’America e del mondo?