Valda, l’ultima trovata di Grisenti
Dopo la Valdastico, l’assessore riesuma la diga di Valda. In barba alle proposte alternative, e alle aspettative degli elettori di Cembra.
Dopo la Valdastico un nuovo proclama dell’assessore provinciale al cemento, Silvano Grisenti: la diga di Valda s’ha da fare, ed in tempi brevi. Un po’ più piccola forse, e accompagnata da altre iniziative, ma la città di Trento per difendersi dalle alluvioni ha bisogno dell’opera.
Appena pubblicata la notizia, i sindaci della valle di Cembra si sono sentiti traditi, perché in campagna elettorale avevano appena sostenuto, tutti assieme, la lista protagonista dell’iniziativa, la Margherita, e avevano dato disposizioni per preferenze precise: Odorizzi candidato di valle, Gilmozzi perché vicino, e Grisenti perché uomo dei fatti. Il secondo ed il terzo avevano ottenuto ottimi risultati, il primo invece rimaneva scornato in quanto da Fiemme sul suo nome erano piovute preferenze residuali, nonostante il patto si dicesse fosse veramente forte e convinto. In quella incandescente giornata, sindaci ed assessori incontravano i valligiani e su di loro si riversavano domande aspre, frasi risentite, incalzanti: le riposte erano vaghe, balbettate.
Ma come: la diga di Valda non era dimenticata? Ed i patti territoriali? Ed i progetti di altro sviluppo? E le proposte di ripristino ambientale sulle profonde ferite al territorio inferte dalle cave di porfido e dalle discariche?
Certo, perché la valle di Cembra aveva obbedito all’ordine dei suoi sindaci e, disciplinata come sempre, aveva dato fiducia alla Margherita. Sulla progettazione del patto territoriale erano già state spese, solo in consulenze, decine di migliaia di euro, i progetti comprendono opere per sette, otto milioni di euro, ormai si dà per scontato l’avvio del parco fluviale dell’Avisio strettamente legato all’agricoltura biologica e al ripristino paesaggistico dei terrazzamenti che interrompono i ripidi versanti ed hanno per secoli permesso la coltivazione di terreni aspri, poveri, faticosi da gestire, ma ricchi di sole e di luce.
Un pessimo risveglio per la valle, ma non era necessario essere dei geni per comprendere cosa poteva capitare anche alla val di Cembra, dopo aver visto come veniva formata la lista Margherita, gli schiaffi di Dellai alla sinistra, le competenze ambientali ulteriormente spezzettate e la costruzione di assessorati-fortezze come quello di Grisenti o di Gilmozzi,.
La città di Trento è terrorizzata dalla possibilità di una nuova devastante alluvione come quella del 1966, e tanti sono i motivi che sostengono questa preoccupazione.
Se a differenza di allora oggi abbiamo foreste diffuse e forti, se abbiamo regimentato ogni più piccolo rivolo fino in alta quota, come contropartita abbiamo ulteriormente antropizzato le valli, l’urbanizzazione sta coprendo ogni anfratto del fondovalle, abbiamo scavato decine di gallerie, antropizzato con rifugi, alberghi e viabilità diffusa l’alta quota, divelto pascoli e pendii per regalarli agli impiantisti. Ma non solo: abbiamo anche aumentato la velocità di scorrimento dell’acqua, salvando sicuramente gli abitati in quota, con ogni torrente ormai canalizzato, ma abbiamo permesso alle acque dei nostri torrenti di raggiungere l’Adige in tempi sempre più brevi.
Il problema della sicurezza di Trento quindi è reale; e l’assessore Grisenti, come suo costume, ricerca la soluzione più immediata. Se il problema del traffico lo risolve proponendo e costruendo nuove strade e potenziando e velocizzando le esistenti, il problema delle acque lo risolve con altro cemento, sbarrandole, costringendole in argini sempre più alti, in canali sempre più dritti. Ma la risposta a questa situazione non può incontrare scorciatoie, è necessaria una lettura del problema in tempi lunghi, articolata e complessa.
L’ittiologo Lorenzo Betti ha riproposto questo cammino più complicato chiedendo l’approvazione in tempi rapidi del Piano delle Acque provinciale, sostenendo la necessità di costruire politiche condivise e sinergiche con la Provincia di Bolzano responsabile della gestione del fiume Adige a monte del Trentino e con le province di Verona, Padova e Venezia.
Ha anche chiesto di superare una logica rivolta alla gestione delle acque chiusa in camere e uffici fra loro incomunicanti: opere idrauliche, bacini montani, utilizzazioni idriche varie, ripristino ambientale, opere igenico-sanitarie e gestione della fauna ittica.
Sono richieste ormai storiche dell’ambientalismo internazionale e nazionale; nei paesi del Nord la ricerca delle sinergie fra i diversi settori con il fine di rafforzare la sicurezza degli ambiti fluviali è ormai cultura consolidata. Là si stanno abbattendo le canalizzazioni violente, invece di alzare gli argini si ricostruiscono spazi di esondazione, in poche parole si ritorna a fornire vita e naturalità ai fiumi ed in questo modo, oltre alla riappacificazione con il bello, si costruisce anche sicurezza.
Nel caso della valle di Cembra un dato è certo: la diga è incompatibile con i progetti previsti nel Patto territoriale. Ambedue le proposte sono sponsorizzate dagli uffici e dagli assessorati della Provincia di Trento. E’ venuto il momento della coerenza e delle scelte irreversibili. Se si vuole tornare ad avere una valle vitale, orgogliosa dei suoi valori, della sua tipicità, l’investimento non può che essere rivolto al recupero paesaggistico, all’agricoltura, al turismo di nicchia, allo sviluppo dell’industria artigianale.