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Il mio Malossini

Pierangelo Giovanetti

Ringrazio Ettore Paris e Questotrentino per l’ampio spazio dato alla recensione del mio libro «Mario Malossini. Storia di un ex potente resuscitato». In effetti, come scrive Paris, il libro ha avuto vita difficile. Prima della pubblicazione, dove si sono mossi in molti per fermarlo e persino lo stampatore s’è rifiutato di stamparlo. Ma anche dopo l’uscita nelle librerie, visto che più d’uno dei mezzi d’informazione locale s’è trovato in imbarazzo a recensirlo, o comunque a fare accenno alla pubblicazione. Persino nella distribuzione il libro ha incontrato inusitate ritrosie. Ci sono state alcune edicole che hanno preferito tenerlo nascosto sotto il banco con evidente disagio ad esporlo in pubblico. E c’è stato anche chi, fra i consiglieri provinciali, s’è preso la briga di girare fra le edicole amiche per farlo sparire, suggerendo di riporlo in magazzino. Evidentemente c’è un passato che non passa, e anziché affrontarlo si preferisce rimuoverlo, e far finta che non vi sia stato.

In merito alle osservazioni poste da Ettore Paris al libro, ritengo giusto fornire alcune risposte. E’ vero che nel testo le citazioni di Questotrentino non sono abbondantissime. Questo non per volontà di trascurare un periodico importante che in quegli anni ha portato avanti inchieste giornalistiche di peso. E’ solo che nella raccolta della documentazione è stato privilegiato l’esame dei due quotidiani che, specie dall’inizio degli anni Novanta in poi, hanno cominciato a dedicare a Mario Malossini un’attenzione critica crescente, con inchieste approfondite tra cui quelle delle spese facili, delle consulenze e della famosa metropolitana sotterranea.

Due sono poi le questioni di fondo sollevate da Ettore Paris: la figura politica di Mario Malossini, che nel libro sarebbe sottovalutata nei suoi aspetti positivi; e l’appartenenza politica di Malossini alla Democrazia cristiana, e ai dorotei in particolare, che accomunerebbe la sua figura e il suo operato a tutta la classe politica democristiana di quegli anni. Sul primo punto, va distinto il Malossini assessore al Turismo dal Malossini presidente della giunta. Per quanto riguarda Mario Malossini al Turismo, il libro sottolinea le innovazioni e il forte impulso che da assessore lui diede al settore (pur con l’eccessiva enfasi all’effimero che ha contraddistinto questa epoca). Credo che Malossini abbia avuto il merito di credere nel turismo come la vera industria del Trentino, e di conseguenza di investirvi risorse, attenzioni e interventi legislativi. Magari ha privilegiato alcune categorie del turismo (gli albergatori destinatari di ricchi contributi), rispetto ad altre (il bed&breakfast, il turismo sociale delle case-comunità, i campeggi, i piccoli affittacamere). Però, il nome di Malossini resterà legato a quell’epoca d’oro (in tutti i sensi) del turismo trentino. Diverso invece è il giudizio su Mario Malossini presidente della Provincia, secondo quanto è rimasto impresso anche nell’immaginario della gente. Anche gli estimatori ricordano infatti volentieri il Malossini al Turismo, poco quello della presidenza della giunta. Gli interventi di rilievo di quegli anni, infatti (la politica ambientale e la legge urbanistica, il varo della Azienda sanitaria unica, e la parità fra scuola pubblica e privata), fanno capo rispettivamente ai tre assessori Micheli, Lorenzini e Grandi, più che allo stesso presidente. Il Malossini di quel periodo è ricordato più per le consulenze, le assunzioni in Provincia e i progettisti di fiducia, che per interventi strutturali che hanno segnato la storia del Trentino.

Infine la continuità, o presunta tale, fra Mengoni, Malossini e Grisenti. Può darsi che vi sia, non ho elementi per poterlo dire. Per Mario Malossini vi è sicuramente una sentenza di condanna per ricettazione per le tangenti dell’A22 (peraltro insieme a tanti altri tra cui Flaminio Piccoli, Enrico Pancheri, Alessandro Pietracci, eccetera, come risulta ampiamente dal libro), e vi sono sentenze della Cassazione o della Corte d’Appello che parlano espressamente di corruzione riferita a Malossini, pur non giungendo a sentenza di condanna per prescrizione dei termini.

Quanto ai costi ingenti della politica e al suo finanziamento con mezzi estranei alla politica, comportamento diffuso a quei tempi e probabilmente anche oggi, ha ragione Nella Malossini: non era solo Malossini a ricorrere alle dazioni degli albergatori e delle imprese che lavoravano per l’A22. Erano (e forse lo sono anche oggi) in molti. Per Mario Malossini vi sono delle sentenze passate in giudicato, e vi era un evidente uso allegro delle risorse, tanto da far dichiarare al senatore Renzo Gubert che «la differenza fra Pancheri e Malossini è che Pancheri prendeva tangenti per il partito, Malossini per arricchimento personale». È vero: Malossini ha forse avuto soltanto il demerito di accentuare un fenomeno già diffuso in quegli anni Ottanta nei partiti della Prima Repubblica. Non è stato l’inventore dell’intreccio politica & affari, ma semmai uno degli utilizzatori (chi più chi meno) della politica come fonte di ricchezza. Ma eguagliare la sua storia a quella dell’intera Democrazia Cristiana (o anche solo dei dorotei), sarebbe come confondere il socialismo italiano di Battisti, Turati e Lombardi con quello degli scenari pansechiani, tutto nani e ballerine, di Bettino Craxi. Sarebbe una sciocchezza. Dal punto di vista storico, prima che politico.