All’università per passione o per interesse?
Un’indagine dell’Università di Trento traccia l’identikit dei propri studenti: dalla scelta della facoltà al giudizio sui docenti.
Studenti universitari: popolo di indecisi che parcheggia qualche anno della propria vita nelle aule dell’università in vista di tempi migliori, o centrometristi della cultura che in breve tempo cercano di buttarsi a capofitto nel circuito lavorativo carichi di certificazioni, attestati ed affini? E ancora: vittime, anche a buon fine, del proprio passato scolastico o destinati a ribaltare le prospettive offerte dal diploma di scuola superiore?
A simili ed altri quesiti ha cercato di rispondere il Nucleo di Valutazione della Didattica dell’Università di Trento, che ha condotto un’attenta ricerca sulla valutazione della didattica e della carriera dei propri studenti. I dati sono stati raccolti, elaborati e commentati in un volume da parte del dott. Ivano Bison e del prof. Fulvio Ferrari, che lo hanno presentato al pubblico venerdì 17 ottobre.
Quella realizzata dall’Università di Trento è una sperimentazione che ha preso in considerazione, attraverso interviste telefoniche, gli iscritti al secondo anno delle nuove lauree triennali e che di fatto anticipa le direttive ministeriali che prevedono un monitoraggio simile solo al termine dei tre anni previsti, proponendosi dunque come strumento all’avanguardia di autovalutazione e anche di autocritica da parte del nostro ateneo. Gli studenti, infatti, si sono ritrovati a rispondere non solo sulle offerte didattiche e sul loro successo professionale, ma anche sulla qualità dei singoli corsi e sul lavoro svolto dai docenti; i quali, dati alla mano, sono stati globalmente promossi per quanto riguarda la competenza, ma rimandati nettamente come capacità di coinvolgere e rendere partecipi gli studenti.
Qual è l’immagine quindi dello studente universitario trentino che emerge dalla ricerca e quali sono i fattori che ne condizionano il successo formativo e professionale?
Alla base della scelta della facoltà - rilevano i relatori - stanno principalmente due approcci: da una parte l’aspirazione a realizzarsi in un preciso ambito culturale, seguendo insomma la propria vocazione, dall’altra l’attenzione per un percorso che garantisca maggiori sbocchi occupazionali e l’accesso a professioni di particolare prestigio, che induce ad una scelta più pragmatica. Quest’ultima è preferita dagli studenti delle facoltà tecnico-scientifiche come Economia o Ingegneria, mentre la scelta "vocazionale" la si ritrova soprattutto tra gli studenti delle facoltà umanistiche, come Lettere e Sociologia. Sono soprattutto le ragazze a badare più al proprio interesse culturale, mentre le future prospettive di lavoro sembrano interessare di più ai ragazzi.
Facoltà | Scelta | |
Vocazionale | Pragmatica | |
Economia | 84,0 | 65,7 |
Giurisprudenza | 86,2 | 62,1 |
Ingegneria | 83,8 | 67,5 |
Lettere e Filosofia | 88,8 | 51,5 |
Polo di Rovereto | 86,1 | 54,0 |
Scienze Matematiche Fisica | 86,7 | 61,7 |
Sociologia | 88,6 | 45,8 |
Totale | 86,3 | 58,8 |
Le facoltà tecnico-scientifiche hanno generalmente iscritti al primo anno più giovani (circa 20 anni), con un voto di maturità in media più alto e che difficilmente abbinano studio e lavoro, mentre altre facoltà (in particolar modo Sociologia e, meno, Lettere) presentano al primo anno studenti in media oltre i vent’anni, con un voto di maturità inferiore e che spesso sono impegnati in attività lavorative.
Tasso di riuscita | |
Voto di diploma | |
60-70 | 62,7 |
71-80 | 74,4 |
81-90 | 81,8 |
91-100 | 90,8 |
Totale | 76,7 |
Diploma conseguito | |
Lic. Classico | 83,0 |
Lic. Scientifico | 85,3 |
Altro liceo | 79,1 |
Tecnico-Professionale | 68,9 |
Totale | 76,2 |
I dati suggellano l’ovvio, il che è peraltro utile, non ci sono più discussioni: uno studente che ha un voto di maturità alto, giovane età e scarso impegno lavorativo, frequenta di più le lezioni: il che incide notevolmente a sua volta (per il 25% circa) sulla sua riuscita professionale, cioè sulla capacità di concludere gli studi nei tempi previsti. Il tasso di abbandono dopo il primo anno è invece correlato, altrettanto prevedibilmente, ad un basso voto di maturità, al tipo di diploma conseguito (maggiore è l’abbandono tra chi proviene dagli istituti tecnici), ad un modesto livello culturale della famiglia e ad un basso indice vocazionale al momento della scelta.
Alla domanda se lo studente si senta soddisfatto dell’organizzazione didattica offerta dalle facoltà (disponibilità delle aule, razionalità degli orari, sovrapposizione dei corsi), un giudizio positivo proviene dagli studenti di Economia, Giurisprudenza, Ingegneria e Scienze, mentre negativo è il parere degli studenti di Lettere (seppur con notevoli differenziazioni interne tra i singoli corsi di laurea). Il contrario accade sul grado di soddisfazione dei contenuti offerti dai corsi: gli insoddisfatti sono gli studenti delle facoltà tecnico-scientifiche, mentre quelli delle umanistiche sono maggiormente soddisfatti. Insomma, le facoltà scientifiche sono meglio organizzate, ma meno stimolanti.
Emblematico è il caso del corso di Mediazione linguistica per l’impresa e il turismo, che pur facendo parte della facoltà di Lettere e Filosofia, propone un percorso di studi molto tecnico a carattere linguistico-economico. Sono proprio gli studenti di Mediazione che rivelano di essere meno soddisfatti dei contenuti dei propri corsi, evidenziando che tale corso, pur garantendo maggiori sbocchi futuri in ambito lavorativo, cattura poco l’interesse culturale personale dello studente.
Alla lettura dei dati emerge abbastanza chiara l’immagine di due "tipi" di studenti, l’uno tendente a seguire le proprie inclinazioni culturali a dispetto delle scarse possibilità occupazionali, l’altro maggiormente propenso ad assicurarsi un futuro lavorativo più certo e redditizio, a costo di relegare gli interessi culturali fuori dall’università.
Lo stesso rappresentante trentino al Consiglio nazionale degli studenti universitari, Matteo Detina, alla presentazione del volume ha sollevato molte perplessità sul valore formativo delle lauree triennali (a volte indugiandovi davvero troppo, quasi volesse sottolineare costantemente la sua provenienza dal movimento ciellino che da sempre si è opposto alla riforma universitaria). Certamente la laurea triennale e la suddivisione dei vecchi esami in numerosi moduli ridotti costringe lo studente a trascurare l’approfondimento a vantaggio di uno studio più serrato ma forse più superficiale. In questo modo si spiega - secondo Detina - perché solo il 20% degli intervistati ritiene i propri docenti capaci di suscitare interesse: la fretta indotta dalla laurea triennale, infatti, impedirebbe di vivere l’università come luogo di approfondimento e di passione culturale.
A questo punto i dati esposti e le considerazioni fatte ci inducono a porre alcune domande: il giovane diciannovenne che si iscrive al primo anno dell’università ha ragione a preferire una facoltà magari meno stimolante per lui culturalmente ma più rassicurante dal punto di vista lavorativo? Ha ragione a volersi laureare in fretta per poter subito spendere i propri talenti professionali a costo di trascurare un approfondimento personale che lo costringe però a ritardare la sua uscita dall’università (anche a confronto con la "giovane" concorrenza degli altri Stati europei)?
Come ha rilevato il nostro questionario d’indagine sulle scuole superiori (Sondaggio fra gli universitari: il liceo cosa mi ha dato?) lo studente chiede docenti e materie più stimolanti, ma anche maggior preparazione del corpo insegnante: cioè passione e qualità. Non crediamo sia un’utopia da due soldi immaginare una scuola superiore e un’università valide, moderne ed europee nei tempi e nei contenuti ma anche attente a formare l’identità della persona e a favorirne lo sviluppo degli interessi personali. Senza motivazioni e interessi profondi non si va avanti. Senza sbocchi professionali neppure. Pensare ai giovani come a tecnici più o meno specializzati (in tutti gli ambiti professionali e culturali) in eterna rincorsa dei mutamenti dell’economia è considerarli ingranaggi più o meno oliati e veloci. Un ingranaggio umano di solito non ha un’identità pienamente realizzata e a lungo andare perde stimoli e colpi. Basterà decidere di sostituirlo con un altro per risolvere il problema?