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“La nuova vita delle Alpi”

Enrico Camanni, La nuova vita delle Alpi. Torino, Bollati Boringhieri, 2002, pp.225, € 13.

Si apre con una visita piena di meraviglia al vecchio Ötzi il viaggio di Enrico Camanni: un paio di centinaia di ricche pagine per raccogliere testimonianze, situazioni e vicende significative di tutto l’arco alpino, dalle Marittime alle Giulie. Il nuovo libro del direttore della rivista l’Alpe sta a metà tra un saggio e un viaggio, dove lo sguardo si volta costantemente al passato e alla storia delle popolazioni alpine perché la mente si interroghi sul presente e l’immediato futuro.

Eccole, le Alpi: cacciate dall’affermazione degli stati moderni e del loro centralismo politico in una condizione di marginalità, riscoperte poi dalla temperie romantica come luoghi sublimi della libertà dell’io, si ritrovano oggi in una situazione per più di un verso paradossale, in cui l’affermazione del turismo di massa coincide con il definitivo spopolamento e con la crisi dell’economia rurale.

Di fronte all’incedere della civiltà urbana, la fine di questa civiltà alpina a Camanni appare segnata. Un incontro di cui conosciamo la storia e il prodotto più tipico. Nasce infatti intorno alla metà del XIX secolo quella che sarà la sempre più lucrosa industria del turismo: la città scopre le Alpi, sale sulle Alpi e ne fa delle Alpi ludiche a proprio uso e consumo, in una corsa che nel secondo dopoguerra diverrà sempre più corsa all’accaparramento di seconde case con vista e di pacchetti vacanza "per chi non ha tempo da perdere".

Il paradosso che Camanni ci pone davanti agli occhi è dunque quello di "valli quasi completamente spopolate e prive di mezzi di sussistenza accanto a valli iperpopolate per due o tre mesi all’anno e iperstrutturate con condomini, alberghi, cinema, boutiques, ristoranti e locali notturni". Per non parlare di strade sotto le cime, di piste da sci, seggiovie, tasselli a pressione. Nulla di male, probabilmente, per quanti si pongono nella scia di Leslie Stephen, che per primo definì le Alpi "magnifici campi da gioco per l’Europa"; ma un vero dramma per quanti seguono John Ruskin, che invece ne parlò come di "cattedrali, santuari della terra" da proteggere contro ogni profanazione.

Un acre scontro che non rispecchia semplicemente la provenienza rurale o urbana dei contendenti: poiché spesso ha visto, da una parte, montanari invocare e addirittura reclamare l’avanzata del modello turistico cittadino (e politici populisti promettergliela), dall’altra éliteecologiste, spesso formate culturalmente in città, ergersi in strenua difesa dell’alpe incontaminata.

A distanza di più di un secolo, la contrapposizione tra conservatorismo intransigente e ansiosa svendita orientata al profitto ha trascinato il dibattito sui modelli di sviluppo alpino in "paludi ideologiche cui corrispondevano scelte miopi e contraddittorie, soluzioni affrettate e di corto respiro". Le aporie del contrasto tra difensori della montagna per le masse e quelli della montagna per le élite hanno sempre più fatto sentire l’esigenza di pensare una terza via economica e sociale, pur così difficile da progettare, per i circa 13 milioni di abitanti delle Alpi. Ci si chiede: come sarà possibile – per rifarsi ad esempio alla proposta avanzata ai recenti Stati generali della montagna tenutisi a Torino nell’autunno 2001 - trasformare le Alpi in un "laboratorio per l’Europa" che si basi sul riconoscimento dei caratteri cruciali di complessità e specificità delle Alpi stesse? E soprattutto: sarà davvero possibile? Quanto tempo ci sarà per questo mutamento di rotta?

Agricoltura, turismo e trasporti sono una terna che va pensata e risolta insieme, se è vero che i nessi tra questi settori sono inscindibili: l’equilibrio di ciascuno di essi dipende dall’equilibrio complessivo dei tre. Ma infine non è possibile alcun progetto di sviluppo senza ripartire da una concezione di civiltà alpina, senza prendere atto dei danni di un rapido arricchimento economico che ha consegnato e consegna giovani generazioni all’incultura, alla mancanza di senso e di prospettive esistenziali, a soffocare tra il bigottismo reazionario e corse senza mèta su auto di lusso. Questi sono i "tempi lenti, apparentemente imbalsamati, eppure continuamente mutevoli della civiltà alpina".

Un libro ricco di notizie e racconti, noti e meno noti, per riflettere a tutto campo sul presente e l’immediato futuro, sulla "nuova vita" delle Alpi.