Articolo 18 e referendum
Vorrei rispondere all’editoriale di Renato Ballardini sul referendum estensivo dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, da lui definito sbagliato (su QT dell’8 febbario, Un referendum sbagliato).
E’ bene ricordare che l’art. 18 prevede il diritto del lavoratore di rivolgersi al giudice, quando ritenga di aver subito un licenziamento ingiusto. Il giudice, qualora accerti l’illegittimità del licenziamento, perché privo di un giustificato motivo, ordinerà al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore. Il lavoratore, a sua volta, ha il diritto di scegliere se rientrare al lavoro o richiedere un indennizzo pari a 15 mensilità.
L’effetto di questa norma è quello di limitare il potere del datore di lavoro di allontanare definitivamente il lavoratore ai soli casi in cui questa decisione sia determinata da ragioni oggettive di tipo organizzavo o economico o da ragioni soggettive, quali mancanze disciplinari, inidoneità al lavoro, assenteismo, ecc. Il referendum, promosso da Rifondazione Comunista, Fiom-Cgil, Verdi, Sinistra DS e sindacati di base, vuole estendere gli effetti dell’art. 18 ai lavoratori impiegati in aziende con meno di 16 dipendenti. Ritengono i promotori del referendum che il diritto alla tutela della dignità e libertà della persona-lavoratore appartenga a tutti i lavoratori, a prescindere dalle dimensioni dell’impresa.
Alcuni a sinistra, a cominciare da Cofferati, hanno espresso una critica, giudicando il referendum uno strumento sbagliato per ottenere la realizzazione di un principio che condividono. La critica di Ballardini è diversa perché ritiene sbagliata in se l’estensione di questo diritto, che la CGIL e Cofferati hanno definito di civiltà, organizzando manifestazioni, scioperi e raccogliendo oltre 5 milioni di firme. Ballardini articola la sua critica rilevando correttamente che la reintegra è la coerente applicazione di un principio generale del nostro ordinamento giuridico che prevede, nei rapporti contrattuali, il diritto di ciascuna parte di esigere dall’altra l’esecuzione in forma specifica della prestazione dovuta. Questo vuol dire che il giudice può imporre alla parte inadempiente di onorare esattamente il contratto che ha stipulato. L’esercizio di questo diritto, riconosciuto a tutti i cittadini, è escluso per chi abbia la sventura di lavorare in imprese con meno di 16 dipendenti.
Questa eccezione a loro danno è per Ballardini pienamente giustificata. Le motivazioni che offre a sostegno di tale affermazione mi appaiono confuse, sbagliate e contraddittorie. Si afferma: poiché in una piccola azienda si instaura un rapporto personale tra datore di lavoro e lavoratore, bisogna tener conto dei sentimenti e dei risentimenti dei due attori e della loro influenza sull’efficienza produttiva. Vero, ma la giustizia incide sempre sui sentimenti delle persone, facendo però delle scelte che privilegiano la persona che ha posto in essere un comportamento legittimo e sacrificando chi è mancato ai suoi doveri. Il debitore che non paga è una persona che ha dei sentimenti e a volte motivi di risentimento verso il creditore, ma l’ordinamento con l’esecuzione forzata preleva ugualmente quanto dovuto al creditore. Il lavoratore che viene licenziato per delle giuste ragioni, anche quando queste non dipendono da sue mancanze ma da ragioni economico-organizzative, non può ricevere tutela dall’ordinamento, ma nel caso opposto, quando il licenziamento è illegittimo, non si capisce perché debba soccombere ugualmente il diritto alla tutela della sua dignità. Fuori luogo far riferimento al diritto di una parte in alcuni rapporti di scegliere con chi stipulare un contratto, sulla base di valutazioni che rimangono all’interno della sua sfera intima: questo vale prima di stipulare il contratto e non dopo. Nel rapporto di lavoro esiste l’istituto del periodo di prova, durante il quale sia il datore di lavoro che il lavoratore possono sciogliere il contratto senza essere tenuti a fornire giustificazioni. Trascorso questo periodo, non si vede perché riconoscere al datore di lavoro il diritto di sciogliere il contratto senza una giusta causa.
Nell’esperienza concreta sappiamo che dietro un ingiustificato licenziamento spesso si nasconde la pretesa del datore di lavoro a che il suo dipendente accetti condizioni di lavoro in violazione dei contratti, delle norme di sicurezza, perfino il diritto a iscriversi ad un sindacato. Guarda caso, proprio nelle piccole aziende è più alta l’incidenza di infortuni sul lavoro e più bassa la sindacalizzazione.
Ballardini ignora che proprio la scelta di puntare sulla compressione dei diritti e dei salari a scapito di investimenti sulla ricerca e l’innovazione ha reso meno efficiente il nostro sistema produttivo ed è causa del declino industriale del nostro paese.
Ballardini è completamente disinformato quando afferma che il governo ha rinunciato ad attaccare l’art. 18, quando invece il ministro del lavoro, incurante della mobilitazione di milioni di italiani chiamati alla lotta dalla sola CGIL ha riconfermato l’intenzione di modificarlo entro giugno. Proprio in questi giorni il governo ha introdotto ulteriori figure di lavoro, a cominciare dal "lavoro a chiamata", che disarticolano e frantumano il mercato del lavoro.
Infine Ballardini raggiunge l’eccellenza in pochezza politica quando ci "illumina" sulle ragioni sottostanti alla scelta di indire il referendum e parla di un Bertinotti che, con "il suo incorreggibile narcisismo", pur di guadagnare qualche punto nei consensi, fa un favore al gongolante Berlusconi (e così riemerge la famosa formula stalinista: "chi dissente è oggettivamente al soldo del nemico").
Evidentemente Ballardini reputa i soggetti che, con Rifondazione Comunista, hanno promosso il referendum (la Fiom, il più grande sindacato dell’industria, Verdi, sinistra sindacale CGIL e parte della sinistra DS) doppiamente "utili idioti": perché lavorano contemporaneamente per Bertinotti e Berlusconi. Tutt’altro che idioti, questi soggetti, cui si stanno affiancando nei comitati per il Sì migliaia di delegati ed intere categorie sindacali, si propongono col referendum di dare uno sbocco positivo alle grandi lotte che si sono svolte a difesa della dignità del lavoro.
Il referendum è una sfida possibile, la vittoria del Sì può rappresentare una tappa vincente nel percorso di riunificazione del mondo del lavoro, dove tutti i lavoratori, a prescindere dalla tipologia di contratto con il quale sono stati assunti e l’azienda dove lavorano, abbiano riconosciuti eguali diritti e dignità.
Al referendum tutti noi staremo dalla parte dei diritti dei lavoratori; dall’altro lato ci sarà Berlusconi. Ballardini faccia la sua scelta.
Agostino Catalano, segretario provinciale di Rifondazione Comunista