Regione, ricordo in bilico
55 anni dello Statuto di autonomia: una celebrazione senza riflessioni.
Il Consiglio provinciale di Trento ha festeggiato il 55° anniversario dall’approvazione dello Statuto del 1948. Si tratta di una rievocazione alquanto curiosa, soprattutto perché organizzata con una serie di interventi tutti trentini e tutti della stessa parte politica, e conclusa da due interventi di presidenti di assemblee legislative, Sicilia e Lombardia.
Nella cerimonia non è stato previsto alcun intervento da parte altoatesina, e a titolo personale (come presidente del legislativo sudtirolese) confesso di aver provato un forte imbarazzo nell’assistere ad una cerimonia - peraltro su invito e insistenza di chi l’ha organizzata - che così chiaramente intendeva attribuire al solo Trentino interesse e paternità (o maternità) del primo Statuto e riproporre, almeno da quanto si arguisce dal cerimoniale (posti a sedere, diritto di parola), quell’atteggiamento di paternalismo non disinteressato che i politici trentini di allora esercitarono verso quelli altoatesini negli anni difficili del primo Statuto. Questo episodio è speculare, senza contraddirlo, rispetto all’atteggiamento di sottomissione che caratterizza i rapporti di molti politici trentini con il presidente della giunta provinciale di Bolzano.
Più che di una celebrazione, dunque, ci sarebbe stato bisogno di una riflessione, per trarre dal significato storico di quell’avvenimento indicazioni - da un lato - sulla strada da percorrere nel rinnovare le istituzioni dell’autonomia regionale e - dall’altro lato - per evitare di ripeterne gli errori.
L’approvazione dello Statuto aprì allora una grande speranza: di riuscire a superare anche le divergenze di vedute fra le popolazioni locali e di aprire una nuova epoca, sperimentando per la prima volta un modello, quello dell’autonomia, che si sarebbe rivelato decisivo nella soluzione dei conflitti fra gruppi linguistici.
Tuttavia è bene non dimenticare che la gestione della Regione, nata allora come organismo istituzionale prevalente rispetto alle due province, fu causa di conflitto e di sfiducia da parte sia della minoranza nazionale di lingua tedesca, sia da parte degli italiani di Bolzano, che non trovarono nei politici trentini dei rappresentanti in grado di interpretare i loro bisogni e le loro opinioni.
Dunque se dello Statuto di allora è importante ricordare che fu il primo nobile tentativo di attuazione dell’Accordo De Gasperi-Gruber, è altrettanto importante non scordare che ad esso e ai suoi errori di attuazione venne posto fine attraverso un’azione coraggiosa "esterna" alle istituzioni locali, che evidentemente non erano in grado di riformarsi rappresentando sufficientemente i problemi emergenti.
Ciò che ne è scaturito è non solo il secondo Statuto, che ha ridisegnato di fatto due autonomie, soprattutto nelle ragioni del loro esistere, ma la restituzione alle popolazioni conviventi in Sudtirolo del diritto-dovere di rappresentarsi e di trovare fra di loro il terreno di collaborazione e di consenso necessari al mantenimento della pace e allo sviluppo futuro.
La negata ma reale perdita di senso della Regione, sostanzialmente avallata dalle maggioranze al governo e dall’ostruzionismo pluriennale nel Consiglio regionale, sta di fatto facendo declinare la tanto invocata "tripolarità" del sistema autonomistico. "Tripolarità" è parola intraducibile in tedesco, e questo dovrebbe dirla lunga…
Per tutte queste ragioni, se si vuole ricostruire il rapporto istituzionale fra le due Province vicine sarà necessario partire da un atteggiamento di rispetto reciproco e non dal comportamento di cugini rancorosi o distratti, tenendo conto che la secolare vicinanza e interessi culturali, economici, ambientali comuni richiedono con forza che i legami fra le due realtà non vengano lasciati degradare per l’incapacità della politica di fare il suo mestiere.
In questo ambito c’è molto da fare.
La fase di riforme più importante per il futuro dell’autonomia, che consiste in riforme "interne", competenze ai comuni, definizione legislativa dei rapporti interistituzionali, fra Giunta e Consiglio ad esempio, o rispetto all’Unione Europea, apertura alla partecipazione della cittadinanza alle attività della pubblica amministrazione e legislative, non trovano alcun terreno comune né alcuna forma di colloquio istituzionale fra le due Province.
La confusione fra partiti e istituzioni, l’influenza deleteria del principio "tutto il potere alla maggioranza" e la tentazione di ridimensionare l’equilibrio fra i poteri a favore dell’esecutivo, che informano la politica italiana, porta all’incapacità di distinguere fra livelli della decisione amministrativa e ambito di definizione delle regole di convivenza, fra istituzioni e segreterie di partito, e nel caso delle due Province vicine aprono la strada a infiniti equivoci nei rapporti reciproci e a una sostanziale divaricazione.