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L’Autonomia fra storia e attualità

Celebrazioni per l’anniversario dello Statuto: belle parole sul tema della convivenza. Meno confortanti i fatti.

L’estate politica del Sudtirolo si è aperta già l’11 giugno. In questo giorno, trent’anni fa a New York, nella sede dell’ONU, si chiuse, in un incontro fra il segretario generale Boutros Ghali e gli ambasciatori di Italia e Austria, la vertenza fra i due stati riguardante il Sudtirolo. Era stata aperta nel 1960 e 1961 e aveva avuto come esito un invito ai due paesi di attuare l’Accordo De Gasperi-Gruber siglato a Parigi il 5 settembre 1946.

La Commissione dei 19 elaborò un primo “pacchetto” di misure nel 1964 e una seconda commissione il “pacchetto” che aveva fra le sue misure un secondo Statuto d’Autonomia, approvato dal Parlamento italiano, ed entrato in vigore nel 1972.

L’attuazione della nuova legge fondamentale del Sudtirolo richiese vent’anni. La commissione che ebbe il compito di concordare e proporre le norme di attuazione fu costituita in modo paritetico. La presidenza fu affidata ad Alcide Berloffa, un esponente della parte chiamata “sinistra” della DC, il partito italiano più potente in quegli anni. Non fu una cosa semplice: gli italiani, non adeguatamente informati dei cambiamenti, reagirono in parte negativamente e, dal canto suo, il partito di maggioranza etnica era composto da diverse correnti, alcune apertamente secessioniste e altre, in risicata maggioranza, disposte a concordare un sistema che garantisse alla minoranza linguistica, soprattutto tedesca ma anche ladina, i diritti civili, sociali ed economici. La difficile storia dei decenni precedenti, che aveva visto i governi italiani incapaci di affrontare la questione del disagio profondo della minoranza linguistica, espresso in modo anche violento, spinse la Svp a chiedere norme molto precise in ogni settore. Fu così che i tempi si allungarono. Ciò permise di adeguare e ampliare le norme ai nuovi tempi. Dall’altro lato, i grandi cambiamenti in ambito dei diritti civili, sociali ed economici che segnarono l’Italia e l’Europa in quei decenni, rimasero al margine della politica locale.

La concentrazione di tutto il dibattito politico e culturale sulla questione dei diritti etnici da dare e da (non) perdere, mise in secondo piano e rese in parte “trasparenti” i bisogni degli abitanti della provincia. Alla fine degli anni Settanta, un movimento soprattutto di giovani cominciò a chiedere che venissero affrontati i problemi che sentivano fondamentali, come i diritti civili delle donne, le questioni ambientali e sociali, e il diritto a una convivenza che significava anche il riconoscimento di coloro che vivevano per ragioni familiari o per elezione una realtà mistilingue.

Bolzano, Giornata dell’Autonomia. Arno Kompatscher fra Romano Prodi e Heinz Fischer, presidente austriaco (dal 2004 al 2016).

Il sistema autonomo è stato realizzato dalla maggioranza politica sulla base di un progetto di società rigidamente separata.

A far superare le ultime difficoltà - fra le quali gli attentati di Ein Tyrol fra il 1987 e il 1988 e il tentativo di rilanciare la secessione di un gruppo di esponenti della Svp sull’onda dell’indipendenza della Slovenia e della riunificazione della Germania - furono diversi fattori: la stanchezza della popolazione, che chiedeva alla politica di occuparsi anche d’altro; la consapevolezza della bontà di un percorso che trovava soluzioni attraverso il metodo del consenso, faticoso ma forte; il timore di conseguenze come quelle terribili della guerra in ex-Jugoslavia; il sincero e intenso impegno di una parte della politica e della società civile, a partire dai sindacati confederali di allora e di esponenti al di qua e al di là del confine, che volevano la pace; non ultima la dedizione di alcune persone, fra le quali Alcide Berloffa. Nel 1991-92, con il segretario politico della Svp Roland Riz, si arrivò, con un rush finale, all’emanazione di un ultimo gruppo di norme di attuazione.

La Commissione esteri e minoranze del Parlamento di Vienna volle consultare quasi tutti i gruppi politici del Consiglio provinciale di Bolzano: era la prima volta in cui anche altri partiti oltre alla Svp potevano esprimere la loro posizione su un processo che avrebbe cambiato il futuro del Sudtirolo intero (anche chi scrive prese parte insieme ad Arnold Tribus e a un collega ladino, per i Verdi Alternativi, unica delegazione trilingue).

In Austria e in Tirolo tutti i partiti avevano partecipato al processo di soluzione della vertenza (ed era solo da loro che nel corso del tempo si avevano le informazioni su quanto stava accadendo). La Svp fu contraria fino all’ultimo al coinvolgimento di altri, e particolarmente di coloro che erano schierati per la convivenza e per una società capace di garantire i diritti civili di tutti e tutte e anche di favorire la crescita di amicizia e solidarietà interetniche, coloro che volevano che l’Autonomia fosse un modello per l’Europa, non solo per la difesa delle minoranze storiche, ma con l’obiettivo di saper includere tutti e tutte coloro che abitano la stessa terra e condividano la responsabilità di prendersene cura.

In quel tempo si potevano capire i timori della minoranza tedesca. Incomprensibile fu invece il boicottaggio che la destra Svp guidata da Durnwalder fece dieci anni dopo, al convegno organizzato dalla Presidenza del Consiglio provinciale per ricordare i 10 anni trascorsi dalla chiusura della vertenza e riflettere sui cambiamenti avvenuti. (Si possono leggere gli atti in due libri, uno edito dal Mulino di Bologna e uno dell’editore NOMOS di Baden-Baden).

La tesi dei conservatori nella Svp (con eccezione degli Arbeitnehmer, la corrente dei lavoratori dipendenti e di qualche singolo consigliere) ancora nel 2002 era che “non si era chiuso niente”. Una posizione che nei giorni scorsi è stata ribadita dalla nuova dirigenza degli Sch?tzen, che della Giornata dell’Autonomia dicono che “non c’è niente da festeggiare”.

Allora, nel 2002, al Ballhaus, nella sede della Cancelleria austriaca, in una celebrazione analoga, mentre i ministri italiano e austriaco si compiacevano per la chiusura della vertenza e gli sviluppi successivi nel Sudtirolo, Durnwalder dovette moderare la sua ostilità (esplosa dopo la fine del suo mandato con il suo avvicinamento alle destre estreme oltre che a certi intrallazzi).

“Abbiamo vinto?”

L’11 giugno mi sembrava strano sentire quelle parole dalla voce del Presidente Svp della giunta provinciale, Arnold Kompatscher, sul palcoscenico del teatro comunale: convivenza non vicinanza, amicizia non solo tolleranza. Ripetute da Fernand de Varennes, incaricato speciale dell’ONU per le questioni delle minoranze.

Sottovoce ho chiesto ad Arnold Tribus, che ha condiviso con me e altri quel sogno: “Abbiamo vinto? Parlano come noi allora” (allora, quando Silvius Magnago diceva di Alexander Langer che era per il Sudtirolo “più pericoloso dei fascisti nel ventennio”). Tutta la vita lo avevo sperato. Lui, che ne sa molto, poiché dirige l’unico giornale cartaceo sfuggito al monopolio dell’innominabile proprietario di tutto, è però scettico. Spero abbia torto, benché in effetti ci troviamo in un teatro dove si recita in italiano e in tedesco, ma che non ha un nome, al pari dell’Auditorium di musica, perché i politici di oggi ritengono che non si possano chiamare Haydn e Verdi: gli uni non vogliono un “tedesco”, gli altri non un “italiano”! Perfino i grandi artisti mondiali qui vengono schiacciati su un’identità puramente nazionale.

Kompatscher ha voluto per il 5 settembre, giornata dell’Autonomia, un’altra cerimonia solenne per ricordare i 70 anni del nuovo Statuto. Ha parlato del Sudtirolo come di un ”laboratorio di uno sviluppo sostenibile a livello ecologico, sociale ed economico”. Fa promesse ai giovani di Fridays For Future e poi tradisce il referendum sull’aeroporto, finanzia le devastazioni delle prossime Olimpiadi del 2026, ignora il terribile inquinamento del capoluogo, finanzia gli ospedali periferici e ignora quello principale. Parla di Autonomia “dinamica”, senza virgolette, ma non parla di garanzie di partecipazione ai gruppi linguistici minoritari per i cambiamenti di quella che è la legge fondamentale. Mescola lo Statuto con l’Europa Region Tirol.

Intanto le giovani generazioni crescono in scuole separate monolingui e monoculturali (con l’eccezione dei ceti alti, naturalmente). In realtà, la rigidità del modello separatista impedisce oggi di affrontare le nuove sfide, di rispondere alle richieste dei/delle giovani e di tanti che chiedono “altro”. Le questioni fondamentali rimangono sempre solo una questione interna alla Svp, anche se il partito etnico si trova in una crisi profondissima (con sondaggi da paura)?

5 settembre 1946, l’Accordo De Gasperi - Gruber.

Ma la priorità, oggi come allora, era ed è di investire in convivenza. Il compromesso indispensabile non è certo da trovare fra le aree in lotta nel partito etnico, che anche nel Congresso di sabato 3 settembre a Merano ha rimandato lo scontro fra gruppi di potere o consorterie, ma va cercato fra le persone che abitano la stessa terra. Lui ha chiesto a tutti “responsabilità”. Perché si deve essere responsabili se infine a decidere sono sempre altri, che oltretutto hanno nel loro statuto l’impegno a fare l’interesse solo di una parte della popolazione? In una sua rara e recente intervista al Tiroler Tageszeitung (quotidiano del Tirolo austriaco), il presidente ha spiegato che nel suo partito ci sono due tendenze: una conservatrice e una liberale. E dice che presto si dovrà fare chiarezza, condizione per lui per ricandidarsi alle provinciali (e regionali) del prossimo anno. Sembra trascurare che dai temi importanti per il partito etnico di maggioranza in tutte le sue correnti o aree rimangono drammaticamente fuori le questioni cruciali dell’ambiente e della giustizia sociale. Al suo appello per stare uniti di fronte alla (supposta) “progressiva erosione delle competenze delle regioni autonome”, risponde dalla campagna elettorale in corso il centrodestra, che ha grandi amici fra gli avversari di Kompatscher nel partito, siglando un “patto interno fra tutte le componenti per la difesa delle autonomie”.