La sindrome socialista
La suicida spinta al frazionismo della sinistra trentina.
Forse è bene che il morbo sia esploso con tanto clamore e con così grande anticipo. Una diagnosi precoce può giovare e rendere possibile una tempestiva terapia risanatrice.
Mi riferisco alla "sindrome socialista" che sta manifestandosi con somma virulenza nella sinistra trentina in questa lunga vigilia elettorale. Frazionismo e scissioni sono stati i vizi fatali che hanno impresso sulla storia del socialismo italiano un’impronta sovente drammatica. A cominciare dal 1921, quando la rottura dei comunisti spalancò la strada al fascismo. I comunisti impararono la lezione e ne tennero conto negli anni successivi. Non così i socialisti, che nel secondo dopoguerra subirono la scissione di Saragat, poi quella di Romita, quindi la spaccatura del PSIUP. Dopo un breve momento di saggia ricomposizione almeno parziale seguì una rinnovata rottura delle ormai esigue forze. Come una maledizione biblica il tarlo della interna intolleranza ideologica ha segnato la storia pur gloriosa del socialismo italiano. Ma ai tempi che ho evocato i motivi di contrasto avevano una rispettabile consistenza ed un ragionevole fondamento. "Riformisti" e "rivoluzionari" corrispondevano a due scuole di pensiero ed azione dotate di riferimenti reali. In un mondo dominato dalla guerra fredda fra URSS e USA le differenze non erano sfumature ma vocazioni radicalmente opposte. Ma oggi? Dove sono i rivoluzionari?
E quindi che senso ha definirsi "riformisti" quando tutti lo sono, e persino non solo a sinistra ci si qualifica come tali? Ed a maggior ragione qui da noi, in Trentino, dove stanno le ragioni di fondo che giustifichino a sinistra partiti, frazioni, liste l’una contro l’altra armate? L’appoggio o meno alla candidatura Dellai alla presidenza della Provincia?
Suvvia, non facciamo ridere!
Eppure Walter Micheli, il vero profeta di "Costruire Comunità", con grande sapienza dalla sfera della cultura politica sta portando il suo movimento sul terreno della contesa elettorale. Mario Raffaelli, intelligente ed esperto politico della prima repubblica, prende a braccio il frenetico Gigi Olivieri per varare una lista di riformati che hanno già deciso a favore di Dellai e del suo ancora sconosciuto programma. Nicola Zoller, custode geloso e puntiglioso di una tradizione che ha vissuto con orgoglio e sofferenza, rivendica per la sua lista la primogenitura riformista. In mezzo a questo pullulare di "primedonne" Mauro Bondi, segretario dei DS, tenta di amministrare il suo patrimonio politico ed elettorale avendo cura di non dissiparlo, ma al tempo stesso mostrando propensione a fonderlo con altri aneliti.
Avete notato che tutti i nomi che ho citato, tranne Gigi Olivieri, vengono dal partito socialista? Tutti sono socialisti storici, più o meno! Tutti portano nel loro patrimonio genetico e culturale il gusto caparbio di un fiero protagonismo. Un po’ come Fausto Bertinotti, di matrice socialista anche lui.
Naturalmente ognuno porta qualche argomento a sostegno della sua iniziativa. C’è chi, come i neoriformisti di Raffaelli, vagheggia una Margherita Rosa, cedendo alla suggestione territoriale di Dellai e concependo un Trentino monolitico in competizione con il resto del mondo. O chi, con i toni messianici di Passerini, a giuste rivendicazioni di programma affida la carica dirompente di una sfida all’ultima goccia di sangue. In compenso gli uni e gli altri sono perfettamente d’accordo nel coprire di sprezzanti contumelie i Democratici di Sinistra. E nell’ignorare del tutto la destra ed il governo Berlusconi, che evidentemente considerano particolari irrilevanti.
Come se l’universo si fosse contratto e non esistesse altro che il campo dei riformisti di sinistra più o meno radicali ed esigenti. Ma l’orizzonte è più vasto. C’è o non c’è l’esigenza primaria di coalizzare tutti coloro che contrastano questa destra avventurosa e pasticciona? Non è questo obiettivo prioritario così importante da rendere accettabile qualche sacrificio della propria identità?
E’ vero o non è vero che per sollevare i problemi ed indicarne la soluzione basta essere una minoranza anche esigua, ma in democrazia per affrontarli e risolverli concretamente occorre essere maggioranza?
E’ evidente che formare la maggioranza con la Margherita per la sinistra non è facile. Lo abbiamo sperimentato in questa scadente legislatura, e lo sarà ancor di più ora che la navicella della Margherita porta nella sua stiva un nuovo carico, pur auspicato, di autonomisti e centristi.
Ma davvero crediamo che sia più facile influire su Dellai tallonandolo in ordine sparso, anziché in una compatta formazione portatrice di un programma chiaro e maturo e rappresentato da una compagine di consigliere e consiglieri di qualità ed affiatati?
Provo persino imbarazzo ad esporre queste osservazioni così ovvie e di elementare buon senso.
Come è possibile che non le condividano i consumati protagonisti delle vicende di queste settimane?