Toti Scialoja n° 2
Scialoja pittore e poeta in una mostra estiva al Palazzo dei Diamanti di Ferrara.
Nel girovagare estivo ha destato grande interesse culturale il dialogo a distanza, con cataloghi ed articoli, tra Giuseppe Appella e Fabrizio D’Amico, studiosi ambedue dell’arte del nostro Novecento, il primo curatore della mostra ospitata nella chiesa rupestre di Santa Maria della Virtù e presso il Circolo La Scaletta di Matera, dedicata alla scultura e alla grafica di Leoncillo, il secondo curatore della prima grande antologica dedicata a Toti Scialoja dopo la sua morte al Palazzo dei Diamanti di Ferrara.
Tra l’altro il 15 giugno veniva presentato il volume di Scialoja "Poesie 1961-1998" edito nella splendida collana celeste della Garzanti curata da Giovanni Raboni, che da anni indica in questo artista uno dei grandi poeti italiani del secolo appena concluso. (A dirla tutta, sarebbe anche ora di ripubblicare il "Giornale della pittura", altro gioiello di poesia, quasi un lungometraggio a forti tinte, diario -impressionante per lucidità critica - di un’epoca di artisti controcorrente che avvertono da subito il lievito degli artisti americani, rinunciano alle certezze e alla pedagogia e ripartono dalla materia, dalla superficie).
E’ appunto la superficie della tela per Scialoja "la presenza incombente, incancellabile della coscienza come dimensione fisica... sulla superficie accadono le cose". Ed è già nelle opere degli anni Cinquanta che l’immagine frammentata trova un punto di coesione, un timbro dominante nel colore della terra sporca, della ruggine come residuo depositato dal tempo in accordo con le sollecitazioni di Burri ad abbandonare l’olio (quindi la pittura di cavalletto) per le sabbie e i vinilici, per l’automatismo e la gestualità che non significano assenza di se stessi, casualità impersonale come Leoncillo gli rinfaccerà (scriverà nel suo diario che l’impronta di un sedere sulla sabbia individua comunque una presenza), ma "voglia di incidere direttamente con la mia vita - scriverà Scialoja - su tutta la superficie della tela". La preparazione della tela a terra, gli stracci imbevuti di colore, neri, biacche ,ocre, lo stampaggio sono tutti momenti di un rito, "cerimoniale psicofisico" (Appella) sempre controllato, lucido, autoanalitico. Solo un poeta può scrivere così: "Dipingere è diventato per me quello che doveva essere per i pittori antichi: semplicemente un modo di imitare per amore. Imito la mia natura, cioè la mia cultura... e insieme la mia sensazione di esistere"; solo ad un poeta creatore di sublimi filastrocche può capitare di ritrovarsi a Procida nell’estate del ’57 con artisti che si chiamano Afro, Birolli, Perilli, Novelli, Marca-Relli...
Ci eravamo già occupati di Scialoja nel dicembre del ’99 su queste pagine in occasione della mostra alla Galleria dello Scudo: dobbiamo aggiungere il capitolo della quindicina di sculture realizzate in bronzo nell’89, che come scorze d’albero o sorta di mappe antiche, emanano ancora un sentore d’eucalipto o la traccia dei segni di un altrove.