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A proposito del nuovo Mart

Roberto Togni

In questi giorni è stata ufficialmente annunciata alle autorità ed al pubblico la prossima apertura (dicembre 2002) del nuovo Mart, Museo d’arte moderna e contemporanea del Trentino, nella nuova, grande, prestigiosa e multimiliardaria sede roveretana. Un quotidiano locale ha lamentato l’assenza dell’università; giustificata la nostra, perché ne eravamo all’oscuro. Allineato, nel mio piccolo, alle posizioni del grande poeta che si dichiarava vergine da "servo encomio" e da "codardo oltraggio", mi sono astenuto finora da qualsiasi commento, non per disinteresse, ma per discrezione.

Aroldo Bonzagni, “Zingari” (olio su tavola, 1918).

E se ora rompo l’indugio lo faccio limitandomi alle mie competenze di museologo, salvo alcune esperienze condotte, in anni giovanili, anche sul versante storico-artistico, critico e architettonico. Mi riferisco in particolare a studi giovanili: la monografia interna alla collana trentina di Riccardo Maroni, che ho pubblicato proprio a Trento nel 1969, "Ambrogio Rosmini architetto e pittore", la tesi di laurea su "Aroldo Bonzagni pittore", firmatario del Primo Manifesto Futurista, e due successivi articoli sul medesimo: "Per un profilo storico di Aroldo Bonzagni (1887-1918)" in ‘Arte Lombarda’, VIII, 1963; "Aroldo Bonzagni disegnatore di attualità. La collaborazione a "El Zorro", I9I4, in ‘Critica d’Arte’, n. I60-I62, I978.

Rovereto, il cortile di palazzo Fedrigotti.

Perché chiamare in causa il Rosmini e il Bonzagni a proposito del nuovo Mart? L’uno perché artefice del contesto urbanistico ed architettonico storico in cui si colloca il nuovo Mart; l’altro per la posizione che occupa nei confronti del primo Futurismo di cui il Mart si propone come autorevole centro di documentazione. Ambrogio Rosmini, infatti, è quel colto architetto, urbanista e pittore roveretano vissuto tra Settecento e primo Ottocento, membro ufficiale della "Commissione dell’Ornato" della sua città (l’antica commissione edilizia) al quale si debbono la creazione di Corso Bettini e di alcuni importanti edifici prospicienti, quali Palazzo del Grano, oggi biblioteca, dietro alla quale oggi sorge il nuovo Mart e il Palazzo Fedrigotti, al cui cortile circolare l’architetto Botta dice di essersi ispirato.

Di recente ho gradito che la Direttrice Belli riferisse ai miei studenti di museografia gli antefatti, la storia ed i programmi del nuovo Mart. D’altra parte ho sempre considerato come auspicabili e degne della massima attenzione le iniziative di museografia nel settore dell’arte contemporanea in Italia, visto che il nostro paese ha brillato per troppo tempo in trascuratezza verso la contemporaneità. Per non dire della disattenzione statale italiana su tutto il fronte dei beni culturali, artistici, archeologici, che oggi sembrano minacciati da nuovi assalti connotati da privatizzazione selvaggia e da managerialità troppo disinvolta. Il disimpegno nelle collezioni, negli acquisti d’arte contemporanea, nella documentazione, nelle sedi e nelle strumentazioni è tale che, se oggi ci si vuole davvero documentare sui nostri maggiori artisti del secolo appena passato, occorre rivolgersi a musei stranieri! Orbene ben venga il nuovo Mart se si muove su tale auspicabile linea ad occupare un vuoto davvero reale.

Il progetto architettonico è opera alquanto massiccia del noto architetto ticinese Mario Botta. Il grande spazio d’ingresso o piazza circolare coperta, sovente pubblicizzato, è certamente affascinante e sta diventando quasi logo del Mart. Vorremmo che all’atto pratico potesse essere vissuto come una porzione di città davvero animata dalla gente e da iniziative idonee, opportunamente coordinate. Gli abitanti stessi di Rovereto dovrebbero a questo punto farsi carico in certa misura di questa "scommessa" culturale e di trasformazione urbana, considerare con interesse l’ipotetico nuovo ruolo di corso Bettini quale luogo di pedonalità tanto o prevalentemente commerciale, quanto culturale e di corrette forme di loisirs: passeggiata, museo, teatro, sala concerti, università, giardini pubblici, in felice simbiosi. Tutto questo per evitare il rischio della "cattedrale nel deserto", come risultano essere le banche blindate e vuote di sera di molte città.

Si potrebbe osservare che in linea teorica in un territorio come la valle dell’Adige, dove il paesaggio incombe e la fa da padrone, sarebbe piaciuto un museo che fosse più aperto sull’ambiente, che collocasse sculture nel verde e nello spazio aperto. Basti pensare al Museo Louisiana, in Danimarca. Forse si poteva perfino scegliere una collocazione extraurbana, nell’area dell’ex-Montedison di Mori, qualora questa fosse stata destinata ad un organico complesso di iniziative diverse, talune anche produttive, compatibili con la valorizzazione dell’archeologia industriale, cioè con un parziale riuso culturale e museale dei vecchi manufatti industriali (vedi la tesi di laurea di un nostro bravo allievo: Simone Toss, "Lo stabilimento ex-Montedison di Mori, quale riuso?", Trento 2000). Ma ci è stato fatto puntualmente notare che il terreno disponibile da parte dell’ente pubblico era quello di Rovereto e che si voleva un museo dentro la città.

Per concludere, si vuole ripetere una sommessa proposta in tema di collezioni già accennata a voce alla dottoressa Belli. Alludiamo all’eventualità di accrescere le collezioni del Mart con l’acquisizione o l’uso convenzionato di una parte delle opere del già citato pittore Aroldo Bonzagni (Cento di Ferrara, 1887 - Milano 1918), apprezzato dalla critica e stimato da colleghi ed intellettuali coevi (Marinetti, Umberto Boccioni, Antonio Sant’Elia, Guido Marussig, Carlo Carrà, Aldo Carpi, ecc.); ma di fatto scivolato nell’oblio perché morto a trent’anni, di febbre spagnola, nel clima tragico della Prima Guerra Mondiale. Era stato firmatario del Primo Manifesto futurista, non del secondo, senza smentire gli amici, ma perché dedito ad una pittura diversa, più in linea con Previati, con H. Anglada y Camarada, con la Secessione, con un certo espressionismo tedesco, noto nell’Italia e nella Milano di quegli anni stessi per il tramite delle riviste Simplicissimus e Jugend. Tra i soggetti ricorrenti: barboni, musicisti ambulanti, signore della belle époque (famoso il ritratto di Armida Borelli) e motivi di satira politica. Questi talora ricorrevano in grandi cartelloni caricaturali esposti periodicamente in una centralissima vetrina di Milano. Di grande finezza l’attività grafica, quale quella svolta per illustrare una coraggiosa rivista argentina, El zorro, durante un breve soggiorno a Buenos Aires (1914) nell’imminnza del conflitto mondiale 1914. (vedi: Luciano Caramel, "Voce Bonzagni", in Dizionario Biografico degli italiani).

A nostro modesto avviso la presenza dell’opera del Bonzagni al Mart potrebbe degnamente aggiungere alla ‘Sezione Futurismo’ la testimonianza di certi fenomeni culturali che si svolgevano non in antitesi con il Futurismo, ma parallelamente nella Milano dei primi due decenni del Novecento.