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La crisi balcanica

Piera Graffer

Come Alessandro Magno, la Nato ha tranciato con la spada il nodo gordiano della crisi balcanica. Non si sa cosa sia successo del groviglio del grande macedone, ma forse si trattava solo di un pezzo di corda. Quello balcanico coinvolge esseri umani, e la Nato lo ha trasformato in catastrofe. Una catastrofe immensa.

Se si vuole sciogliere un nodo di corda bisogna cercare un cappio e poi svolgerlo pazientemente, seguendone pazientemente tutti i contorcimenti. Nel caso di esseri umani si deve indagare, con altrettanta pazienza e con infinita umiltà, nella loro storia.

Quella degli slavi è molto antica. Inizia con le invasioni dei barbari e dei romani. Ma il nodo comincia ad aggrovigliarsi durante l’impero bizantino. Da quando il serbo Costantino (era di Nis) trasferì la sua capitale da Roma a Costantinopoli nel IV secolo d. C., fino alla battaglia di Kosovo Polje (Campo dei Corvi) nel 1389, la penisola balcanica fece parte dell’impero romano d’oriente. Il suo splendore di porpora e d’oro durò fino alla conquista turca nel 1453, cioè mille anni più di quello di Roma, messa a sacco dai visigoti nel 425 d.C.

I turchi avevano subito tre secoli di invasioni e orrori indicibili da parte dei crociati, da cui impararono la crudeltà. Risposero con la jihad, o guerra santa. Con una serie di battaglie durate decenni accerchiarono Costantinopoli e s’impadronirono un po’ alla volta delle sue terre.

Con la battaglia di Kosovo Polje i turchi conquistarono la penisola balcanica. Riunirono i soldati vinti in gruppi di cento e li accecarono tutti all’infuori di uno, cui lasciarono un occhio perché li potesse guidare a casa. Graffiarono via gli occhi anche ai mosaici e agli affreschi dei monasteri. Era un gesto di spregio che voleva significare lo spegnimento della luce di civiltà, che Bisanzio si era sempre vantata di irradiare sul mondo. Da allora i cristiani bizantini sottomessi furono chiamati slavi, cioè sclavi, schiavi, e serbi, cioè servi.

Nei sei secoli che seguirono i turchi perseguitarono i cristiani della penisola balcanica. Lo scrittore jugoslavo Ivo Andric’, premio Nobel per la letteratura, ne ha fatto argomento dei suoi romanzi.

Nel XIX secolo un gruppo di slavi capitanati dal vojvoda Micho Ljubibratic’ si ribellò al giogo turco e, con l’aiuto di un drappello di garibaldini, riuscì a liberarsi. In cambio il vojvoda inviò dei suoi, che presero parte alla spedizione dei Mille. Un drappello di serbi contribuì alla riunificazione d’Italia. Anche gli Asburgo avevano contribuito alla liberazione della Jugoslavia. In cambio se ne impadronirono. I popoli del nord, croati e sloveni, cattolici come l’Austria e ad essa legati dalla storia e dalla vicinanza geografica, si amalgamarono bene nell’impero Asburgico. I serbi ortodossi, ultimi ed unici discendenti di Bisanzio, ortodossi, no. Si sentivano oppressi. Così un gruppo di nove anarchici bosniaci chiamato Nuova Bosnia decise di sparare all’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria in visita a Sarajevo. Tirarono a sorte e la paglia corta toccò a Gavrilo Princip. Sparò e l’erede al trono morì.

Era il 14 agosto 1914. L’imperatore d’Austria decise di dare una lezione ai serbi e dichiarò guerra. Lo zar russo decise di correre in aiuto dei suoi fratelli, slavi e ortodossi. Era iniziata la prima guerra mondiale. Finì con la disintegrazione dei partecitanti. L’impero d’Asburgo scomparve dalle mappe e sul trono dello zar Nicola II salì il georgiano Josip Vissarionovic’ Giugashvili detto Stalin.

L’Austria e la Germania, che avevano perso la guerra, furono obbligate dai vincitori a risarcimenti che mandarono in malora le loro economie. L’austriaco Adolf Hitler seppe unire i fili dell’odio dei vinti per i vincitori e salì al potere. Di lì a poco scoppiò la seconda guerra mondiale, durante la quale gli slavi del nord, sloveni e croati, combatterono a fianco dei tedeschi. Quelli del sud, cioè i serbi, morirono a fianco degli anglo-americani.

Nei primi anni di guerra, quando i nazisti erano all’attacco, i loro alleati cetnici sloveni e croati compirono orrori inenarrabili sulle minoranze serbe che da secoli abitavano all’interno dei loro confini. Li raggruppavano nelle loro chiese e poi davano loro fuoco, bruciandoli vivi. Oppure strappavano loro gli occhi.

Dopo la guerra il partigiano Tito prese il potere, e con pugno di ferro riuscì a tenere sopiti gli odi tremendi che covavano fra le tre etnie : croati e sloveni cristiani cattolici, serbi cristiani ortodossi e turchi mussulmani.

Dopo la guerra, a Yalta, i rappresentanti delle tre potenze vincitrici - Roosvelt, Churchill e Stalin - si divisero il mondo. La Jugoslavia toccò a Stalin. Nessuno si peritò di chiedere a quei popoli se erano d’accordo o meno di diventare comunisti.

Dopo il crollo del muro di Berlino e del regime comunista la Jugoslavia si spaccò. Croazia e Slovenia dichiararono la propria indipendenza e il mondo istantaneamente gliela riconobbe. L’odio a lungo represso si scatenò e iniziarono le persecuzioni alle minoranze serbe.

In Bosnia si tennero le prime elezioni libere. La popolazione era composta per un 50% di turchi mussulmani, per un 20% di croati e sloveni cristiani, e per un 30% di serbi ortodossi. Ma ai serbi non venne concesso nessun seggio in parlamento. Essi interpretarono questo fatto come una condanna a morte. Dopo sei secoli di persecuzioni turche e dopo le recenti persecuzioni in Slovenia e Croazia decisero di ribellarsi.

Quello che successe poi è stato descritto miliardi di volte sui media di tutto il mondo. I serbi furono presentati come mostri.

Ringalluzziti dal sostegno del mondo i mussulmani del Kosovo alzarono la testa. Dopo la fine della seconda guerra mondiale erano 425. Nel 1999 erano diventati il 90% della popolazione. La maggioranza mussulmana perseguitava la minoranza serba. Slobodan Milosevic’ in campagna elettorale andò in Kosovo e promise ai serbi che se fosse stato eletto nessuno avrebbe più osato toccarli. Fu eletto.

Non ci dilunghiamo su quello che seguì, perché è stato ampiamente descritto, sia pure in maniera parziale, dai media di tutto il mondo.

A questo punto la Nato attaccò la Jugoslavia. Con quattro mesi di bombardamenti rase al suolo tutte le strutture di un paese già stremato da dieci anni di embargo. Il nemico dichiarato era Milosevic’, che sopravvisse felicemente, mentre la Jugoslavia fu distrutta.

Noi non vogliamo dare nessun giudizio morale sull’attacco Nato. Ci limitiamo a concludere che lo scopo dichiarato di punire Milosevic’ non fu raggiunto (Milosevic’ fu consegnato un anno dopo la fine della guerra in cambio di una promessa di denaro che non ci risulta sia ancora stata onorata). In compenso furono ammazzate migliaia di civili, uomini, donne, bambini, vecchi. Oltre ai soldati che, in fondo, sono esseri umani anche loro.

Quali che siano stati i crimini dei serbi, la Nato ha sparso sulla Jugoslavia migliaia di tonnellate di armi all’uranio impoverito. Si tratta di un metallo pesante, scoria delle centrali nucleari, che esplodendo si sparge ovunque. Al contatto degli agenti atmosferici si trasforma in sale, che poi si scioglie con la pioggia e contamina il terreno. La metà-vita (half-life) dell’uranio impoverito è di quattro miliardi e mezzo di anni.

L’uranio impoverito non è radioattivo ma velenosissimo in quanto provoca il cancro e nascite teratogene, cioè fa fare figli mostri a coloro che vi sono stati esposti. Tale materiale è già stato usato nella Guerra del Golfo, e i filmati delle malformazioni dei bambini irakeni sono stati mostrati da tutte le televisioni.

Concludiamo pertanto dicendo che la Nato, tranciando con la spada il nodo jugoslavo, lo ha trasformato in genocidio.

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