Salviamo il paesaggio trentino
Per anni ho tenuto su Questotrentino una rubrica a difesa del patrimonio storico-artistico, segnalando monumenti in degrado, come il magnifico palazzo Lodron a Ponte Caffaro (Gli orrori di Ponte Caffaro), monumenti spariti, come le arche castrobarcensi di Loppio, restaurate a cura della Provincia e rese inaccessibili dai loro proprietari, oppure denunciando costosi e devastanti arredi urbani (Arredo urbano? No grazie!) che hanno snaturato sagrati di chiese artistiche e cimiteri (Sporminore, Livo, Sarnonico, Terzolas, Marter, S. Apollinare a Piedicastello…)
La situazione non è migliorata nel corso del tempo, anzi.
Da alcuni anni a questa parte è il paesaggio stesso a subire assalti massicci e irreversibili che rischiano di ledere per sempre il territorio trentino, con inevitabili ripercussioni sull’immagine stessa del territorio, sulla sua identità storica e naturale e sull’offerta turistica.
Dai tempi delle medievali carte di regola il Trentino è sempre stato caratterizzato da un’attenta gestione del territorio che ha avuto l’enorme pregio di preservare le risorse naturali e di consegnarci boschi, prati, campagne e borghi fino all’altro ieri intatti, che costituivano l’orgoglio del Trentino, orgoglio derivato dal fatto di aver assicurato uno sviluppo economico compatibile con la salvaguardia del territorio e improntato a criteri urbanistici di qualità.
Ne è un esempio la zona industriale di Rovereto, sorta nei lontani anni Sessanta e ancora oggi caratterizzata da costruzioni razionali, spesso non scevre di eleganza, inserite in un contesto gradevole di strade regolari e di spazi verdi.
Negli ultimi tempi invece il paesaggio trentino, quello che si dovrebbe "vendere" turisticamente, è stato snaturato dal sorgere di centri commerciali e artigianali spalmati un po’ dappertutto da Trento a Pergine, da Riva (è recente la giusta protesta contro l’edificazione di un grande centro ad Arco che interferisce pesantemente con la veduta del Brione e dell’armoniosa campagna circostante) a Mollaro, dove la bella piana sarà cancellata dal sorgere dell’ennesimo centro commerciale, poco distante da quello di Cles.
E’ la valle dell’Adige, dove scorre l’autostrada e che quindi costituisce il biglietto da visita del Trentino, ad essere maggiormente sovvertita e a dare del Trentino sempre più l’idea di ottava provincia del Veneto, regione che costituisce tutt’altro che un modello per la gestione del territorio.
Iniziando da sud le iniziative di fare di Ala una città d’arte e di attrazione (Ala dei velluti) si scontrano con la sovversione del territorio circostante, a cominciare dalla goffa Cassa Rurale, che occulta uno dei centri storici più affascinanti del Trentino, per passare alla zona artigianale, che ha fatto piazza pulita della villa neogotica ornata di mascheroni in pietra e di quel che restava del parco, fino a Pilcante, dove la recente costruzione di un’abitazione, sproporzionata quanto pacchiana, ha rovinato la visione di un paese bello come un presepe.
Si continua fino a Mori, dove la Montecatini langue in attesa di riutilizzo, mentre le ville della dirigenza e i dossi su cui sorgono sono minacciati di abbattimento. A Mori stazione si è riusciti a incuneare un edificio commerciale anche davanti alla Favorita, una delle rare ville settecentesche superstiti nel fondovalle. A Isera, che sforzi meritevoli di imprenditori cercano lanciare come città del vino, un misero centro artigianale, che ha portato nelle casse del Comune 90 milioni scarsi, si è sovrapposto ai vigneti di marzemino e ha occultato gli scenografici ruderi di castel Pradaglia. A Villa Lagarina le iniziative dell’illuminato Comune sono una lotta contro i mulini a vento e se hanno almeno sortito l’effetto di tingere di verde l’immensa costruzione rossa della cartiera, si sono viste sbeffeggiare dal giallo aggressivo della ditta di trasporti Frisinghelli. I piccoli capannoni di Nomi, giusto a fianco dell’autostrada, sembrano colate multicolori di gelato ed esibiscono manichini che stingono sotto la pioggia, mentre la strada nazionale a nord di Besenello si è popolata di edifici di bassissima qualità architettonica che hanno fatto piazza pulita del maestoso filare di pioppi che accompagnava la veduta di castel Beseno tanto da figurare nelle incisioni dell’Ottocento come elemento di pregio.
Per Trento non basterebbe un intero giornale: Centochiavi e Trento nord sono sotto gli occhi di tutti, e se i caselli autostradali sono ora le vere porte delle città, come asseriscono gli urbanisti, le carcasse di automobili in attesa di rottamazione e gli edifici fatiscenti dell’area Zuffo non costituiscono certo un bel biglietto da visita per il turista desideroso di visitare "Trento città d’arte".
[/a]Solo le estremità del tratto autostradale trentino mantengono ancora un paesaggio di solenne bellezza, ma anche su questi ingressi in una provincia che vive in gran parte di turismo pende una minaccia: se a sud la veduta del maniero di Avio è per ora preservata dal megalomane ponte sull’autostrada e sulla ferrovia progettato dalla passata amministrazione comunale, a nord la maestosità del grande monastero di S. Michele all’Adige, sede del Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, al centro di un paesaggio agrario così straordinario da costituire il soggetto privilegiato di decine di tele di Dallabrida, uno dei più grandi pittori trentini, corre il serio pericolo di essere frantumata dalla costruzione del nuovo convitto dell’Istituto agrario, che la Provincia stessa vuole edificare proprio a fianco del monastero (vedi Un insulto al paesaggio).
Un edificio di quattro piani, che risulterà più alto del monastero stesso e che lo nasconderà completamente per chi scende da Faedo, oltre che scempiare per sempre un paesaggio unico fatto di storia, di arte e di natura.
Un progetto tanto più incomprensibile perché preferito ad un altro elaborato pochi anni fa e infinitamente meno impattante perché prevedeva l’edificazione del nuovo convitto dell’Istituto, pur necessaria, defilata rispetto a quel vero e proprio monumento d’arte che è il monastero con la scenografica chiesa barocca.
Che la Provincia si intestardisca su un progetto che il direttore stesso del Museo degli Usi e Costumi della Gente trentina non esita a definire "scellerato" ha dell’incredibile e ancor più dell’incredibile ha l’acquiescenza dei Beni culturali, che nella loro miopia di tutelare solo il manufatto artistico e neppure un metro più in là, fanno rimpiangere i tempi del coraggioso e battagliero Nicolò Rasmo.
E’ sconfortante l’assoluto silenzio delle autorità provinciali nei confronti dei numerosi appelli pervenuti e la caparbietà nel portare avanti un’iniziativa tanto devastante.
Bisognerà ricorrere a una raccolta di firme come i disperati ambientalisti siciliani davanti al massacro delle loro coste?
Per anni ho tenuto su Questotrentino una rubrica a difesa del patrimonio storico-artistico, segnalando monumenti in degrado, come il magnifico palazzo Lodron a Ponte Caffaro (Gli orrori di Ponte Caffaro), monumenti spariti, come le arche castrobarcensi di Loppio, restaurate a cura della Provincia e rese inaccessibili dai loro proprietari, oppure denunciando costosi e devastanti arredi urbani (Arredo urbano? No grazie!) che hanno snaturato sagrati di chiese artistiche e cimiteri (Sporminore, Livo, Sarnonico, Terzolas, Marter, S. Apollinare a Piedicastello…)
La situazione non è migliorata nel corso del tempo, anzi.
Da alcuni anni a questa parte è il paesaggio stesso a subire assalti massicci e irreversibili che rischiano di ledere per sempre il territorio trentino, con inevitabili ripercussioni sull’immagine stessa del territorio, sulla sua identità storica e naturale e sull’offerta turistica.
Dai tempi delle medievali carte di regola il Trentino è sempre stato caratterizzato da un’attenta gestione del territorio che ha avuto l’enorme pregio di preservare le risorse naturali e di consegnarci boschi, prati, campagne e borghi fino all’altro ieri intatti, che costituivano l’orgoglio del Trentino, orgoglio derivato dal fatto di aver assicurato uno sviluppo economico compatibile con la salvaguardia del territorio e improntato a criteri urbanistici di qualità.
Ne è un esempio la zona industriale di Rovereto, sorta nei lontani anni Sessanta e ancora oggi caratterizzata da costruzioni razionali, spesso non scevre di eleganza, inserite in un contesto gradevole di strade regolari e di spazi verdi.
Negli ultimi tempi invece il paesaggio trentino, quello che si dovrebbe "vendere" turisticamente, è stato snaturato dal sorgere di centri commerciali e artigianali spalmati un po’ dappertutto da Trento a Pergine, da Riva (è recente la giusta protesta contro l’edificazione di un grande centro ad Arco che interferisce pesantemente con la veduta del Brione e dell’armoniosa campagna circostante) a Mollaro, dove la bella piana sarà cancellata dal sorgere dell’ennesimo centro commerciale, poco distante da quello di Cles.
E’ la valle dell’Adige, dove scorre l’autostrada e che quindi costituisce il biglietto da visita del Trentino, ad essere maggiormente sovvertita e a dare del Trentino sempre più l’idea di ottava provincia del Veneto, regione che costituisce tutt’altro che un modello per la gestione del territorio.
Iniziando da sud le iniziative di fare di Ala una città d’arte e di attrazione (Ala dei velluti) si scontrano con la sovversione del territorio circostante, a cominciare dalla goffa Cassa Rurale, che occulta uno dei centri storici più affascinanti del Trentino, per passare alla zona artigianale, che ha fatto piazza pulita della villa neogotica ornata di mascheroni in pietra e di quel che restava del parco, fino a Pilcante, dove la recente costruzione di un’abitazione, sproporzionata quanto pacchiana, ha rovinato la visione di un paese bello come un presepe.
Si continua fino a Mori, dove la Montecatini langue in attesa di riutilizzo, mentre le ville della dirigenza e i dossi su cui sorgono sono minacciati di abbattimento. A Mori stazione si è riusciti a incuneare un edificio commerciale anche davanti alla Favorita, una delle rare ville settecentesche superstiti nel fondovalle. A Isera, che sforzi meritevoli di imprenditori cercano lanciare come città del vino, un misero centro artigianale, che ha portato nelle casse del Comune 90 milioni scarsi, si è sovrapposto ai vigneti di marzemino e ha occultato gli scenografici ruderi di castel Pradaglia. A Villa Lagarina le iniziative dell’illuminato Comune sono una lotta contro i mulini a vento e se hanno almeno sortito l’effetto di tingere di verde l’immensa costruzione rossa della cartiera, si sono viste sbeffeggiare dal giallo aggressivo della ditta di trasporti Frisinghelli. I piccoli capannoni di Nomi, giusto a fianco dell’autostrada, sembrano colate multicolori di gelato ed esibiscono manichini che stingono sotto la pioggia, mentre la strada nazionale a nord di Besenello si è popolata di edifici di bassissima qualità architettonica che hanno fatto piazza pulita del maestoso filare di pioppi che accompagnava la veduta di castel Beseno tanto da figurare nelle incisioni dell’Ottocento come elemento di pregio.
Per Trento non basterebbe un intero giornale: Centochiavi e Trento nord sono sotto gli occhi di tutti, e se i caselli autostradali sono ora le vere porte delle città, come asseriscono gli urbanisti, le carcasse di automobili in attesa di rottamazione e gli edifici fatiscenti dell’area Zuffo non costituiscono certo un bel biglietto da visita per il turista desideroso di visitare "Trento città d’arte".
[/a]Solo le estremità del tratto autostradale trentino mantengono ancora un paesaggio di solenne bellezza, ma anche su questi ingressi in una provincia che vive in gran parte di turismo pende una minaccia: se a sud la veduta del maniero di Avio è per ora preservata dal megalomane ponte sull’autostrada e sulla ferrovia progettato dalla passata amministrazione comunale, a nord la maestosità del grande monastero di S. Michele all’Adige, sede del Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, al centro di un paesaggio agrario così straordinario da costituire il soggetto privilegiato di decine di tele di Dallabrida, uno dei più grandi pittori trentini, corre il serio pericolo di essere frantumata dalla costruzione del nuovo convitto dell’Istituto agrario, che la Provincia stessa vuole edificare proprio a fianco del monastero (vedi Un insulto al paesaggio).
Un edificio di quattro piani, che risulterà più alto del monastero stesso e che lo nasconderà completamente per chi scende da Faedo, oltre che scempiare per sempre un paesaggio unico fatto di storia, di arte e di natura.
Un progetto tanto più incomprensibile perché preferito ad un altro elaborato pochi anni fa e infinitamente meno impattante perché prevedeva l’edificazione del nuovo convitto dell’Istituto, pur necessaria, defilata rispetto a quel vero e proprio monumento d’arte che è il monastero con la scenografica chiesa barocca.
Che la Provincia si intestardisca su un progetto che il direttore stesso del Museo degli Usi e Costumi della Gente trentina non esita a definire "scellerato" ha dell’incredibile e ancor più dell’incredibile ha l’acquiescenza dei Beni culturali, che nella loro miopia di tutelare solo il manufatto artistico e neppure un metro più in là, fanno rimpiangere i tempi del coraggioso e battagliero Nicolò Rasmo.
E’ sconfortante l’assoluto silenzio delle autorità provinciali nei confronti dei numerosi appelli pervenuti e la caparbietà nel portare avanti un’iniziativa tanto devastante.
Bisognerà ricorrere a una raccolta di firme come i disperati ambientalisti siciliani davanti al massacro delle loro coste?