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QT n. 5, 9 marzo 2002 Servizi

Scuola: come si misura l’efficienza?

Pochi studenti respinti? Allora la scuola ha fallito. Così la pensa la ministra Moratti...

Quando, ragionando di scuola, il Comitato di Valutazione ci presenta numeri e grafici, la prima reazione, fra gli insegnanti più impegnati, è ancora di imbarazzo. Lo ha espresso, con franchezza, una collega, insegnante elementare a Bolzano: il timore è che diventi un numero anche l’allievo, e che si perda così il calore della relazione educativa. Ci sono ragioni storiche e culturali che spiegano la diffidenza, ma noi, che siamo qui al convegno, dobbiamo trovare, e affinare, anche per i colleghi più resistenti, gli argomenti che spiegano l’utilità dei numeri, proprio se vogliamo fare bene il nostro lavoro. Certo, poi dipende da quali numeri usiamo, e per quale scopo, perché dagli stessi numeri possono discendere scelte educative, e politiche, opposte.

Conoscere, ad esempio, il tasso di analfabetismo e quello di scolarità, mi permette di insegnare meglio la lingua. Se poi so distinguere l’analfabetismo strumentale (di chi non sa proprio leggere e scrivere) da quello funzionale (di chi, pur sapendo leggere e scrivere, non sa però comprendere un testo semplice e breve), sono ancora più ferrato come insegnante. Il "calore educativo" può quindi crescere addirittura, se conosco i numeri degli analfabeti, degli scolarizzati, dei diplomati e dei laureati, nel mio comprensorio, in Trentino, in Alto Adige, in Italia, nel mondo.

Io ho incominciato a insegnare, in un Istituto tecnico industriale, più di trent’anni fa: i destinatari del mio lavoro pensavo fossero gli studenti che mi ritrovavo nell’aula, quelli che il caso mi aveva assegnato. Solo dopo, molti anni dopo, ho imparato che allora, quando ero giovane, il tasso di passaggio dalla media inferiore alla superiore superava di poco il 20%. Il fatto che io fossi ignorante in "sociologia dell’educazione" non mi ha certo aiutato a insegnare bene la lingua.

Certo, i numeri bisogna saperli scegliere, quelli pertinenti, fra i molti che ci vengono offerti. La sottosegretaria Valentina Aprea ha tracciato nel suo intervento al nostro convegno le linee di riforma della scuola che il Governo di centro-destra ha appena approvato. Quali saranno i risultati di questa riforma lo diranno i prossimi anni. Oggi il nostro giudizio, favorevole o contrario, dipende dalle nostre opzioni politiche, non è ancora confermato dalla storia.

Ma c’è una decisione, secondaria diremmo, che produce già effetti verificabili, e negativi. Perché il ministro Letizia Moratti ha deciso di modificare, già da quest’anno, la composizione delle commissioni dell’esame finale, nominando insegnanti tutti interni alle singole scuole, come prima tappa di un cambiamento più radicale?

Chiara Tamanini ha tracciato, su Didascalie, n.1-2002, un bilancio sostanzialmente positivo dei tre anni passati, dopo la riforma approvata dal ministro Luigi Berlinguer. Spiegare lo stravolgimento con la volontà di disfare ciò che ha fatto l’odiata sinistra, o di favorire le scuole private, o semplicemente di risparmiare un po’ di denari, potrebbe prestarsi all’accusa di dietrologia.

Ma ragioniamo sull’argomento usato in più occasioni dal ministro Moratti, dalla sottosegretaria Aprea, e ricordato anche dalla professoressa Luisa Ribolzi che presiede il nostro Workshop. E’ quello gridato, da anni, da Angelo Panebianco, e da opinionisti come lui, che cioè a questo esame i diplomati sfiorano il 100%. Questa sarebbe la prova del fallimento.

Questo dato, esatto, è però, a mio giudizio, non valido, perché non misura la riuscita o il fallimento della prova. I promossi sono il 97% perché, nel nostro contesto, lo conferma anche il "rapporto" che ci ha qui convocati, la scrematura, che per altro mantiene ancora troppo bassa la percentuale dei diplomati rispetto alla rispettiva classe d’età, avviene soprattutto nella prima e nella terza classe. La riforma dell’esame - e la scuola ha certo bisogno di riforme continue - deve quindi partire da altri dati, non da questo. I candidati possono certo essere anche respinti: lo scorso anno, a Pozza di Fassa, dove ero commissario d’italiano, ne abbiamo respinti tre su venticinque, cioè il 12%.

Ma l’obiettivo primario dell’esame non è quello di "respingere" i candidati, quasi che valesse il principio: tanti respinti, esame riuscito, tanti promossi, esame fallito!

La funzione dell’esame è stata finora un’altra, è quella che Valentina Aprea ha riconosciuto, anche nella sala affollata di Trento, ormai inutile, da archiviare, cioè il valore legale del titolo di studio. Scegliere se mantenere, o se abolire, questo principio è una scelta politica. Sarà ciò che viene dopo la scuola a valutare sul serio la scuola - ha affermato la sottosegretaria - cioè l’Università, ma soprattutto l’impresa, il mercato. In questa logica il diploma finale si trasforma in un certificato di frequenza.

Io penso invece che l’insegnante che da Trento, con qualche costo, con qualche fatica, sale a Pozza di Fassa, e quello che da lassù scende quaggiù, sono la scuola che ripensa se stessa. A contare, dell’esame finale, sono le ricadute didattiche che sa innescare, lentamente, nel lavoro degli insegnanti e degli studenti.

Con la riforma, tre anni fa, di Berlinguer, nell’insegnamento e nell’apprendimento della lingua si è finalmente legittimato il "plurilinguismo": non più solo il "tema d’italiano", ma il saggio, l’articolo, l’analisi e il commento, la lettera, la recensione sono diventati oggetto di studio. L’insegnamento di Tullio De Mauro ha cominciato a fruttificare su scala più vasta. La terza prova ha avviato esperimenti di lavoro pluridisciplinare e persino interdisciplinare.

Gli insegnanti hanno incominciato a lavorare, e a valutare, in modo più collegiale, e usando strumenti più oggettivi.

Dopo i cambiamenti annunciati da Letizia Moratti, c’è stato nelle scuole un evidente calo di tensione, quasi un’interruzione nella voglia di innovare.

Suggerisco io un parametro per valutare, nei prossimi anni, i frutti del nuovo esame, pensato per abolire il valore legale del titolo di studio. Non il numero dei promossi o dei bocciati, che non cambierà, sarà significativo, ma quanti ragazzi, invece di cimentarsi con le nuove tipologie di scrittura, ripiegheranno sul caro, vecchio "tema d’italiano".