Gli universitari dallo psicologo
All’università di Trento grande afflusso al servizio di consulenza psicologica per gli studenti. I primi risultati.
E’ di pochi anni fa l’ammirato stupore con cui la trasmissione televisiva Report documentava l’esistenza, in numerose università inglesi, di un servizio di consulenza psicologica riservato agli studenti. Pochi anni, ma sufficienti perché nei giorni scorsi si sia tenuto, a Torino, un convegno nazionale dedicato appunto ad esperienze di quel tipo già in funzione negli atenei italiani; un convegno al quale anche l’università di Trento ha potuto presentare i primi risultati di un’attività che dura ormai da un anno.
Il tutto ha avuto inizio quando al Servizio disabili dell’Opera Universitaria di Trento, che aveva lo scopo fondamentale di facilitare materialmente la presenza all’interno dell’università dei portatori di handicap, si è constatato che da parte di questi studenti veniva anche un’altra richiesta, quella di poter disporre di un punto di ascolto capace di fornire, quando necessario, un sostegno anche di tipo psicologico.
"A quel punto – ci dice il prof. Lodovico Zannini, responsabile del Servizio disabili - ci siamo chiesti: perché non allargare il servizio a tutti gli sudenti? Avevamo sentore che la cosa avrebbe funzionato, anche perché sapevamo che da parte dei giovani di questa età c’era una certa pressione sui normali servizi territoriali. Sarebbe stato, oltre tutto un lavoro in continuità con l’attività dei Centri d’informazione e consulenza, attivi da qualche tempo per gli studenti delle scuole superiori. Così, avuto il beneplacito del Rettore e trovata un’operatrice nella persona della dott. Marisa Ciola, il servizio di consulenza psicologica, dopo un momento informativo presso le varie facoltà, è partito nel febbraio del 2001.
Ci siamo preoccupati che l’accesso avvenisse in modo agile, non burocratico e tale da mettere a proprio agio anche i più timorosi: per prendere appuntamento, si può venire, si può telefonare, oppure utilizzare la posta elettronica o un box nell’atrio".
A fine estate del 2001 è stato fatto un primo bilancio, e si è constatato che nei primi 4 mesi erano stati seguiti 59 ragazzi: un numero sufficiente per capire che l’iniziativa ha una sua utilità, ma non ancora per trarre delle conclusioni dalle cifre e capire se ad esempio il disagio sia più diffuso fra i maschi o fra le femmine, le matricole o i laureandi, gli iscritti a questa o a quella facoltà.
"Che il successo non sia dipeso da un ‘effetto novità’ - aggiunge Zannini -lo abbiamo constatato da quando, a metà ottobre, le richieste di colloqui sono riprese, ad un ritmo di 3-4 la settimana".
Ma il vostro intervento avviene su difficoltà di tipo strettamente scolastico o si allarga a problemi anche personali?
"Lavoriamo su entrambi gli aspetti - ci risponde la dott. Marisa Ciola - che del resto sono spesso collegati. Sia chiaro: non ci occupiamo di situazioni patologiche (in questo caso, semmai, possiamo fungere da tramite per indirizzare i ragazzi verso il servizio adatto al loro caso), ma di problemi quali difficoltà di apprendimento, perdita di motivazioni allo studio, problemi affettivi, difficoltà relazionali con i parenti e i coetanei e così via. Dunque la nostra non è una psicoterapia, ma una consulenza che - stando alle nostre prime statistiche - comporta per ogni utente una media di 4,5 colloqui: a volte basta un incontro, in ogni caso non sono mai stati superati finora gli 8 appuntamenti. In qualche caso, previo il consenso o la richiesta dell’interessato, vengono contattati anche i genitori.
Gli studenti hanno subito capito quali erano i nostri intendimenti e ci fanno richieste molto concrete, tali da poter essere soddisfatte".
Ma questa forte domanda di aiuto psicologico non è sintomo della crescente fragilità di una generazione che, al primo esame fallito o alla prima delusione d’amore, non riesce a cavarsela da sé ed ha bisogno del sostegno dello psicologo?
"Al contrario, è un dato positivo: sono ragazzi responsabili, che anzitutto hanno saputo prendere coscienza dei propri problemi e che comunque, prima di rivolgersi a noi, avevano tentato di sbrigarsela da soli, ma evidentemente senza successo".
A questo punto, in pratica, la fase sperimentale sembra essersi felicemente conclusa e semmai si apre la necessità di meglio attrezzarsi - anche logisticamente - ad un impegno crescente.