“Grease”: una piccola pagina di storia
Del noto musical, convincente la trasposizione italiana della Compagnia della Rancia. Uno spettacolo vero, che diverte, parlandoci della formazione della cultura giovanile antagonista degli anni '50.
Tutto esaurito, da settimane impossibile trovare biglietti; grida e coretti entusiastici, dopo e durante la rappresentazione, soprattutto da parte del vasto pubblico giovanile, ragazze in prima fila. Insomma, il musical in Italia ha decisamente sfondato, per di più portando a teatro un pubblico giovane, che alla fine non esce perplesso, con la vaga idea che la cultura debba per forza essere parente della noia.
Queste considerazioni dopo aver visto "Grease", in cartellone al Sociale di Trento: un’edizione tutta italiana (compagnia, testi tradotti) del noto musical di Jim Jacobs e Warren Casey, da noi conosciuto soprattutto per la fortunata versione cinematografica, con John Travolta e Olivia Newton Jones.
Uno dei pregi del lavoro è la sua perdurante attualità, pur trattando - ambientato nel 1957 - un tema ormai "storico": il nascere in quegli anni di una cultura giovanile, in opposizione a quella codificata. E la vicenda si svolge tutta tra giovani, diciottenni di una high school americana; con la sola irrilevante eccezione di una professoressa, che compare un paio di volte (naturalmente, per essere sbeffeggiata), tutti i personaggi sono compagni di scuola. Qui il conflitto non è tra le generazioni, ma all’interno di una generazione, che ricerca identità e compattezza.
La storia inizia, con una gustosa trovata, là dove in genere si finisce: Danny e Sandy si sono innamorati, hanno passato insieme una splendida estate, ora devono separarsi, ognuno torna nella sua città e nella sua scuola. Ma qui succede l’imprevisto: Sandy viene trasferita, e senza saperlo va a finire nella scuola di Danny. E cominciano i guai. Perché lei è una brava ragazza (nonostante sia stata espulsa dalla scuola cattolica in quanto si ostinava a portare scarpe in lacca lucida riflettenti "e le suore dicevano che si vedeva tutto"), è tutta acqua e sapone, e consigli della mamma; lui è un bulletto, leader riconosciuto di tutti i trasgressivi della scuola. "Ma come? Quella lì sarebbe la tua conquista estiva?" - lo irridono gli amici.
Di qui il conflitto. Tra Danny e Sandy (subito scaricata dal bulletto, che però ritorna e chiede perdono, e poi... ecc ecc); ma anche tra Danny e i suoi amici, cioè tra l’immagine del duro, e la realtà di un ragazzo impacciato nel gestire i sentimenti; e soprattutto tra Sandy e le altre ragazze, che proprio non sopportano la sciacquetta che non fuma, non beve, e soprattutto non vuol saperne di sesso.
E’ Rizzo, la leader delle trasgressive a presentare una sorta di manifesto della nuova cultura: lo so - dice rivolta a Sandy - di me i vicini parlano molto male per via di quei due-tre ragazzi che mi sono fatti; so anche di essere troppo dura e scorbutica; ma soprattutto so che potrei essere peggio, molto peggio: "potrei essere come te". Una di quelle "che non la danno mai": ipocrite e false, che negandosi alzano il prezzo, e così uccidono sentimenti e naturalezza; e con la loro vile acquiescenza a regole imposte vendono di noi giovani la cosa più preziosa "che tu neanche conosci: la dignità".
L’epilogo è chiarissimo: Sandy decide di omologarsi, e si presenta a Danny e agli altri fasciata in un vestito aderentissimo di pelle nera, fumando e muovendosi come una pantera. La nuova generazione si è compattata, acquisendo cultura e comportamenti propri: è pronta per lo scontro frontale degli anni Sessanta.
Il musical è molto più irriverente del film, nel presentare senza edulcorazione alcuna il lessico giovanile; la versione italiana - così ci sembra - ha accentuato le parti sboccate; e ancor più la regia, con la perdurante volgarità gestuale dei ragazzi di ambo i sessi, intenti a condire l’eloquio con rappresentazioni dell’atto sessuale - sempre i maschietti, meno frequentemente le ragazze, ma con più maliziosa (e finanche imbarazzante) sensualità. La cosa, forse realistica, di certo insistita, ci è sembrata sopra le righe. Ma è l’unico appunto che ci sentiamo di fare ad una regia che è riuscita a rendere pienamente i significati di una storia che poteva essere banale.
E qui abbiamo visto, forse per la prima volta, una compagnia italiana rendere appieno le grandi potenzialità espressive del musical. La recitazione, il canto, la danza, non risultano momenti staccati, siparietti carini ma a sé stanti; bensì momenti espressivi che interagiscono, fondendosi nel racconto. Come nello splendido balletto "We go together" ("Noi siamo insieme"): su una gradinata la scolaresca, seduta su tre file, canta una filastrocca di parole senza senso se non per il gruppo che le pronuncia, e che proprio in questa esclusiva conoscenza si riconosce e si amalgama, tutti seduti fianco a fianco, accompagnando parole e note con semplici gesti delle braccia, sobri e avvolgenti; è la sincronizzazione del tutto che rende con plastica evidenza l’idea, calda e tranquilla, della piccola comunità, dell’amicizia di gruppo: "noi siamo insieme", appunto.
Uno spettacolo vero. Che riempie gli occhi, le orecchie, il cuore, e fa riflettere.