La Sasib ha chiuso: in 100 senza lavoro
A fine 2000, invece del previsto pareggio, l’azienda di Rovereto si è trovata un deficit di14 miliardi. E così si chiude bottega.
"Fabbrica in vendita”, “100 licenziamenti” e le bandiere rosse e verdi del sindacato. Parole e striscioni appesi da qualche settimana alle cancellate che stridono fortemente con l’idea di piena occupazione di cui spesso si parla a proposito del nostro mercato del lavoro. E questa volta non si tratta di licenziamenti minacciati per i quali, con degli slogan, si lancia l’allarme. No, questa volta sono licenziamenti reali.
PRECISAZIONE
Questo articolo, come indicato dalla data in alto a destra, è del 2001. La sua analisi della situazione della Sasib Spa è riferita all'epoca. L'azienda ci ha informato che tale "situazione aziendale è assolutamente obsoleta" e quindi, riproporla oggi, su un sito che ha una buona visibilità, è "fonte di equivoci dannosi" per la società. Ne prendiamo atto. Non censuriamo l'articolo, ma avvisiamo i lettori di leggerlo tenendo conto di questa precisazione.
Dal 15 ottobre per 100 famiglie cambiano molte cose, a partire dal reddito. Anche per la Vallagarina e il Trentino cambia qualcosa, visto che viene a mancare un altro pezzo dell’industria metalmeccanica. La SASIB ha chiuso. E per gli operai un po’ di soldi, in base ad un accordo dell’azienda col sindacato: 1.600 milioni da spartirsi in maniera diversificata. Mediamente, più o meno 16 milioni a testa per levarsi di torno. Mentre scriviamo è in corso un’assemblea dei lavoratori per valutare questa conclusione. Ma come è stato possibile arrivare ad una situazione simile, dal momento che la Sasib, producendo macchine per la lavorazione delle paste, non può certo accampare difficoltà di mercato? Anzi, negli ultimi tempi ha persino rifiutato commesse. Come mai la decisione di chiudere col piglio di chi sa di non doverne rispondere a nessuno?
Alla fine di aprile del 1999 la Sasib Food Machinery del gruppo De Benedetti rileva questa azienda dalla Braibanti-Golfetto di Padova (che a sua volta era subentrata a Simer), mantenendo tutto l’organico, tutta l’anzianità e tutti i contratti aziendali relativi alla vecchia proprietà. Una scelta, a detta dell’azienda, mirata a integrare le altre realtà produttive presenti in Sasib, visto che le macchine prodotte a Rovereto da Braibanti-Golfetto erano utili alla strategia di Sasib perché le permettevano di offrire ai propri clienti linee complete comprendenti sia la parte di processo, che il confezionamento e il fine linea (vedi la scheda). Subito Sasib presenta al sindacato un progetto di ristrutturazione di tutto il gruppo chiedendo 85 licenziamenti su 263 dipendenti. Si prevede la chiusura di Verona (15 licenziamenti e 22 spostati a Rovereto), il ridimensionamento di Padova ( 20 licenziamenti su 69 dipendenti) e Rovereto (50 licenziamenti su 157 dipendenti).
Alla fine dell’anno la struttura produttiva del gruppo è quella prevista nel progetto di ristrutturazione con un’ipotesi di perdita di 2 miliardi per il primo anno e di pareggio per il secondo. In realtà la perdita del primo anno ruota intorno ai 2 miliardi e mezzo, mentre nel secondo non solo non arriva alcun pareggio, ma, a detta dell’azienda, la perdita risulta di circa 14 miliardi. Una cifra, come si può vedere, fuori di ogni misura, ma che permette alla Sasib, all’inizio di quest’anno, di parlare di vendita, in tutto o in parte, delle sue attività.
Nel giugno scorso, rivelatesi inconcludenti le diverse trattative aperte, in particolare quella con Pavan, che sembrava la più vicina ad una possibile conclusione, Sasib ha aperto la procedura di mobilità per i lavoratori di Rovereto, rifiutando qualunque ipotesi di cassa integrazione, prevista in caso di progetti di ripresa della produzione. Più che evidente, dunque, la volontà di chiudere ogni spiraglio. “Anche se - ci dice Sandro Straolzini della FIOM-CGIL, che ha seguito la vicenda - l’ex amministratore Manzelli ci aveva assicurato che c’era la disponibilità da parte dell’azienda di trovare strade che non creassero forti impatti sociali. Invece, ad un certo punto, Manzelli è stato sostituito come amministratore da Agostino che, sin dal primo incontro, ha detto di essere venuto col solo compito di chiudere la fabbrica senza discutere di alcunché”.
Inutile aggiungere che c’è più di un punto in cui si fa fatica a veder chiaro. Tra l’altro lo stesso Agostino, in un tentativo fatto dalla Provincia su spinta del sindacato per arrivare ad una ipotesi di cassa integrazione, l’ha rifiutata perché si sarebbe violata la legalità. Dunque bisogna chiudere. E allora, è proprio finita?
Ancora Sandro Straolzini della FIOM-CGIL : “La procedura di mobilità comporta che l’azienda per ogni lavoratore che licenzia deve versare 3 mensilità all’INPS e ha 75 giorni di tempo per fare un accordo col sindacato. Alla fine dei 75 giorni se non vi è l’accordo, l’azienda licenzia, ma pagando altre 6 mensilità all’INPS. Se vi è l’accordo queste 6 mensilità non vengono versate all’INPS. Da qui una proposta che facciamo come sindacato all’azienda: concludere con un accordo computando una base di incentivo all’uscita uguale per tutti (perciò le 6 mensilità che non vanno all’INPS vengono dirottate ai lavoratori), più una parte di un premio di risultato oltre ad un calcolo sui tempi di preavviso del licenziamento”. Una proposta accolta dall’azienda e che, come abbiamo detto, i lavoratori stanno valutando mentre scriviamo. “Di fatto - conclude Straolzini - è l’unica strada praticabile: solo un po’ più di soldi agli operai”.
A rimanere in piedi c’è l’impegno della Provincia e del Comune di Rovereto per una soluzione che, in tempi relativamente brevi, permetta a questi 100 lavoratori di tornare al lavoro. In particolare l’Amministrazione comunale, su sollecitazione di Rifondazione Comunista, si è impegnata a promuovere un tavolo di confronto con sindacati, Provincia e imprenditori in modo da ridurre l’impatto sociale di una mobilità che, per 100 famiglie, col passare dei mesi, si farà sempre più pesante.