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10 giornalisti per una frattura

Le disavventure dell’orsetta Vida e la grancassa mediatica.

In cinque giorni, dal 31agosto al 4 settembre, prime pagine, oltre 50 fotografie e l’impegno di dieci giornalisti per raccontare la breve, semplice vicenda di un’orsa che invade l’autostrada e viene investita da un’automobile fratturandosi una zampa.

Parliamo naturalmente di Vida, uno degli animali di quel progetto "Life Ursus" che ha avviato la reintroduzione in Trentino degli orsi importandoli dalla Slovenia: "Vida la vagabonda. Vida l’orsetta curiosona", "l’orsetta più famosa d’Italia, quella che ha commosso tutti mentre nel disperato (?) tentativo di tornare a casa è stata travolta da un’auto"(con tanti saluti alla sintassi).

Leggendo queste cronache, ci sono tornati alla mente gli alluvionali commenti giornalistici alla vittoria di Gigi Simoni al Giro d’Italia: in entrambi i quotidiani locali stessa logorroica ripetitività, stessa piattezza, stessa abbondanza di interviste inutili. E anche stessa mancanza di retorica, del che arriviamo a dolerci, perché se ciò depone a favore dell’intelligenza dei cronisti, ci priva però del divertimento che una cronaca dai toni fuori misura ci avrebbe procurato e che avremmo potuto trasmettere ai lettori. Così, invece, dopo pagine e pagine di triste lettura, ci ritroviamo pressoché privi di citazioni da riprodurre, ove si escluda qualche ingenua umanizzazione dell’orsetta, del tipo: "Se ne stava buona sdraiata per terra aspettando l’arrivo dei soccorritori".

Si dirà che questo can can può avere se non altro il merito di informare e sensibilizzare i trentini sul progetto "Life Ursus", che pure ha sempre doverosamente svolto una intensa attività promozionale. Ora, chi scrive non ha le competenze necessarie per dire se sia corretto o meno, sul piano scientifico, riportare artificialmente in un territorio una presenza estinta come quella dell’orso. Non abbiamo il retroterra culturale di un Tarcisio Grandi, che, partendo dallo studio dell’echistica ("nuova disciplina, che studia il rapporto tra la casa e l’essere vivente"), arriva alla profonda conclusione che "le immissioni in ambienti non adatti sono da evitare".

Può darsi. Ma poniamo che così non sia e lasciamoci pure prendere dalla simpatia che l’orso ispira, dalla suggestione di sapere che - se tutto andrà bene - i nostri boschi torneranno a popolarsi di questi imponenti animali. In tal caso, ci pare che l’effetto sull’opinione pubblica di queste cronache troppo insistite sia controproducente.

Che un’operatrice addetta al controllo degli orsi dica "Per me Vida è come una figlia", o che Fulco Pratesi, presidente del Parco naturale d’Abruzzo dove gli orsi ci sono da sempre, si allarmi alla notizia dell’investimento subìto da Vida, quasi che si trattasse di un familiare, possiamo anche capirlo. Ma è facile che il messaggio arrivi distorto al lettore, ossessionato dalla grancassa mediatica fino a detestare gli orsi e chi li rivuole in Trentino.

E arrivato a questo stato d’animo d’insofferenza, egli troverà anche il suo naturale interprete nel finto buonsenso dell’immancabile Rolando Fontan, che, nasata l’aria, ha detto che in Trentino ci sono mille problemi più importanti e che spendere dei soldi per gli orsi è una vergogna. Lo stesso discorso già sentito a proposito di qualunque iniziativa – preferibilmente di tipo culturale – che non comporti l’impiego di asfalto e cemento.

Se questi signori avessero svolto attività politico-amministrativa in tempi remoti, oggi il centro storico di Trento avrebbe lo stesso aspetto della periferia nord della città: perché buttar denari per affrescare la facciata di una casa, con tanti problemi più gravi da risolvere?