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QT n. 15, 15 settembre 2001 Monitor

Un giorno a Venezia

Mercoledì 5 settembre, alla 58° Mostra di Venezia, ho visto nove, dico 9, film, uno dopo l’altro. E’ evidente che non si tratta di impegno deontologico, anche se avevo un accredito stampa e da qualche tempo organizzo rassegne cinematografiche. No, la motivazione è piuttosto simile a quella di un goloso su un trampolino pronto al tuffo in una piscina colma di panna montata e frutti di bosco. Questo è il Festival per un appassionato: l’occasione per una mega-abbuffata gratis di primizie, delle quali peraltro almeno due terzi impossibili da vedere in altre circostanze.

La cosa non è comunque tutta rose e fiori: una tale manifestazione propone un’offerta che si articola su sei sale di cui tre con lo stesso programma di film in concorso e sezioni principali, e altre tre con retrospettive, monografie, eventi speciali, film fuori concorso, cortometraggi. Quindi nemmeno Dio uno e trino riuscirebbe a vedere tutto, e si pone subito il problema di cosa scegliere, con inevitabili sofferenze. Ma si sa, questi sono i grandi festival, poli attrattivi di una marea di realtà produttive alla ricerca di visibilità e spazio nella grancassa dei media che in questi giorni si concentra al Lido altrettanto ipertrofica. Quindi si operano le dolorose scelte.

Dunque, sveglia alle 7, doccia, colazione, bus e via al Palagalileo dove alle 8.30 si apre la giornata con "John Carpenter’s Ghosts of Mars". La questione è semplice: un nuovo film di Carpenter va comunque visto ed è quindi imperdibile l’occasione di una proiezione in lingua originale sul grande schermo della sala, dotata di un sistema audio dolby d’avanguardia. 100’ veloci e pirotecnici di western sul pianeta rosso.

Si esce e ci si mette in fila per il secondo film del mattino: 10.30,"L’amore imperfetto" di Giovanni Davide Maderna. Il film, interpretato da Enrico Lo Verso, che vedo per documentarmi in preparazione di una rassegna di cinema italiano e perché sui film nazionali generalmente si scatena la bagarre dei critici, è un lavoro serio, drammatico ed intelligente sulle difficoltà della coerenza davanti ad impegnative scelte etiche. Buono, ma 92’ non propriamente leggeri.

Si esce e di nuovo in fila: 12.30, sempre al Palagalileo, "Birthday Girl" dell’inglese Jez Butterworth, protagonista Nicole Kidman. L’ex signora Cruise è già uno spettacolo di per sé, in più in questo film appare particolarmente affascinante come ragazza russa che si presenta ad un impiegato di banca inglese che la contatta via internet, scopo relazione sentimentale. La divertente commedia, vagamente sexy, piega poi bruscamente verso il thriller dagli sviluppi scontati, ma si lascia vedere fino alla conclusione.

15’ di pausa panino, unico pasto consumabile in quest’arco di tempo, con lo svantaggio che, unitamente alle tante ore sedute, non è certo un facilitatore fisiologico per chi soffre di stipsi. Quando la cosa poi si prolunga per giorni cresce il nervosismo e l’obiettività critica verso i film lenti va a farsi benedire. Dettagli di bassa lega che fanno parte della kermesse.

14.15, ancora dentro per "La fiebre del loco", 90’ di Andrés Wood. Il film fa parte di quelle cinematografie marginali che ci si è ormai abituati a non sottovalutare in quanto propongono spesso piacevoli, se non sorprendenti, rivelazioni che poi non dirad oriescono vincitrici dei concorsi. Il film di fatto è bello, con una storia di truffe ambientata in un paesaggio del sud cileno animato da una eterogenea comunità di palombari, pescatori, prostitute, trafficanti e varia umanità ai confini del mondo.

Ore 16, "Brève traverée" della francese Catherine Breillant, la stessa che un paio d’anni fa presentò a Cannes "Romance", il famoso film scandalo per le scene di sesso esplicito e verbose elucubrazioni femminili che tanto aveva diviso la critica, almeno quanto la recitazione di Rocco Siffredi, star del porno impiegato in un ruolo non propriamente suo. Si asseconda la morbosa curiosità anche se già si sa che la storia è quella dell’incontro romantico (ma a letto poi ci finiscono) tra un adolescente e una trentenne durante un traghettamento dalla Francia all’Inghilterra. Film breve e non sgradevole.

Primo opera in concorso alle 18: "Sauvage innocence" di un regista di culto quale il francese Philippe Garrel, di cui peraltro è difficilissimo vedere qualsiasi film. Bianco e nero per un film dall’impianto autobiografico, piuttosto prevedibile e datato. All’uscita disgusto ed esaltazione, la critica è divisa, il sottoscritto piegato dalla fatica. Salto a doppio passo il film delle 20.15,"Vagòn fumador" dell’argentina Verçnica Chen, storia di randagismo adolescenziale a Buenos Aires. Cena con insalata. Un po’ di fibre per arginare il problema predetto.

Ore 22: "Abril desperdaçado", film in concorso di Walter Salles, lo stesso dell’acclamato "Central do Brasil". Da vedere ma deludente: una ballata su una faida familiare nel depresso Sertao brasiliano dove un padre padrone impone ai figli una sfida massacro con la famiglia rivale. Grandi scenari, fragorosa colonna sonora, una sequenza iniziale emozionante e poco più.

Grande evento a mezzanotte: "A.I. Artificial Intelligence", il nuovo film di Steven Spielberg. Dovrei andare a dormire? Si sa che la storia è zuccherosa e fa acqua in diversi punti, ma Spielberg è Spielberg è va visto comunque, possibilmente su un grande schermo, poi il soggetto è stato sviluppato con Kubrick, quindi… . Quindi 146’ di slalom tra irritazione per la scarsa credibilità del tema, fascinazione di una dimensione visivo/visionaria oltre ogni immaginazione e sopportazione per gli sviluppi alla melassa delle vicende.

E finalmente, alle 2.30, si torna a casa...