G8: un deficit di democrazia
Oggi, su scala planetaria, si ripropone un problema storico: abbattere o governare la forza del mercato?
Nihil sub sole novum". Latineggia, con qualche svarione maccheronico, il nuovo capo del governo, dunque possiamo farlo anche noi comuni mortali. Niente di nuovo sotto il sole!
La contestazione portata contro i G 8 e la globalizzazione da parte del popolo di Seattle ha un sapore antico. E’ l’ eterno inquieto rimuginare dentro la profonda coscienza dell’uomo, l’indomabile rovello attorno ad un bisogno di eguaglianza e di giustizia che di volta in volta esplode nelle forme più varie e diventa una forza irresistibile. La globalizzazione è soltanto l’occasione, lo scenario nuovo in cui l’antico spirito irrompe. Non è l’inarrestabile processo di unificazione del globo che si vuole fermare. Esso è il portato della natura e dell’applicazione delle nuove tecnologie, ma contiene di tutto.
I grandi capitali si muovono liberamente senza incontrare ostacoli, spinti soltanto dalla bramosia di crescere. Le grandi imprese multinazionali sono più ricche e potenti degli Stati. La ricchezza spesso aumenta in termini solo monetari e non di prodotti reali. Le imprese trasferiscono le loro sedi dove il fisco è più mite e la manodopera meno cara. Il commercio internazionale è regolato dal mercato ed i soggetti più forti possono imporre rapporti di scambio diseguali. I percettori di reddito da lavoro invece sono costretti a subire il fisco che è loro capitato in sorte senza possibilità di scelta. I lavoratori possono teoricamente trasmigrare, ma di fatto in condizioni assai problematiche per sé e per chi li riceve. Chi percepisce un reddito anche medio- basso nei paesi opulenti può concedersi il lusso di una vacanza a Sharm-el-Sheikh, ma noi vediamo, transitando sul rettilineo dei Murazi, la degradante e tristissima esistenza di quelle povere nigeriane che passeggiano al limitare della strada. Ogni giorno la pubblicità ci sciorina prodotti e ricette contro l’obesità, e nel vasto- piccolo mondo milioni di bambini muoiono di fame. Osserviamo nelle nostre discariche cumuli di medicinali scaduti, ed in Africa si muore di Aids perché le imprese farmaceutiche non producono o vendono a prezzo troppo caro i medicinali occorrenti. Questa ed altro è la globalizzazione.
Chi governa questo mondo, ora che lo vediamo tutto, che è presente ogni giorno in tutta la sua dimensione contraddittoria alla nostra turbata attenzione? Oggi lo governa il mercato.Con l’avallo, coerente con le regole del mercato, o l’impotenza dell’ONU, del WTO, della Banca mondiale e dei G 8. Cioè con un clamoroso, intollerabile deficit di democrazia. Non è dunque la globalizzazione che si contesta, ma ciò che di inumano essa rivela.
I contadini degli albori del movimento socialista non lottavano contro il lavoro nei campi, ma contro il latifondo. Gli operai all’epoca della rivoluzione industriale non contestavano l’industrializzazione, ma l’organizzazione fordista ed i bassi salari. Il movimento sindacale non si opponeva al lavoro dipendente, ma rivendicava l’organizzazione di categoria e la contrattazione collettiva. Il tentativo estremo di rovesciare le forze dominanti del mercato, sperimentato in URSS e nei paesi del socialismo reale, non è riuscito. Oggi su scala planetaria si ripropone lo stesso problema: l’abbattimento o il contenimento delle forze dominanti del mercato. Le forme del contrasto sono nuove, innovate e moderne, ma il problema è sempre lo stesso.
Inaspettatamente si è presentato un movimento nuovo, cosmopolita, con molte diversificate radici, ma espressione della stessa domanda. Non è un movimento di straccioni, al contrario è portatore di una feconda cultura. E’ ancora agli albori. Le soluzioni che propone sono generiche o estremistiche ed i mezzi che usa sono talvolta violenti. Di quella micro-violenza che si abbatte sulle espressioni più ostentate del consumismo opulento. Simile a quella dei tifosi ultras che però il sistema digerisce con paterna bonomia. Questa violenza del popolo di Seattle invece suscita scandalo e indignazione. Ma non l’indignazione che è giusto condividere contro tutte le forme di violenza. E’ un’indignazione speciale, perché queste forme di micro-violenza mettono in discussione le ben più distruttive violenze che le forze dominanti del mercato infliggono agli uomini e all’ambiente in tutte le parti del pianeta.
Eppure con il popolo di Seattle bisognerà fare i conti.