Proibizionismo e marijuana
Lunedì 11 giugno si è tenuto a Sociologia l’incontro “Proibizionismo e marijuana”, organizzato dal neo costituitosi collettivo antiproibizionista, una ventina di studenti della facoltà. Hanno partecipato come relatori esterni lo storico Claudio Cappuccino e il sociologo Massimiliano Verga, entrambi membri dell’Associazione canapa terapeutica e collaboratori di “Fuori luogo”, un forum permanente sulle droghe, che esce mensilmente abbinato al Manifesto.
L’incontro si è aperto con l’introduzione di uno degli organizzatori, che ha illustrato le ragioni dell’ iniziativa: criminalizzazione da parte della stampa locale sul tema in occasione dell’arresto per spaccio di due studenti di Sociologia, esigenza di fare chiarezza sul tema confrontando diversità di vedute. Subito dopo è intervenuto Claudio Cappuccino, che ha tracciato una ricostruzione storica dell’uso della canapa, di cui si hanno le prime testimonianze a partire da 12.000 anni fa a Taiwan, nei resti di alcune corde per archi. Nell’ antichità, spiega lo storico, la pianta veniva utilizzata come anestetico e calmante per convulsiomi e reumatismi, per la fabbricazione di corde e la produzione di materiale cartaceo.
La canapa come psicoattivo è invece di origine probabilmente indiana, e il suo uso in tal senso presso gli Sciiti ce lo testimonia lo storico Erodoto. Con la spedizione napoleonica in Egitto, sulla canapa si concentra l’interesse medico, ma anche sociale: nasce il movimento dei cosiddetti “hashishini”, che annovera tra i suoi seguaci i vari Baudelaire, Dumas, Delacroix... Dunque verso la fine dell’800 la canapa era accettata e diffusa largamente come farmaco, sia in Europa che negli Stati Uniti, dove nel primo ‘900 nasce il movimento proibizionista, il cui obiettivo era la messa al bando non solo degli alcolici, ma anche di oppio, morfina e cocaina, che allora erano medicinali di largo uso. Dopo questo excursus storico, è intervenuto Massimiliano Verga, il quale ha tratteggiato un quadro generale sullo stato di cose attuale, rilevando come l’ unico Paese ad aver fino ad oggi condotto una ricerca sull’uso legale della canapa sia l’Olanda, che in questo progetto ha investito risorse notevoli, giungendo però a risultati altrettanto importanti : viene infatti smentito il passaggio dal consumo di hashish a quello di droghe pesanti, inoltre le percentuali di consumo occasionale olandesi sono identiche a quelle italiane (la tesi della legalizzazione come incentivo al consumo parrebbe quindi smentita), e addirittura la metà di quelle statunitensi. Inoltre il consumo cronico in Olanda è modestissimo, senza contare che lo spaccio dell’hashish è stato sottratto al controllo del mercato nero e della criminalità. Verga ha concluso con un accenno agli usi terapeutici della canapa, ad esempio nella cura dei malati terminali di Aids (l’ asssunzione stimola l’appetito, aiutando il paziente a riprendere peso), o di coloro che si sottopongono a chemioterapie (fumare una sigaretta di hashish dopo ogni seduta aiuta a combattere la nausea). Dopo le due relazioni, seguite da una quarantina di persone (per lo più giovani), si è dato spazio alle domande dal pubblico, incentrate soprattutto sugli effetti dell’assunzione sull’organismo e sulla psiche. Fra gli interventi, quello di un ex tossicodipendente, che ha sollevato l’interessante questione della molla che farebbe scattare l’esigenza del consumo, interrogandosi sulle ragioni di una pratica dello sballo che sembra diffusa, specie tra i giovani, e sul suo rapporto con l’insieme sociale e i suoi valori.
L’ipotesi avanzata sarebbe quella di una società sempre meno in grado di dare coesione, valori, significato all’esistenza; di qui il bisogno di cercare risposte, o forse di evadere le domande, da parte di una porzione di società ancora in via di formazione. L’intervento, al di là delle personali convinzioni sul proibizionismo e sulla bontà dei suoi risultati, ci è parso interessante e ricco di spunti, specie per una platea composta in gran parte da futuri sociologi. Peccato che la platea e gli stessi relatori non l’abbiano colto in tutta la sua portata o l’abbiano forse frainteso come la tirata moralistica dell’ex tossico uscito dalla comunità arrabbiato col mondo e intenzionato a bandire la droga dal pianeta. Se infatti è legitttimo esercitare una critica alla disastrosa politica proibizionista e ad una morale benpensante che criminalizza il consumo di alcune droghe (sulla pericolosità dei cui effetti sussistono forti dubbi ), pubblicizzandone disinvoltamente altre (tabacco, alcolici, lotterie e video giochi), è altettanto legittimo e urgente interrogarsi sulle ragioni di una così diffusa esigenza di “evasione” dalla realtà e su quali vuoti essa poggi. E non per criminalizzare ancora una volta l’ evasione, ma per comprendere portata e ragioni dei vuoti.