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Politiche per la sicurezza

E’ più efficace la prevenzione o la repressione?

Roberto Cornelli

Quali scelte politiche compiere per ridurre la criminalità e l’insicurezza nelle città? Questa è la principale questione affrontata al convegno "Sicurezza e democrazia", svoltosi a Napoli dal 6 al 9 dicembre e organizzato dal Forum Europeo per la Sicurezza Urbana.

Il Forum è un’associazione di circa 150 città e comuni d’Europa, con lo scopo di promuovere progetti di sicurezza a livello locale, di sviluppare la cooperazione tra città, e di creare un punto di riferimento per l’analisi e la valutazione delle politiche di sicurezza.

Sulla base degli stimoli emersi al convegno è possibile fare il punto sulle strategie di sicurezza adottate dalle città europee.

In genere le politiche di sicurezza si distinguono in politiche di ordine pubblico e politiche di prevenzione. Le prime mirano a ristabilire una situazione di tranquillità, dopo che l’ordine pubblico è stato minacciato da episodi di violenza, criminalità o anche solamente da situazioni fastidiose (vandalismi e simili). Nei Paesi anglosassoni sono indicate come law and order policies (politiche di legge e ordine): l’ordine viene ristabilito attraverso l’utilizzo della legge penale e dell’apparato repressivo (polizia e magistratura). Un esempio classico di queste politiche è il modello della ‘Tolleranza Zero’, attuato da William Bratton a Boston e importato successivamente nella New York di Rudolph Giuliani.

Le politiche di prevenzione, invece, hanno l’obiettivo di ridurre la frequenza di comportamenti indesiderati, ricorrendo a soluzioni diverse da quelle offerte dal sistema della giustizia penale.

In che modo? I Paesi del Nord Europa hanno adottato, per lo più, interventi di prevenzione situazionale: hanno cercato, cioè, di prevenire comportamenti criminali o indesiderati aumentando le opportunità di controllo del territorio e diminuendo le occasioni che vengano commessi crimini. A tal fine sono state utilizzate telecamere in spazi pubblici e sistemi di allarme, sono stati modificati i criteri di progettazione dei quartieri per renderli più sicuri, è stata incentivata la sorveglianza spontanea della zona da parte degli abitanti.

I Paesi di origine latina (Francia, Spagna e Italia), invece, hanno sviluppato soprattutto progetti di prevenzione sociale, rivolti, cioè, a soggetti e situazioni problematiche, con l’obiettivo di ridurre la criminalità riducendo le cause (culturali, economiche e sociali) che la determinano.

Prevenzione e repressione, oggi, non sono più considerate l’una alternativa all’altra: molte città europee hanno elaborato strategie globali di governo della sicurezza, intese come mix di prevenzione e repressione. Anche in Italia, sempre più, si parla di politiche di sicurezza urbana che integrino politiche di ordine pubblico (o di repressione) e politiche di prevenzione. Tuttavia, passando dalle intenzioni alla pratica, in Europa (ma la situazione è analoga anche negli Stati Uniti e in Canada), la gran parte delle risorse finanziarie per combattere il crimine sono ancora impiegate in politiche repressive.

Quali i motivi di questa scelta? Generalmente si ritiene che la repressione sia economica nei costi e certa nei risultati. In realtà spesso la repressione è unicamente la risposta più semplice, più immediata e più appagante dal punto di vista politico, ma non per questo la migliore. Ricerche sulle forze dell’ordine condotte all’estero dimostrano che un aumento del numero di poliziotti non ha alcuna influenza sul tasso di criminalità, così come un aumento delle condanne e un aumento di detenuti nelle carceri non comportano una diminuzione di reati. Inoltre, studi di valutazione del sistema della giustizia, svolti soprattutto negli Stati Uniti, denunciano costi troppo alti a fronte di benefici (riduzione del numero di reati; riadattamento sociale dei condannati) non significativi.

Che fare, dunque, sul piano delle politiche di sicurezza? Occorre concentrarsi con più determinazione su ciò che funziona e ciò che non funziona, al riparo da giudizi non fondati. Sul piano del metodo, tre sono le tappe da percorrere: porsi un obiettivo chiaro e condiviso, predisporre politiche efficaci in relazione a tale obiettivo, valutare l’impatto effettivo di queste politiche sulle condizioni di sicurezza, al fine di renderle sempre migliori. Sul piano del contenuto, occorre ricordare che creare maggiore sicurezza non significa semplicemente ridurre la criminalità. Dentro al problema sicurezza ci sono aspetti oggettivi, legati alla diffusione della criminalità, ma anche aspetti soggettivi, legati ad ansie e preoccupazioni di rimanere vittima di reati. Spesso le dimensioni soggettive non corrispondono a quelle oggettive. In effetti, i risultati di numerose ricerche indicano che la paura della criminalità aumenta anche se il numero di reati diminuisce.

L’insicurezza, dunque, può dipendere anche da cause diverse dalla criminalità. Obiettivo delle politiche di sicurezza, dunque, è anche quello di conoscere e intervenire su tutti quei fattori che determinano ansie e preoccupazioni tra le persone.

Roberto Cornelli è ricercatore a Transcrime e dottorando di ricerca in Criminologia all’Università di Trento.

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