Luca Coser, investigatore concettuale
Se uno andasse diritto al lunghissimo tavolo sul quale sono disposti centinaia di foglietti, pagine staccate da un album per schizzi, potrebbe pensare di essere entrato nello studio di un disegnatore di racconti: uno che ama frequentare storie investigative, dense di suspense, ma nel momento in cui non ha ancora ben stabilito quale ordine dare alle immagini. Poi, si accorge che quelle sono immagini della memoria, forse ricostruite nel sogno, giustamente in disordine, dopo aver visto e rivisto un vecchio, glorioso film dei primi anni Trenta.
Luca Coser, il cui lavoro è esposto alla Galleria Civica di Trento fino al 10 dicembre, ci rende partecipi di certe emozioni che gli derivano dalla lettura: di libri, di film, di fumetti. Eppure non è un cultore dei media della contemporaneità, e nemmeno semplicemente un pittore narrativo. Ciò di cui vuole parlarci sono le sue reazioni, le risonanze che hanno in lui certe storie. Il carattere inquieto, lunatico ( "Perfetti lunatici" è il titolo delle opere più recenti) dei personaggi che lo ispirano si confronta con le sue inquietudini, col bisogno di distanziarle senza sopprimerle.
Ne nascono quadri che sono luoghi di contrasti, di fertili contrasti. Guardate, ad esempio, le dimensioni: più grandi della statura di un uomo quelle della tela, neanche un fazzoletto quelle del foglio col frammento di storia. Guardate il linguaggio: tutto "mentale" quello della definizione dello spazio del quadro, recinto simbolico (un "ring", come lo chiama l’autore), planimetria di una stanza interiore; e invece iconico quello della memoria e dell’emozione, perfino scritto quando recupera i frammenti letterari degli autori che lo hanno colpito. I percorsi del gusto sono particolari, personali: possono essere i temi sociali di un Walter Evans, le prime parole dell’ultima lettera di Vincent Van Gogh; il "non fate troppi pettegolezzi" di Cesare Pavese; l’inferno e paradiso di Pasolini; fino all’ineffabile burattino di Collodi, protagonista di una delle opere più interessanti qui esposte.
Nella terra apparentemente "di nessuno" che c’è tra il grosso perimetro nero e il piccolo nucleo narrativo, ci sono rari e sparsi indizi di una ricerca, quasi le tracce, gli appunti di un’investigazione senza un tragitto preordinato: anche così veniamo resi partecipi dell’onesta complessità dei percorsi mentali di Luca Coser. Guardate poi il ruolo dell’ombra: non la incontriamo solo nella parte iconica (dove è elemento costituito dell’alone di indagine sul delitto), viene proposta talvolta - paradossalmente - anche nella parte "astratta", creando un ulteriore contrasto tra lo spazio piatto e l’illusione di profondità. Dicevamo del distacco: è prodotto da un insieme di elementi linguistici, il primo dei quali è senza dubbio la copertura di resina epossidica (qualcosa che ricorda un grosso strato di paraffina) che da un lato conferisce un particolare valore materico-tattile all’opera, ma dall’altro introduce anche garbati riferimenti all’uso di elementi sensoriali che sono stati fondamentali anche in certi artisti concettuali come Beuys.
E poi, e per finire, sarà anche vero che Luca Coser, come dice lui, quando dipinge combatte con certe paure, ma bisogna dire che si è attrezzato con strumenti di raffinata ironia sempre ottimi in questi casi: così è, mi pare, in quei "buchi" che in varie opere ricordano le pallottole, e che altre volte sono sostituiti da tasti dispersi di vecchie Olivetti. Macchine che, come è noto, ne hanno ammazzati più delle pistole.