Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 14, 8 luglio 2000 Servizi

Teatro Sociale: La prima e dopo la prima

L’esclusiva, elitaria serata dei Vip trentini. E tutte le potenzialità - e problemi - del nuovo, bello, piccolo, costoso teatro.

Alcuni degli invitati tagliano la corda a metà spettacolo, altri ciondolano al bar in attesa della fine e del rinfresco, altri rimangono in sala, ma pensando ai fatti propri; i più volonterosi cercano di seguire con entusiasmo, e sbagliano i tempi degli applausi, facendo inviperire gli appassionati veri, quelli che dopo anni di concerti alla Filarmonica il bon ton della musica concertistica l’hanno sacralizzato.

La serata esclusiva, con i Vip trentini in gran spolvero, ha portato anche a questi esiti: la demenziale corsa ai biglietti (superVip: biglietti ai collaboratori; Vip di serie A: biglietto anche per consorte; Vip di serie B: biglietto singolo; pirla qualsiasi: a casa alla Tv), i funzionari comunali addetti alla distribuzione che per una settimana si credono dei padreterni, un pubblico tutto di facce note alle pagine dei giornali, ma inadeguato allo spettacolo.

Forse non si poteva fare diversamente: i posti in definitiva sono pochi, e per una serata inaugurale gli inviti in qualche maniera bisogna selezionarli. In ogni modo il risultato non è stato il massimo della democrazia, né della funzionalità: uno spettacolo elitario (un Bach non per tutti) per un pubblico elitario, con le due élite che non coincidono.

La sera della prima comunque è passata; e la successiva settimana di spettacoli inaugurali, svariando su generi diversi e concludendosi con il popolarissimo e appaluditissimo Andrea Castelli, ha anche attenuato la prima immagine di luogo per pochi, per una cultura vagamente aristocratica. Insomma, adesso il Teatro c’è, ed è proprio bello. Ora si tratta di utilizzarlo al meglio.

Il fatto vero è che, contrariamente a quanto si è fatto credere con il troppo parlare di "riappropriazione del Teatro da parte della città", le nuove funzioni del Sociale non potranno che essere molto diverse da quelle passate. Ovviamente non più luogo per feste e veglioni, e neanche una sala cinematografica tra le altre, come in realtà era vent’anni fa, quando la stagione teatrale era ben poca cosa. Oggi il Teatro si inserisce in una realtà di spettacoli infinitamente più dinamica, il che offre notevoli prospettive, ma anche presenta problemi.

Problemi subito emersi: "Ma dai palchi non si vede niente!" - è stata la prima protesta. Certo, le seconde file nei palchi laterali non sono fatte per vedere lo spettacolo: il teatro all’italiana, con le file di palchi a semicerchio, non prevede una centralità del palcoscenico, bensì della platea (dove c’erano sedie asportabili, non poltrone): un luogo per trovarsi, per conoscersi, con lo spettacolo come optional. Oggi è diverso: lo spettacolo è centrale, anzi è praticamente tutto. E in un teatro all’italiana, con il pubblico raccolto tutt’intorno, in un’atmosfera di calda e antica bellezza, le suggestioni vengono rafforzate, il contatto con (e tra) il pubblico enfatizzato. Ma questo si paga sul brutale piano dei numeri: i posti ‘veri’ al Sociale sono solo 550. Il che vuol dire che la struttura, più onerosa e delicata dell’Auditorium, costerà di più e renderà di meno.

Se a questo aggiungiamo che al Sociale si intende far passare l’opera lirica, con i suoi costi esorbitanti (100-120 milioni a titolo, cinque-sei volte il costo di un’opera di prosa) si vede subito come il discorso del vile denaro diventi centralissimo. Dal punto di vista della managerialità degli operatori, del coordinamento tra strutture; ma anche del significato delle stagioni spettacolari. Chi pagherà e perché?

Trento, capoluogo, è giusto che sia palcoscenico di eventi per tutta la provincia. E penso che con il Sociale possiamo entrare molto bene nel circuito primario degli spettacoli di interesse nazionale" - afferma l’assessore provinciale alla cultura Molinari, che poi è colui che sgancia i soldi.

Un teatro che riesca a crearsi nome e tradizione, è una sicura attrattiva turistica, e non solo per la città. "Si può dare sistematicità alle offerte di pacchetti biglietto teatrale+pullmann dalle località turistiche. Non solo: le altre piazze (Cles, Riva, Rovereto, Tione) possono inserire nella propria stagione teatrale un’integrazione con la formula biglietto+pullmann per la stagione nazionale a Trento."

Chiaramente quest’ottica rimanda a due problemi. Il primo è il definitivo superamento dei campanilismi, in particolare lo stucchevole dualismo Trento-Rovereto ("Ci sono ancora questi problemi? Se sì, è ora di dimenticarli" - avverte a muso duro Molinari); e d’altra parte una parallela più sistematica integrazione del pubblico del capoluogo con i Festival roveretani "dovrebbe far capire che i campanili della cultura non hanno spazio alcuno."

Il secondo problema è che se il Teatro Sociale è di interesse provinciale (leggi finanziamenti della Pat), anche l’ente che lo gestisce, il Centro Santa Chiara, dovrà rispondere a mamma Provincia. Insomma, non potrà continuare a lungo l’attuale balzana situazione, per cui il Santa Chiara è sostenuto (vedi tabella) soprattutto dalla Pat, ma è guidato da un consiglio di amministrazione nominato dal Comune di Trento.

Non sono questioni secondarie: si tratta di stabilire se il Sociale dovrà rispondere alle esigenze della città, oppure del territorio provinciale. E per capire quanto sia tenace la persistenza dei piccoli localismi riduttivi, basti pensare alla proposta dell’ex-capogruppo dei Ds al Comune di Trento, di far gestire il teatro alla circoscrizione Centro storico.

Chiarito il quadro complessivo, si apre il problema di come si rapporta il nuovo Sociale con gli spazi preesistenti. Cioè: sarà un doppione dell’Auditorium?

"Chiariamo una cosa - ci risponde Franco Oss Noser, direttore del Santa Chiara - Trento per troppi anni ha sofferto della limitatezza degli spazi a disposizione. Oggi l’Auditorium viene utilizzato per 250 giorni all’anno: troppi, viene ad essere esiguo il tempo a disposizione per la manutenzione. Il Sociale, più delicato, dotato di tecnologie sofisticate, non dovrà assolutamente essere altrettanto congestionato."

Si prefigura quindi una suddivisione dei compiti, tenendo presenti le diverse caratteristiche (vedi tabella) delle strutture. Al Sociale andranno i generi che più si avvantaggiano di un ambiente raccolto: il cosiddetto teatro musicale, essenzialmente la lirica (su cui si intende investire molto, per il suo richiamo anche turistico), l’operetta, il musical; una parte della musica sinfonica (sperando che i prossimi lavori di rifinitura migliorino la non eccelsa acustica); la prosa più classica, da Goldoni alla tragedia greca; e tutti gli spettacoli che abbisognano di un palcoscenico minimamente spazioso e che fino ad oggi non sono potuti transitare o sono stati rappresentati con metà scenografia, causa la demenziale piccolezza del palcoscenico dell’Auditorium. Quest’ultimo sarà riservato alla danza (tutti i posti hanno una visione dall’alto della scena); alla musica più popolare e giovanile (a Paolo Conte si addice il Sociale, a Elio e le Storie Tese, l’Auditorium); agli affitti per manifestazioni e convegni, che rimpinguano le entrate. Infine il Teatro sperimentale per gli appuntamenti per un pubblico più ridotto.

"Bisognerà comunque capire che il Sociale dovrà avere almeno una stagione di rodaggio: la gestione di una nuova, importante struttura, non la si inventa; non potrà essere tutto subito a regime" - mette le mani avanti Oss Noser.

In effetti il nuovo teatro, con le prospettive e i problemi che apre, inevitabilmente porta a tirare un bilancio dell’attività del Centro Santa Chiara. Per vedere se l’istituzione è in grado di affrontare i nuovi compiti, bisogna partire da come ha svolto quelli vecchi.

Il discorso deve partire da un dato: il pubblico. Che in questi anni è andato continuamente, vistosamente crescendo, con un progressivo articolarsi delle proposte: dalla prosa alla danza, al musical, al teatro per ragazzi, al folk, alla lirica. Per ogni genere è stato, con gradualità, creato un pubblico, che via via è venuto consolidandosi. E questo è un successo vero: manageriale, e soprattutto culturale.

Più articolato invece il discorso sull’organizzazione. Impeccabile l’accoglienza in sala, i servizi di guardaroba, quello di biglietteria (anche grazie all’accordo/sponsorizzazione con le Casse Rurali, che hanno decentrato e computerizzato le procedure di prenotazione).

Disastroso il bar, con le cameriere che si affannano come disperate, ma lo spettatore, pur sottostando a code da mensa universitaria, non riesce nell’intervallo a bersi un caffè. Discutibili le pulizie e la manutenzione: alcune compagnie si sono lamentate, anche con lettere alla stampa, di aspetti essenziali come lo stato dei servizi igienici; e durante gli spettacoli di danza è frequente vedere sollevarsi dal palcoscenico preoccupanti nuvole di polvere.

Ma il punto più contestato è un altro. La capacità del Centro di ragionare in termini rigorosamente economici. Secondo i critici, con un bilancio (vedi tabella) coperto soprattutto da contributi pubblici, con la sicurezza che tanto, anche se si sfora, mamma Provincia poi rimedia, il Santa Chiara non è strutturalmente portato a far quadrare i conti. E questo non va più bene, soprattutto se con il nuovo teatro i compiti si ampliano, se si apre a un genere costoso come la lirica, se si intende passare dall’acquisizione di spettacoli preconfezionati ad una più decisa attività di produzione.

Il passaggio risolutivo viene individuato "nella trasformazione del Santa Chiara in Fondazione Culturale - ci dice l’assessore Molinari - Un ente quindi che avrà pur sempre finanziamenti pubblici, ma molto più autonomo. E responsabilizzato." I cui amministratori risponderanno in proprio, non con i soldi della Pat.

Per analizzare compiutamente le modalità di avvio di una tale Fondazione, è stato commissionato uno studio a un istituto universitario. "E’ una prospettiva che riteniamo molto interessante - commenta il prof. Fait, da poco presidente del Santa Chiara - Ci permetterebbe una maggior autonomia, che proprio con il Sociale potremmo utilizzare in pieno. Basti pensare a una ricerca più sistematica degli sponsor, alla gestione di tutti i nuovi spazi, a iniziare dal sito archeologico..."