Ora di religione: la patata torna bollente
La precarietà di lavoro degli insegnanti di religione: vizio congenito o materia di intervento legislativo? Un dibattito fra due sindacalisti laici e due cattolici doc.
L'insegnamento della religione cattolica è un argomento che ha sempre suscitato in Italia vivacissime discussioni e prodotto nette contrapposizioni. Le polemiche si sono riaccese dopo la revisione del Concordato nel 1984, che ha introdotto per l’utenza la possibilità di avvalersi o meno di questo insegnamento ed ha confermato alla nostra provincia e ad altri lembi del territorio nazionale, in qualità di "regioni di confine", il diritto di programmare l’insegnamento della religione cattolica secondo le "consolidate tradizioni".
Per la nostra provincia, il quadro normativo è stato definito con le "Norme di attuazione", di cui al D.P.R. n.405 del 1988. Ne riportiamo i punti salienti (art. 21): l’insegnamento della religione cattolica "è compreso nella programmazione educativa della scuola"; "è impartito, sia nella scuola elementare che in quella secondaria, da appositi docenti che siano sacerdoti o religiosi, oppure laici riconosciuti idonei dall’ordinario diocesano, nominati dall’autorità scolastica competente, d’intesa con l’ordinario stesso"; l’insegnamento è impartito "per non meno di un’ora settimanale; nella scuola dell’obbligo possono essere stabilite fino a due ore settimanali"; l’orario-cattedra è fissato in 18 ore nella scuola elementare, 15 in quella secondaria.
Il dibattito organizzato da Questotrentino riguarda, all’interno di questo contesto, un problema specifico e circoscritto, vale a dire la precarietà che caratterizza il rapporto di lavoro dei quasi trecento insegnanti di religione (in maggioranza laici, maschi e femmine) nelle scuole statali della nostra provincia e le proposte di legge che sono state avanzate per porvi rimedio.
Ricordiamo che due sono le iniziative sul tappeto: il disegno di legge presentato nel settembre 1999 dal consigliere del Centro-U.P.D. Pino Morandini (gli altri firmatari sono: Valduga, Conci, Giovanazzi); la delibera dello scorso mese approvata dalla giunta provinciale, con sette voti a favore e due astensioni (Pinter e Benedetti).
Prendono parte al nostro dibattito: Vincenzo Bonmassar, segretario provinciale della UIL Scuola; Flavio Ceol, membro del direttivo provinciale della CGIL Scuola; Roberto Giuliani, responsabile per l’insegnamento della religione cattolica dell’Ufficio scuola diocesano della Curia; Pino Morandini, consigliere provinciale de Il Centro-U.P.D.
Incominciamo questo dibattito con una ricognizione della situazione attuale degli insegnanti di religione, specialmente per individuare le cause della precarietà del loro rapporto di lavoro.
Giuliani: Va riconosciuto che negli ultimi tempi la situazione contrattuale di questi insegnanti è lievemente migliorata, ma rimane la questione di fondo della perenne precarietà: non possono avere un contratto a tempo indeterminato, a differenza di tutti gli altri insegnanti. E’ una situazione che fin dall’85, con la legge n. 121 (quella che recepiva le modificazioni del Concordato) il governo si era impegnato a risolvere. Più recentemente la Provincia di Trento in una legge finanziaria esprimeva la medesima intenzione, mentre la Provincia di Bolzano nel 1998 ha introdotto il contratto a tempo indeterminato per gli insegnanti di religione. Infine, in sede nazionale, al Senato, sono depositati numerosi disegni di legge, poi riunificati in un’unica proposta, che vanno nella medesima direzione.
Ceol: Come sindacato non siamo assolutamente contrari a riconoscere il rapporto d’impiego a tempo indeterminato, tant’è vero che nell’ultimo contratto provinciale abbiamo inserito un apposito articolo che riconosce anche a loro certi istituti, come la maternità, i permessi di studio, ecc. La precarietà non nasce dalla cattiva volontà di qualcuno, ma dalla natura stessa dell’insegnamento della religione cattolica, che è facoltativo.
La tendenza degli ultimi anni relativa al numero di chi sceglie o non sceglie l’insegnamento religioso, fa pensare a una contrazione di questi posti di lavoro?
Ceol: C’è un aumento dei "non avvalentisi", ma non tale da determinare un calo dei posti. Comunque, questi sono gli unici insegnanti che indipendentemente dal numero di alunni che hanno, mantengono la cattedra.
Qual è attualmente la prassi per arrivare alla nomina di un insegnante di religione?
Giuliani. La situazione è regolata da leggi specifiche dello Stato, che prevedono una procedura cosiddetta "d’intesa". In concreto, un insegnante di religione deve avere, come gli altri docenti, il requisito del titolo di studio (laurea o diploma, a seconda dell’ordine di scuola) e un pre-requisito specifico, che è l’idoneità, rilasciata dall’autorità ecclesiastica.
Il meccanismo dell’intesa funziona così: l’Ufficio scuola diocesano, sulla base di una graduatoria per titoli e servizi, resa pubblica e contro cui è possibile ricorrere, fa le proposte di nomina per sedi e per orario. L’intesa avviene insostanza sia con i capi di istituto che con la Sovrintendenza. Nei miei cinque anni di esperienza non ho mai verificato, inquesto ambito, conflitti irrisolvibili. Al massimo si sono verificate delle divergenze, risolte con delle semplici trattative. Raggiunto l’accordo, la firma del contratto spetta all’istituzione scolastica.
Morandini: Penso che con le due proposte di legge nessuno voglia fare una guerra di religione. Secondo me, si tratta di un adempimento doveroso da parte del legislatore provinciale, per realizzare compiutamente quanto è stato legittimato da un ampio consenso parlamentare (allorché il Parlamento ha operato per la revisione del Concordato), e quanto è stato anche suffragato dalla volontà dei cittadini, visto che il 96% delle famiglie in provincia di Trento ha chiesto di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica.
Bonmassar: L’operazione in atto non riguarda tanto i lavoratori che operano nella scuola, perché nessuno vuole andare contro i diritti di queste persone. Fra l’altro, mi sono reso conto di quanto sia difficile garantire sindacalmente gli insegnanti di religione, proprio perché la normativa che li riguarda non è l’ordinamento statale. L’idoneità all’insegnamento della religione cattolica dipende, infatti, dal Codice canonico (canoni 804-805) e lo Stato agisce come braccio operativo di un ordinamento esterno. Il dibattito vero è sull’uso ideologico che si vuol fare dellareligione cattolica. La mia opinione è che si voglia, in realtà, portare all’interno di un’istituzione laica, cioè la scuola pubblica, un segno forte di presenza di interessi politici, ideologici.
Intanto, constato che sulla necessità di stabilizzare il rapporto d’impiego di questi insegnanti c’è il vostro accordo unanime. Quanto all’idoneità all’insegnamento, non dovrebbe essere la scuola a certificarla, come per le altre discipline?
Ceol: L’insegnante di religione viene nominato per la sua adesione a una certa fede e a certi comportamenti e rimosso quando si ritiene che queste condizioni non sussistano più: è anzitutto questo a fare di lui un precario. Questi sono insegnanti, da un certo punto di vista, avvantaggiati: non devono passare attraverso la selezione dei concorsi ed hanno un orario più breve rispetto ai colleghi. Al contempo, però, non possiedono il diritto fondamentale di ogni docente, la libertà d’insegnamento
Giuliani: Tre sono i criteri stabiliti dal codice canonico per il riconoscimento dell’idoneità e tutti tendono a garantire l’adeguatezza sul piano didattico. Il primo criterio, il più problematico, è quello relativo alla "testimonianza di vita cristiana". Il secondo è quello della "retta dottrina", con cui si intende la conoscenza obiettiva e completa dei contenuti della Rivelazione cristiana e della dottrina della Chiesa, vale a dire la conoscenza specifica della disciplina. Il terzo criterio è la "abilità pedagogica". Torniamo alla "testimonianza di vita cristiana": all’insegnante si chiede una condivisione di quello che insegna, ma anche chi insegna qualsiasi altra disciplina deve avere fede e fiducia in quello che insegna.
Ammettiamo pure che questi tre requisiti siano validi per ogni insegnamento. L’anomalia consiste nel fatto che la certificazione di tali requisiti venga fatta non dalla scuola, ma da un’istituzione estranea.
Giuliani. Comunque la si pensi, questo è quanto stabilisce il Concordato. Del resto, lo Stato prevede questa presenza nella scuola per ragioni storiche e culturali, perché la religione cattolica ha fortemente contrassegnato - chi dice nel bene, chi nel male - l’arte, la storia, la cultura dell’Italia e dell’Europa. E’, quindi, una confessionalità nei contenuti, ma non, assolutamente, nelle finalità. Vigiliamo permanentemente sugli insegnanti, affinché non ci siano sconfinamenti nella catechesi.
Morandini: I contenuti del mio disegno di legge sono chiari e mirano all’eliminazione della precarietà, un punto sul quale vedo con piacere che siamo d’accordo. Dunque respingo al mittente ogni accusa di strumentalizzazione ideologica o partititca.
Bonmassar. I due disegni di legge prevedono un effetto perverso, nell’ipotesi in cui l’ordinario diocesano revochi l’idoneità all’insegnante di religione. Lo Stato, che non ha avuto alcuna parte attiva nell’individuare quella persona, si troverebbe, tuttavia, a doverla gestire come lavoratore dipendente. Per essere assunti dalla Provincia di Trento basterà, quindi, cominciare col fare l’insegnante di religione. Inoltre, ritengo che il concorso per l’accesso ai ruoli dell’insegnamento della religione cattolica, previsto dai due disegni di legge, non sia affatto "pubblico", come si afferma, perché è aperto solo a coloro che possiedono l’idoneità. Rilasciata, lo abbiamo visto, dall’autorità ecclesiastica, sulla base del codice canonico.
Ceol: Volevo riprendere quanto diceva Giuliani. Nessuno mette in dubbio l’importanza della cultura cattolica per la storia del nostro Paese. Però, altra cosa è affermare che gli unici titolati a insegnare questo tipo di tradizione culturale sono coloro che hanno il placet della parte interessata, cioè della Chiesa.
Tornando ai disegni di legge, giudico anch’io assolutamente sbagliati quegli articoli che prevedono, in caso di licenziamento da parte del vescovo, la riassunzione dell’insegnante di religione, attraverso percorsi privilegiati. Sia che la riassunzione consista in un altro incarico di insegnamento, sia che riguardi quei sessanta posti in tutta la provincia (Iprase, Musei, Sovrintendenza, Assessorato, ecc.), che dovrebbero essere assegnati per concorso pubblico, sulla base di titoli e competenze specifiche.
Morandini: Rispondo a Bonmassar: A me non pare che lo Stato agisca, nel meccanismo che abbiamo descritto, come longa manus di un’altra autorità. Davvero non è così, lo scopo del Concordato è quello di lavorare d’intesa fra un’autorità e l’altra. Però - si dice - l’idoneità dipende in toto dal diritto canonico: questo è vero, ma è soltanto un pre-requisito. Bonmassar dice che il concorso, di conseguenza, non è pubblico. Non sono d’accordo. Per essere ammessi a qualsiasi concorso pubblico occorrono certi requisiti. Per cui "pubblico" non vuol dire aperto a tutti, ma aperto solo a coloro che possiedono quei requisiti.
Giuliani: Riguardo all’idoneità, in nessun caso, da sola, essa determina le assunzioni. Non è vero, perciò, che lo Stato non svolge una parte attiva. Può contestare le proposte dell’ordinario diocesano, può non volere un insegnante, può non firmare il contratto di lavoro, può farlo decadere, ecc. Quindi entrambe le parti in causa - l’autorità ecclesiastica e quella scolastica - hanno un ruolo attivo.
Per quanto riguarda la revoca dell’idoneità, questi scenari apocalittici che sono stati qui illustrati, sono pura teoria. La possibilità che un insegnate di religione di fronte alla revoca dell’idoneità passi su altro insegnamento, non è affatto un automatismo.
Comunque, sui contenuti della futura legge, c’è da parte nostra piena disponibilità al confronto, non c’è nessuna rigidità. Credo che l’aspetto importante sia poter dire che questi insegnanti fanno parte della scuola a tutti gli effetti.
Possiamo avviarci alle conclusioni, dal momento che abbiamo ormai toccato tutti i punti importanti.
Bonmassar: E’ una strada molto pericolosa quella individuata dai due disegni di legge, perché dall’appartenenza ad una confessione si fanno derivare degli effetti diretti a carico dell’amministrazione statale. In prospettiva, si va a configurare quella che storicamente si chiama la religione di Stato.
Morandini: Il disegno di legge, di cui sono primo firmatario, si inserisce in un preciso contesto normativo ed intende semplicemente ovviare alla situazione di precarietà degli insegnanti di religione. E se è vero che la disciplina dell’idoneità fa capo al diritto canonico, è anche vero che questa disciplina si innesta dentro le intese del regime pattizio concordatario. La possibilità che gli insegnanti assunti a tempo indeterminato e successivamente, per ipotesi, non più ritenuti idonei, possano essere adibiti ad altri insegnamenti non mi pare anticostituzionale. E’ una misura di politica del personale. Si può non condividere; discutiamone.
Infine, per toccare il cuore del problema, il trasmettere ai ragazzi e ai giovani valori fondamentali ed essenziali per la vita e per la loro formazione, che è quanto cercano di fare gli insegnanti di religione, mi pare, comunque, un buon servizio.
Giuliani: E’ ovvio che da una pregiudiziale negativa nei riguardi del Concordato conseguano delle valutazioni negative su tutto il resto. Ci troviamo di fronte, in effetti, ad una discussione che coinvolge due livelli molto diversi, e mi pare che questo sia emerso in maniera molto chiara: un conto è l’interrogativo sull’insegnamento della religione in generale, e su questo il dibattito è aperto; un conto è la situazione degli insegnanti, tenendo conto di quanto al momento è previsto dalla legge. Per rispondere a quest’ultima necessità, ci troviamo di fronte ad un’iniziativa di consiglieri di minoranza, ma anche ad una della Giunta provinciale, e mi auguro che possano determinare il superamento di schieramenti ideologizzati, per arrivare ad una soluzione concreta condivisa.
Ceol: Il consigliere Morandini afferma che gli insegnanti di religione trasmettono dei valori. Fra parentesi, permettetemi una breve osservazione: non mi spiego come mai, malgrado tutta questa istruzione religiosa in Trentino, il 96% di avvalentisi ecc., gli studenti dimostrano spesso una sconcertante ignoranza in materia.
Ma tutti gli insegnanti trasmettono valori; eppure non viene richiesto che siano codificati da un’altra autorità, diversa dalla scuola. In realtà, credo che gli insegnanti di religione siano posti in una condizione di minorità, limitati come sono nella libertà di insegnamento. La condizione di precarietà di questi insegnanti non verrà superata per mezzo di queste proposte, perché è una precarietà congenita.
Lo dicono gli stessi disegni di legge, perché entrambi, pur prevedendo quella cosa inaccettabile che è la possibilità di transitare su un altro incarico in via privilegiata, dicono che comunque possono venire licenziati.
La revoca dell’idoneità determina, infatti, la risoluzione del contratto di lavoro.