Il Giubileo dei senzatetto
Al convento dei cappuccini, ospitalità per i senza tetto. Per ora, soprattutto una provocazione...
Anche la Chiesa trentina, in vista del Giubileo, ha espresso per bocca di preti e di laici propositi di rinnovamento e di ritorno al dettato evangelico. Sull’onda del perdonismo papale ha pure fatto il mea culpa per alcune mancanze ed errori (sempre del passato!) crudamente confessati. E durante le celebrazioni della Pasqua, questi propositi e queste scuse hanno trovato momenti di grande intensità liturgica, come quando quasi 500 sacerdoti della diocesi, in Duomo, hanno chiesto perdono per una lista di ben undici fattispecie di "peccati".
E’ certamente troppo presto per trarre bilanci ed anche per individuare segni concreti di qualche cambiamento, per vedere se alle parole stanno seguendo i fatti, o se invece non si perseveri in politiche che preparino materia per rinnovate richieste di perdono in futuro. In questo contesto, comunque, ci è sembrata significativa l’iniziativa del convento dei frati cappuccini di Trento, il quale ha aperto la propria struttura per dare da dormire ad un gruppetto di senzatetto. Potrà sembrare il topolino partorito dalla montagna, ma a nostro avviso possiede una valenza che va oltre il dato quantitativo. "E’ stata una piccola risposta - ci dice padre Fabrizio Forti, responsabile dell’iniziativa - ad un problema urgente: il freddo. Già dalla fine dell’autunno una decina di senzatetto trovava un riparo per la notte all’interno del convento, sul corridoio della portineria, ma senza brande, né coperte."
Nei mesi di febbraio e marzo il convento della Cervara li ha ospitati ogni notte in un locale appositamente attrezzato: barboni, italiani ed extracomunitari senza o in cerca di lavoro. E si sono garantite l’assistenza e la sorveglianza notturne, il che ha voluto dire coinvolgere non solo i frati (alcuni anche del convento francescano di via Grazioli), ma anche i laici, che due per volta, a turno, hanno passato la notte in un locale attiguo a quello occupato dagli ospiti (e in alcune occasioni, la necessità del loro intervento c’è stata).
Va sottolineato, come afferma padre Forti, che l’operazione non è stata supportata da contributi pubblici. Solo l’ATAS, l’associazione cattolica che segue gli extracomunitari, ha dato una mano fornendo brande e materassi. "La nostra iniziativa non ha potuto soddisfare tutte le richieste, poiché - ci dice padre Forti – sarebbero state una cinquantina le persone da accogliere." Quelli che sono rimasti esclusi (gli ultimi degli ultimi) hanno continuato ad arrangiarsi, riparandosi negli edifici diroccati ex-Sloi (!), o in qualche antro, o nella zona caldaie di qualche condominio (fin quando i residenti non se ne accorgevano).
Con i primi di aprile l’intervento è cessato. Padre Forti ci assicura che a quell’epoca il problema era pressoché risolto, sia per l’inizio di una stagione meno inclemente, sia e specialmente, perché i soggetti avevano trovato una qualche sistemazione. Ma si lavora in vista del prossimo inverno: "Ci muoviamo su due livelli: il primo è il dormitorio di emergenza, il secondo è l’opera di sensibilizzazione su coloro che possono organizzare una soluzione meno precaria. L’Amministrazione comunale ha costituito un tavolo di lavoro, che si riunisce una volta al mese. Ne fanno parte oltre al nostro convento, il Punto d’incontro, l’ATAS, la Bonomelli, la Casa della giovane, l’Istituto S.Ignazio, il sindacato: lo scopo è mettere in piedi una struttura di base di bassa soglia (non troppo ligia alle regole della burocrazia, ad esempio per i fogli di soggiorno) che possa operare come asilo notturno, quanto meno da ottobre ad aprile."
Questo papa, anche recentemente, ha sollecitato i cristiani e i cittadini tutti al dovere di accoglienza e ha richiamato lo Stato italiano a farsi carico del problema, aumentando le quote di accoglienza degli immigrati e dei profughi, e a sanare le situazioni di irregolarità. Poche volte, però, abbiamo visto la Chiesa dare il buon esempio in prima persona, pur disponendo di notevolissime disponibilità logistiche. Anche in Trentino non mancano queste strutture: conventi semivuoti, canoniche esuberanti di spazi, edifici detenuti dai preti o dai monaci dei vari ordini scarsamente o per niente utilizzati (vedi, a Trento, il seminario maggiore e quello minore). Ecco perché l’iniziativa dei cappuccini di Trento ha certamente innescato delle riflessioni ed anche qualche tentativo di emulazione (peraltro abortito), ma probabilmente ha suscitato anche qualche malumore e qualche levata di scudi, e crediamo costituisca una spina nel fianco per certi ambienti. Più volte, infatti, la Curia arcivescovile trentina è stata accusata di gestire il suo ingente patrimonio in modo prettamente capitalistico, alla ricerca del massimo profitto. Più volte sono state criticate certe operazioni immobiliari, che avevano lo scopo di far rendere al più alto grado il capitale, anziché quello di offrire alloggi a canoni accessibili alle famiglie che hanno entrate modeste. E il settimanale diocesano Vita trentina, nel numero speciale di fine 1998, riportando una lunga serie di "mea culpa", ha aggiunto nuove critiche.
Vi troviamo denunciate parecchie magagne: il tradimento della volontà dei donatori di innumerevoli lasciti, che vincolavano la chiesa beneficiaria ad utilizzarli in favore dei poveri; il trattamento discriminatorio dei dipendenti di alcune aziende gestite dai preti e in generale uno scarso spirito evangelico nei comportamenti.
Possiamo concludere questo intervento, del tutto interlocutorio, constatando che è presto per dire se il Giubileo porterà aria nuova nella Chiesa trentina. Per intanto teniamoci questa "provocazione" dei padri cappuccini e vediamo, se con il concorso del Comune e di associazioni varie, essa concorrerà a risolvere a breve termine il problema del letto per coloro che arrancano ai più bassi livelli dell’esistenza. Possibilmente non solo durante i mesi più freddi e non solo per i disgraziati di sesso maschile.