Tecnofin: che fine ha fatto la privatizzazione?
La soluzione più facile sarebbe venderla, intascare la plusvalenza, e tanti saluti. Chi è che rema contro?
Un’altra privatizzazione fallita? Dopo Informatica Trentina, il cui progetto è una svendita, dopo Infostrutture, nella quale si è perseguita la soluzione autarchica, anche per Tecnofin si profila la cessione a prezzi di realizzo, nonostante le buone possibilità di sviluppo dell’azienda e soprattutto la possibilità di fare arrivare in Trentino i capitali privati. Un clamoroso errore di politica industriale, ma a chi giova tutto questo? Tra poco lo vedremo.
E’ paradossale, ma sulla ristrutturazione di Tecnofin sappiamo molte cose, tranne le più importanti. Conosciamo il destino delle sue controllate (Tecnofin è composto da quattro società): sappiamo dell’istituzione dell’Agenzia per lo Sviluppo, con annesso comitato coordinatore in cui siedono un po’ tutti. Sappiamo che la CISL crede molto nello strumento, addirittura una "grande occasione". Sappiamo dei progetti di fusione e integrazione delle sue controllate con pezzi di ITC, per le consulenze di alta tecnologia. Ma il nocciolo della questione è: dove vanno i soldi?. E l’argomento resta evaso. Insomma la capogruppo, con annesso il portafoglio azionario di partecipazioni in imprese trentine, che fine fa?
Ma prima un passo indietro: è necessario spiegare di cosa stiamo parlando. Il gruppo Tecnofin si articola in due attività: attività di merchant bank (la capogruppo) e attività di gestione immobiliare (le controllate). Tecnofin ha rappresentato dal 1975 ad oggi uno degli strumenti più importanti con cui la Provincia ha perseguito una propria politica industriale. L’idea era di intervenire a sostegno delle imprese in difficoltà finanziarie. Le imprese dovevano avere dei buoni requisiti economici (conoscenza del mercato, efficienza tecnica nella produzione, ecc.), ma dovevano trovarsi in difficoltà temporanee, legate alla gestione finanziaria (forte indebitamento con conseguenti grosse spese per interessi, difficoltà nel reperire liquidi per nuovi investimenti, ecc.). Allora Tecnofin interveniva attraverso la sottoscrizione di quote azionarie, entrando quindi direttamente nel capitale di rischio dell’impresa, oppure fornendo prestiti obbligazionari. Una volta che le imprese sono in buona salute, la quota azionaria viene rivenduta a un prezzo più alto. Questa è l’attività fondamentale dell’impresa.
Aquesta attività finanziaria, nel corso del tempo, si è affiancata la gestione immobiliare. Le ragioni sono molteplici: motivi di opportunità, per esempio la rilevazione degli stabilimenti Michelin e Pirelli di Gardolo e Rovereto, oppure la gestione dei così detti B.I.C. (Business Innovation Centre). Tuttavia questo aspetto rappresenta solo un quinto del fatturato complessivo di Tecnofin, ed è solo di questa parte di società che conosciamo i progetti di ristrutturazione (sappiamo che questa attività rimarrà in mano pubblica).
Ma l’attività di merchant bank? Tra le poche ipotesi ed i mille silenzi, è circolata anche l’idea della liquidazione secca della società. Ma che senso ha liquidare una società che negli ultimi 10 anni ha presentato sempre bilanci in utile?
In realtà, quello che ha perso di importanza è l’intervento diretto del pubblico nella gestione economica. Quando Tecnofin è stata creata, i capitali privati erano scarsi e le banche erano poco disposte ad esporsi ad attività di merchant. Si aggiunga la situazione del Trentino: da una parte piccole e medie imprese sottocapitalizzate (imprese i cui capitali impiegati erano prestiti bancari, e non sottoscrizioni azionarie) e dall’altra la Provincia, soggetto economico molto forte. In questo contesto Tecnofin ha giocato il ruolo un po’ dell’IRI, un po’ di Mediobanca.
Oggi le ragioni per la trasformazione di Tecnofin sono molteplici: in primo luogo il mercato europeo dei capitali è molto più ricco e fluido di vent’anni fa. Il lavoro di Tecnofin è oggi svolto da fondi chiusi di investimento, banche d’affari che operano a livello transnazionale, società finanziarie e così via. Cade quindi la prima necessità di un intervento pubblico diretto, cioè sopperire alla mancanza di iniziativa privata.
Vi è poi una ragione politica: le direttive dell’Unione Europea, espresse sotto forma di esortazione e non di legge, richiedono che un ente pubblico non entri così pesantemente nella gestione dell’economia, per timore di creare distorsioni alla concorrenza e conflitti d’interesse.
La privatizzazione di Tecnofin non è difficile, ed infatti c’è una piccola coda. La parte merchant di Tecnofin è composta di 50 miliardi di liquidità, 50 miliardi in partecipazioni. Produce utili, quindi, a occhio e croce, non dovrebbe essere difficile trovare qualcuno che sborsi 150 miliardi per subentrare alla Provincia. La quale ottiene due vantaggi: da una parte guadagna una buona plusvalenza, dall’altra chiama in Trentino capitali privati. Non è che ci voglia molta fantasia. Lo Stato ha venduto l’ENI e le Autostrade.
Perché è così difficile fare la cosa più ovvia e si lasciano invece circolare ipotesi di liquidazione della società?
Una liquidazione che sarebbe una perdita secca per l’economia trentina: significherebbe dissipare le conoscenze, l’operatività di un gruppo di persone che in questi anni hanno svolto un ruolo importante nella nostra realtà.
La ragione purtroppo è che c’è una parte in causa che può avere svantaggio dalla privatizzazione di Tecnofin, e cioè l’arcipelago delle società partecipate. E’ un bell’ arcipelago, non c’è che dire: industrie meccaniche, editoriali ed altre che producono utili. Ma che dire della pletora di partecipazioni in società funiviarie, metà delle quali in perdita? Che dire di tutte le altre società, dai congressi ai mobili per bagno, per alcune delle quali il pareggio di bilancio è una chimera? Ce n’è una che riesce a perdere in un solo anno più della metà del capitale proprio!
Certo la Provincia in questi anni è stata un socio accondiscendente.
Se le cose vanno male, si può sempre chiedere un altro finanziamento per un collegamento funiviario in più. Che diamine, è un socio sì o no? E a cosa servono i soci?
Una merchant bank privata sarebbe un socio assai peggiore. Magari vorrebbe dire qualcosa sulle strategie dell’azienda, dare un’occhiata ai conti... Il che per un’azienda sana non è un grosso problema, anzi è un’opportunità di sviluppo, perché vuol dire avere al fianco un partner forte. Ma per un’azienda così così, magari cresciuta all’ombra delle piccole lobbies provinciali, no, il rischio di un drastico ridimensionamento è troppo forte.
Ecco allora da dove arrivano le voci sulla liquidazione di Tecnofin. Le piccole paure di una parte di imprese, quasi tutte legate al business degli impianti di risalita, stanno bloccando la privatizzazione di Tecnofin, con l’obiettivo di liquidare la società al cosiddetto valore di libro. In questo caso le partecipazioni azionarie verrebbero spezzettate e ricollocate al valore nominale, molto più basso di quello reale. In alcuni casi potrebbero essere quindi riacquistate a un prezzo di favore, in altri potrebbero essere riassorbite dall’Agenzia per lo Sviluppo, o da qualche altro soggetto economico comodo.
Per Dellai questa operazione non sarebbe una novità. Ricordate il passaggio della quota di Infostrutture dalla AutoBrennero a Trentino Servizi?
Certo, l’interesse pubblico verrebbe ancora una volta accantonato, ma la battaglia è ancora tutta da giocarsi. Infatti in Tecnofin, con una quota dell’8%, ci sono azionisti di minoranza che non accoglierebbero la novità con salti di gioia, proprio quando si sa che c’è una piccola fila di cordate ed imprenditori pronta a comprare Tecnofin così com’è. Per loro, in primo luogo banche ormai diventate gruppi privati, la liquidazione di Tecnofin rappresenterebbe una perdita secca. La classica beffa all’azionista di minoranza.
Abbiamo l’impressione che per Dellai questa sia una partita un po’ più difficile da giocare che beffare l’Autobrennero.