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Un dibattito tra i fornelli

Canederli e Autonomia

Quando venne presentato il simbolo dei Democratici, l’asinello, si scatenò una (prevedibile) bagarre di commenti: la simpatica bestia, per Di Pietro, era sinonimo di pazienza e concretezza, ma per Sgarbi simboleggiava l’ignoranza e per Mastella la bizzosità. Nelle dichiarazioni rese ai telegiornali (che sono tanta parte dell’informazione politica degli italiani) molti, più che sull’oggetto (il nuovo partito), argomentarono sulla sua immagine, illudendosi di mostrarsi acuti e di divertire l’uditorio.

Impostare dei ragionamenti partendo da simboli e metafore fa parte di un’antica e anche nobile tradizione retorica, ma per risultare efficaci occorrono un’abilità e una finezza che pochi possiedono. L’effetto, in caso contrario, è quello di ingenerare oscurità o quanto meno fastidio; come nel dibattito avviato il 6 ottobre dal direttore dell’Alto Adige sul tema della specificità trentina e delle sorti della nostra autonomia (titolo: "Il Trentino metafisico che scopre i canederli").

"Mi metto, per due righe, - scrive Barbieri - nei panni del bambino che gridò ‘Il re è nudo’. Per gridare a mia volta: ‘I canederli fanno schifo’. I canederli, in questo caso, altro non sono che il simbolo della metafisica del trentinismo, della supposta e supponente diversità, della specificità brandita come uno scudo crociato per nascondere il nulla che vi è dietro, dell’autonomia usata come un pestello per frantumare l’acqua nel mortaio".

Premettendo che qui ci occupiamo non di politica ma dei modi della comunicazione, c’è da dire che un tale modo di procedere è ben strano: le metafore infatti servono o per ingentilire esteticamente un concetto, o per agevolarne la comprensione, ma quando si tirano in ballo i canederli come ovvio esempio di un cibo notoriamente ributtante, si è evidentemente fuori strada.

L'uscita di Barbieri, comunque, trova dei seguaci, e fin dal giorno dopo il dibattito si trasferisce in cucina con Giuseppe Parolari, che stravolge ulteriormente l’attendibilità della metafora: in effetti, riconosce l’esponente diessino, "nel corso degli ultimi decenni i nostri canederli sono andati via via assottigliandosi, in parte consumati dai continui assaggi di cuochi ingordi, in parte lasciati diluire nel brodo troppo grasso: sono diventati degli gnocchi (allora si sono rassodati, non diluiti, n.d.r.), semplici e banali gnocchi, diffusi in ogni angolo d’Italia, totalmente privi di diversità e specificità. Forse è per questo che noi trentini... ci siamo dati da fare per trovare un capocuoco capace di rimpastarli, di ridare loro volume e consistenza, di tornare a servire sul piatto nazionale questa prelibatezza nostrana, di mostrare ancora al mondo intero la nostra diversità e specificità..."

Lo spunto iniziale del direttore dell’Alto Adige viene così sviluppato in una piccola storia, articolata quanto assurda; e non ci riferiamo al bizzarro panegirico innalzato a Dellai (ribadiamo quanto già detto: non facciamo politica), ma ad una trama in cui vediamo dei canederli, sempre gli stessi, immersi da decenni nel brodo bollente, senza che mai nessuno li mangi; fino all’arrivo del nuovo cuoco, Dellai appunto, che con magico tocco trasforma l’antica brodazza in una "prelibatezza" e la serve "sul piatto nazionale". Dopo di che, finalmente, si potrà forse passarealle luganeghe.

Nerio Giovanazzi non è però d’accordo: "Nel ‘Ristorante Trentino’ - scrive il 9 ottobre - a cucinare i canederli non abbiamo purtroppo ancora uno chef de rang ma un modesto cuoco in difficoltà".

Tre giorni più tardi è il turno di Iva Berasi, che però rifiuta di entrare in cucina e privilegia invece le suggestioni della memoria: la metafora di Barbieri - dice - "mi ha fatto ritornare alla mente un verso di una vecchia canzone di Stefano Rosso: ‘Si discuteva dei problemi dello Stato, si andò a finire sull’hashish legalizzato’, per descrivere una impressione che ho provato in mezzo a tante e sostanzialmente inutili discussioni sulla riforma dello Statuto".

Nei giorni successivi si tengono lontani dai fornelli anche gli interventi di Lorenzo Dellai e Franco De Battaglia; ma ai canederli si torna con Alberto Sommadossi, che il 14 ottobre dà a tutti una lezioncina su come si usino certi strumenti retorici: "Io avrei accettato un democratico ‘I canederli mi fanno schifo’... ma la sua affermazione è invece tanto perentoria da assumere il sapore di un dogma.... Il canederlo, piatto povero, di recupero, e suo malgrado amato dai trentini, ripercorre in certo modo la filogenesi di quella trentinità da lei così fortemente negata. Recupera infatti pane secco ed avanzi di salumi, ché tutto ha da essere utilizzato e nulla si ha da buttare, in un quadro di economia compatibile. Possono essere cucinati in molti modi ed accostati praticamente a tutto, fornendo prova di quella elasticità necessaria ad affrontare la sfida dei tempi moderni. Debbono però essere preparati con cura rispettando l’antica maniera (guai al tritatutto, i pezzetti si debbono sentire in bocca!) e in famiglia, con la collaborazione di tutti, bell’esempio di filosofia del fare legata alla comunicazione transgenerazionale".

Il canederlo come simbolo del Trentino al posto dell’aquila? Tra le varie riforme - parlare non costa niente - si potrebbe proporre anche questa...

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