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QT n. 8, 17 aprile 1999 Servizi

Da Belgrado mi dicono che...

La Nato? “Terroristi”. I profughi albanesi? Non sono cittadini yugoslavi, ma "immigrati clandestini”. La propaganda di Milosevic, la voglia di pace: ecco cosa ci si sente dire chattando via Internet con i giovani di Belgrado.

Se c’è una novità davvero assoluta di questa guerra è Internet. La guerra del Golfo era già stata caratterizzata da una presenza dell’informazione senza precedenti, con l’inviato della CNN che, armato di un impianto di comunicazione satellitare, trasmetteva da Bagdad le immagini in diretta delle incursioni alleate.

Questa volta, però, c’è un salto di qualità davvero impressionante. Anzitutto perché chiunque può accedere all’informazione "avversaria" navigando tra le pagine web. Se vogliamo sapere in via diretta cosa pensa Milosevic, senza subirci il filtro dei nostri tiggì, è sufficiente visitare il sito ufficiale del governo di Belgrado. E, viceversa, gli yugoslavi possono, attraverso i loro computer, vedere in diretta la CNN e la BBC, ma anche le conferenze stampa di D’Alema o sentire Radio Radicale. O leggersi Repubblica e il corrierone.

E Milosevic può fare poco o nulla per impedirlo. La struttura anarchica di Internet, senza un cervello unitario, è stata inventata in questo modo dagli americani proprio per motivi militari: per evitare l’interruzione delle comunicazioni in caso di guerra. E oggi, andando molto al di là degli utilizzi che i generali americani avessero mai potuto prevedere, Internet è quanto di più incontrollabile - da qualsiasi governo, buono o cattivo che sia - si possa immaginare. Certo, con tutti i pericoli che uno strumento senza controllo può rappresentare (per la criminalità è una manna!), ma anche con tutte le potenzialità democratiche e libertarie che porta con sé.

Eppure c’è molto più di questo, di davvero nuovo, in questa guerra. Basta avere un computer, anche un ferrovecchio, e un accesso ad Internet, che ormai costa niente, per parlare direttamente con altri normali cittadini che stanno dall’altra parte del fronte. E se pensiamo che l’informazione, nelle guerre, è un’arma da sempre utilizzata al pari delle bombe e dei cannoni, ci possiamo rendere subito conto di cosa significhi questa possibilità.

Per parlare con gli yugoslavi ho utilizzato un sistema molto leggero, qualcosa che può girare anche sui computer più arretrati. Ho scelto Irc (Internet Relay Chat), utilizzando Mirc, un software gratuito che si scarica dalla rete. Una volta connessi, si lancia il programma, si sceglie un nickname (soprannome) e il punto di accesso a Irc più vicino, si digita il nome della chatroom prescelta (che qui si chiama "canale") e il gioco è fatto.

I canali attivi sono davvero infiniti, e chiunque può attivarne uno. Oltre a quelli proposti dal programma, si può andare a tentativi inserendo il nome per un canale e sperando che qualcun altro l’abbia già attivato.

Ho provato con "Serbia". Ci ho trovato una quarantina di persone, che stavano chattando in una lingua straniera, suppongo slava.

Non tutti i presenti, ovviamente, erano serbi, visto che molti altri come me dovevano aver avuto la stessa idea. Ma scoprire i serbi autentici non è stato poi così difficile. Cliccando sui vari nomi si possono vedere delle informazioni su chi sta chattando, tra cui l’indirizzo di posta elettronica inserito al momento di connettersi. Quelli con finale ".yu" (Yugoslavia), erano i miei obiettivi.

L’unico vero ostacolo è la lingua: non mi è restato che ricorrere all’esperanto di Internet, l’inglese. Prova e riprova con "do you speak english?", alla fine ce l’ho fatta.

Difficile trovare qualcuno sopra i 25 anni. Laggiù la diffusione di Internet è probabilmente agli inizi. La maggior parte dei presenti, ragazzi e ragazze, era di Belgrado.

La prima cosa che balzava agli occhi è che in questa piazza virtuale sembra che la guerra non esista. Se non avessi introdotto io l’argomento, a parte rari casi tutti sembravano interessati ad una normalissima conversazione: di dove sei, che lavoro fai, sei sposato e così via. Unica deviazione sull’argomento, in diversi casi, era: "Sono di Belgrado, la città sotto le bombe".

Alla domanda "Cosa ne pensi di questo conflitto?" la risposta è quasi sempre stata "Shit", merda.

Tutti sembravano avere le idee molto chiare. "La Nato è una organizzazione terroristica. La Nato bombarda i civili. Nato uguale nazisti.".

La domanda che ho rivolto a tutti è: "Sai qualcosa dei rifugiati albanesi? In Albania continuano ad arrivare centinaia di migliaia di kossovari". Le risposte sono state all’incirca tutte uguali: "Sì, certo che lo so, scappano dalle bombe della Nato. La Nato li sta bombardando e nessuno rimane volentieri a prendersi le bombe".

"Guarda che quelli scappano dall’esercito serbo, i serbi stanno rastrellando l’intero Kossovo per cacciare gli albanesi. Stanno facendo pulizia etnica".

"Non è vero, l’esercito serbo sta difendendo gli albanesi del Kossovo dai terroristi dell’UCK, è per questo motivo che è stato mandato in Kossovo".

"A noi risulta che le milizie serbe spingano i kosovari in Albania strappando loro i documenti, per evitare che tornino indietro. Lo dicono i rifugiati durante le interviste".

"Raccontano così perché l’UCK li minaccia. Hanno paura di essere uccisi".

Un altro aveva un’opinione diversa, più raffinata, e pareva condividere, alla maniera sua, la pulizia etnica: "Arrivano in Albania senza documenti perché non li hanno mai avuti. Erano immigrati clandestini. Sono dieci anni che continuano ad entrare clandestinamente nel Kossovo degli albanesi. Non ne sapete qualcosa anche voi degli immigrati clandestini provenienti dall’Albania?".

"Ehi, ma guarda che qui stiamo parlando di proporzioni bibliche, di un milione di rifugiati, mica di qualche centinaia di persone!".

"Mi spieghi come cazzo fanno ad esserci un milione di rifugiati se nel 1990 il Kosovo aveva 250 mila abitanti?".

Una ragazza di 24 anni, di un paese fuori Belgrado, studentessa universitaria, pareva ragionare in maniera più indipendente dalla propaganda di Milosevic. All’inizio era partita come gli altri, sebbene con minore esaltazione. Ma di fronte alle mie argomentazioni ha risposto: "Questa cosa mi fa riflettere. Sono turbata. Sto pensando a quelle povere persone innocenti. Sono molto triste per loro. Se fosse vero quello che mi dici, sarebbe una cosa sconvolgente".

La domanda, rivoltami spesso, alla quale mi è stato più difficile rispondere è stata: "Perché la Nato ci bombarda?". D’accordo, sarò anche poco preparato come propagandista, ma certe argomentazioni mi hanno davvero messo in difficoltà.

"La Nato interviene per evitare il genocidio degli albanesi del Kosovo, per difendere i diritti umani" (lo so, detta così è banale, dieci anni fa mi sarei dato dell’imbecille).

"L’intervento della Nato è illegittimo. Interviene senza una risoluzione dell’ONU".

"Ok, è vero, non c’è una risoluzione dell’ONU, ma è stato Milosevic a scatenare questa guerra. Ha iniziato con la Slovenia, poi con la Croazia, poi con la Bosnia, ora col Kossovo. Qualcuno doveva pur fermarlo. Eppoi non ha voluto firmare gli accordi per l’autonomia del Kossovo, per rispettare i diritti umani degli albanesi".

"Ma che c’entra questa cosa? Queste sono questioni interne di uno Stato sovrano. Sono affari nostri. Qui non c’è uno Stato contro un altro Stato, come nel Golfo. Se si inizia a ragionare così, allora non ci sono più regole, tutti possono intervenire dappertutto. Eppoi perché nessuno ha detto niente quando mezzo milione di serbi hanno dovuto andarsene dalla Croazia?".

"Allora secondo te perché la Nato vi ha attaccato?".

"La Nato vuole espandersi ad est, questo è il motivo, altro che diritti umani, mi fai ridere".

"La Nato non ha mica bisogno della Serbia per espandersi ad est. C’è già la Polonia, l’Ungheria, la Repubblica Ceca. C’è la Turchia. E l’Albania".

"La Nato non può permettersi di avere spine nel fianco. Gli Usa vogliono accerchiare la Russia. Perché credi che la Russia stia con noi? Non crederai alla balla della fratellanza slava!".

"E degli altri governi europei cosa pensi? Sono tutti criminali?".

"Ma lo sanno tutti che l’Europa è succube degli americani! E’ per questo che hanno usato lo strumento della Nato, per incastrare gli europei. Gli europei, da soli, non sarebbero intervenuti".

Questa differenziazione delle posizioni all’interno della Nato pare molto spiccata, tra i serbi. Segno che la propaganda di Milosevic cerca di enfatizzare tutte le contraddizioni interne ai suoi avversari. E la posizione italiana appare come la più differenziata. Non so se dovrei andarne fiero o se vergognarmene. Alcuni, avendo visto che sono italiano, mi hanno contattato per primi. "Sei italiano?". "Sì".

"E’ vero che il governo sta cadendo perché quasi nessuno condivide la posizione Nato?".

"Ci sono delle difficoltà, ma per ora il governo sta in piedi".

"E’ vero che ci sono delle manifestazioni contro l’intervento Nato?".

"Sì, ma nessuno, mi pare, condivide quello che sta facendo Milosevic. Molti ritengono che la guerra non è lo strumento giusto per affrontare queste situazioni".

Qualcun altro mi sorprende: "D’Alema è un grande uomo, un vero statista, un uomo di pace!".

Nemmeno io ho mai dato un giudizio così lusinghiero su D’Alema. "Io lavoro per il partito di D’Alema, il partito ex comunista"- gli dico, cercando di fare un po’ d’amicizia.

"Sono onorato di parlare con te".

Ho lasciato perdere di dirgli che il suo giudizio su di me non corrisponde pienamente a verità.

La cosa che lasciava di stucco è che la totalità dei miei interlocutori non pensava affatto di essere dalla parte del carnefice, ma l’esatto contrario. Ogni discussione finiva con frasi del tipo: "Viva la pace. Viva Gandhi. Fate l’amore non la guerra".

La studentessa universitaria di 24 anni mi ha confessato che, da sempre, il suo sogno è venire a visitare il Trentino.

"Allora quando questa guerra sarà finita ti inviterò a casa mia. Io e mia moglie saremo felici di ospitarti. Restiamo amici".

"Restiamo amici".

"Al di là della guerra".

"La guerra è shit".

"Abbi cura di te. Ciao!". "Ciao!".