Stato sociale: Polo e Ulivo sono davvero diversi?
L'individualismo di questi anni ha contagiato anche la sinistra? Anche in Trentino?
II convegno tradizionalmente organizzato a Brentonico a fine estate dai gruppi cattolici della Rosa Bianca e della rivista "il Margine" ha quest'anno avuto come tema "La rabbia dei poveri sfida la politica. Destra e sinistra pari sono?" Argomento stimolante, che qui riprendiamo con Vincenzo Passerini (presidente della Rosa Bianca) e Walter Micheli, esponente storico della sinistra trentina.
Il convegno della Rosa Bianca sembra partire dalla sollecitazione rivolta dal card. Martini alla sinistra e al governo dell'Ulivo, le cui politiche sociali, a suo avviso, sono insufficienti. Ci sono anche state, in proposito, alcuni interventi, come quello comparso sul Manifesto, che metteva in guardia a non sostituire all'antica centralità della classe operaia, quella dei poveri: una categoria indistinta che rischia di portare verso la carità anziché verso la politica.
Passerini: Chiamiamoli come vogliamo, ma i poveri ci sono, ce ne sono due miliardi nel mondo. Le altre considerazioni -come la definizione di queste persone- mi sembrano secondarie. E i poveri li abbiamo anche in casa nostra, come i vari rapporti di questi anni ci ricordano.
La sollecitazione di Martini va al cuore della faccenda. Dice infatti: il bipolarismo italiano, in realtà, è finto, perché i due schieramenti tendono poi a convergere attorno alle ragioni individuali o di gruppo. In questo tipo di cultura imperante, chi ci rimette sono i perdenti, quelli che Martini chiama 'poveri '. La sinistra, in particolare, pretende di combinare l'individualismo etico con un solidarismo sociale e questo -dice Martini- è un atteggiamento schizofrenico che non può reggere.
Cosa intendi precisamente con 'individualismo etico'?
L'atteggiamento di chi trova in se stesso le ragioni dei propri comportamenti e non riconosce dei principi superiori, non necessariamente religiosi, che ispirino il suo agire. Pensiamo a certi atteggiamenti della sinistra sul fronte della bioetica o della famiglia. Quando si ritiene che l'individuo sia il metro di giudizio, non si può poi costruire una cultura politica che invece ha al suo centro le ragioni della collettività, della comprensione, della solidarietà, dei valori insomma.
Questi non sono solo discorsi di Martini: anche studiosi di scuola laica mettono in guardia al proposito. Una delle difficoltà della sinistra a darsi un 'identità consiste proprio in questa contraddizione. Siamo passati da una ideologia nella quale l'individuo veniva annullato, ad una assenza di ideologia collettiva dove invece l'individuo è sovrano.
Micheli: Dall'ultimo rapporto della Caritas, emerge che i poveri, gli ultimi della fila, sono i giovani, gli immigrati e gli anziani. Tutti costoro possiedono delle risorse importanti per lo sviluppo della società. Non possiamo permetterci di perdere il loro contributo, e in vista di questo occorre costruire delle prospettive politiche, alle quali la sinistra -in sede trentina, nazionale ed europea- deve dare un contributo. Non si deve pensare solo alla grande economia, lasciare la situazione in mano al mercato (chi vince vince, chi perde perde). Per gran parte di questo secolo le grandi ideologie han creduto di poter fare a meno del mercato; nell'ultimo ventennio, viceversa, la politica si è tirata indietro e ha pensato che bastasse avere un'economia che corresse per conto proprio. Abbiamo visto i nefasti risultati di entrambe queste scelte.
Sei anche tu d'accordo che nella sinistra ci sia questo individualismo dominante?
Micheli: La sinistra non è separata dal resto della società; oggi viviamo quella che Dossetti ha definito "la notte del noi ", cioè la perdita di quel senso comunitario entro il quale si equilibrano gli scompensi fra chi si trova in difficoltà e chi queste difficoltà ha superato. E allora fa piacere trovare, nel programma della socialdemocrazia tedesca, affermazioni come questa: "La famiglia deve dare amore, sicurezza, riconoscimento e calore". E' raro trovare in un programma elettorale dei concetti che, pur non prescindendo dall'aspetto economico, ci permettono però di ritrovare i valori, il senso dello stare assieme. E questo di fronte alla paura, al balbettare della sinistra italiana. Pensiamo all'immigrazione: la sinistra tedesca afferma senza mezzi termini che la Germania dev'essere aperta al mondo, disponibile all'integrazione dei concittadini stranieri che ci vivono. Perché non diciamo queste cose nel programma elettorale dell'Ulivo?
La paura della sinistra di esprimere in maniera piana queste posizioni, in modo da contrapporre una propria cultura a quella individualista e corporativa della destra, è pericolosa. Se non lo fa la sinistra, chi altro lo può fare?
Torniamo al convegno. Quali sono stati i punti salienti del dibattito?
Passerini: Anzitutto la non rinuncia al valore dell'uguaglianza, anche in un momento come l'attuale in cui questo valore è in difficoltà; come è già accaduto in passato, grandi fenomeni di disuguaglianza (la schiavitù, la sudditanza femminile...) sono stati superati solo perché c'è stata l'ostinazione a combatterli da parte di minoranze. Ancor oggi l'accesso all'università è spesso un privilegio riservato alle classi benestanti: il dato statistico si è ben poco modificato rispetto a trent'anni fà, quando Don Milani lanciava la sua protesta. Ricordo ancora la mancanza di politiche adeguate per l'immigrazione, un fenomeno originato dall'insopprimibile aspirazione degli uomini a migliorare la propria condizione, spostandosi là dove intravedono più possibilità.
Una seconda questione: la necessità di superare il modello assistenzialistico, passando da uno Stato sociale passivo, dove gli individui sono destinatari di interventi, a politiche sociali dove si richieda la compartecipazione degli interessati. Non più il cittadino che va a reclamare dei diritti presso l'ente pubblico, ma un'organizzazione che coinvolga le famiglie, attraverso l'aiuto reciproco, in collaborazione con l'ente pubblico. Queste esperienze stanno nascendo: si tratta di reti di famiglie che si uniscono per mettere insieme risorse di tempo, di competenza, di aiuto reciproco per affrontare taluni problemi. Lo Stato sociale come l'abbiamo fin qui inteso ha sì colmato grandi lacune, ma ha anche creato dei cittadini passivi. Il Trentino ne è un esempio clamoroso: nelle nostre comunità abbiamo distrutto responsabilità civili personali e creato dei cittadini questuanti abituati a muoversi lungo i corridoi degli assessorati.
Infine: nelle politiche sociali, in Trentino come nel resto d'Italia, ci si muove per compartimenti stagni, mentre spesso in un territorio circoscritto gli interventi su uno stesso individuo hanno bisogno di flessibilità e di integrazione. Sarebbe utile dunque cominciare a sperimentare forme di integrazione fra servizi diversi che invece oggi si muovono separatamente. Un problema del Trentino è proprio questo: abbiamo tante cooperative che lavorano nel sociale, ma ognuna per conto suo, con sovrapposizioni e mancanza di lavoro comune.
Micheli: La realtà trentina sarebbe un ottimo laboratorio per ovviare a queste carenze della sinistra: qui non ci sono quegli elementi quantitativi laceranti che creano difficoltà e tensioni. Non c 'è la massa di immigrati del sud italiano o della Francia. Non c'è la disgregazione sociale delle metropoli. Non abbiamo, in termini drammatici, la questione della disoccupazione giovanile. C'è dunque, più che altrove, la possibilità di programmare il futuro sulla base di quei valori. Dovrebbe essere questa l'ambizione della sinistra, e invece, proprio perché i problemi non sono traumatici, si tende a rinunciare a un progetto di quel tipo. L'occasione di un confronto elettorale dovrebbe essere particolarmente adatto, e invece si tende a rimuovere questa necessità: si preferisce lasciar perdere, anche per non scuotere le anime candide del moderatismo nostrano.
A cosa ti riferisci?
Micheli: Sono rimasto sconcertato quando, di fronte al letame con cui è stato ricoperto il campeggio dei nomadi a S. Michele, non ho visto una reazione forte e precisa da parte della cultura cattolica e della sinistra trentina e si è consentito alla Lega di esprimere il suo apprezzamento per quel gesto.
Mi indigno nel vedere -e qui non è questione di destra o di sinistra, è un fatto di sensibilità civile- che non si faccia nulla per impedire che tanta gente muoia in solitudine in una asettica stanza d'ospedale o di casa di riposo, anziché all'interno della propria famiglia: anche questo è un problema sociale enorme, è uno spartiacque di civiltà nella cultura di un popolo.
Passerini: Torna il discorso che facevo all'inizio: se le persone si fanno conquistare dall'idea che il senso della vita consiste unicamente nel badare a se stessi, è evidente che poi dentro la famiglia l'anziano diventa un peso da scaricare appena possibile. Nel momento in cui l'individuo si rende conto di aver dei doveri verso gli altri, allora il sacrificio, il peso di tenersi un malato, diventa una cosa naturale, per quanto impegnativa.
Micheli: La rimozione dell'idea della morte, dell'idea che c'è un principio e una fine è un qualcosa che va addirittura al di là della questione delle nuove povertà: di fronte a queste cose siamo tutti poveri. Intervenire su aspetti del genere è difficile in una realtà metropolitana, ma nella dimensione ancora governabile che caratterizza il Trentino, la sinistra potrebbe tentare qualcosa, trovandosi oltre tutto in sintonia con l'altra cultura portante della nostra società, quella cattolica.
Passerini: Voglio ricordare, in conclusione, che una delle questioni cruciali per affrontare seriamente le politiche sociali è l'istruzione. C'è un nesso inscindibile fra scarsità di istruzione e povertà. I poveri oggi sono soprattutto coloro che hanno meno istruzione: sono loro che faticano a trovare lavoro, che una volta espulsi dalla produzione più difficilmente vi rientrano, che addirittura stentano a capire i foglietti illustrativi dei medicinali...: è un problema che riguarda anche certe nostre valli, oggi ricche di reddito ma povere di istruzione e per questo a rischio di precipitare, domani, nella povertà.