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QT n. 5, maggio 2024 Servizi

“Trattare, trattare, trattare sempre…”

Il pensiero del segretario Cisl Michele Bezzi: in piazza solo in ultima istanza, il sindacato parli e ascolti di più.

La Cisl non c’era a Roma e la divisione del sindacato confederale dura ormai da tempo. Il perché lo abbiamo chiesto al suo segretario provinciale Michele Bezzi. Che ha risposto disegnando un mondo in cui il sindacato lascia all’orizzonte la partecipazione alle scelte politiche fondamentali della nostra società, riservandosi un ruolo di confronto con lo Stato, in quanto datore di lavoro, e con le imprese. Dove la trattativa diventa un assoluto, relegando la piazza e lo sciopero al livello delle categorie, ritenendoli una forma estrema di contrattazione. Come se la politica non competesse al sindacato e il suo ruolo fosse solo quello della gestione dei contratti.

Perché non avete aderito alla manifestazione di Roma: contro la “miseria” salariale italiana e le morti sul lavoro che hanno raggiunto numeri disperanti e vergognosi?

"Abbiamo fatto una manifestazione sabato 13 a chiusura di un percorso che riguardava la sicurezza sul lavoro. Prima assemblee sui luoghi di lavoro e, a conclusione, una manifestazione nazionale in un palazzetto per lasciare la parola ai delegati. Non c’è stata un’azione di sciopero. In questo momento riteniamo non ci siano le condizioni. Sarebbe comprensibile, e infatti la Cisl dopo la tragedia in Emilia ha fatto uno sciopero con un presidio. Ma ha poco senso uno sciopero generale. Quando succede una tragedia c’è l’emozione. E sull’onda dell’emozione sono le cose: aumentare i controlli ma oltre all’aspetto sanzionatorio va fatta un’azione preventiva. La fai coi controlli preventivi ma soprattutto con la formazione e lavorando per una cultura della sicurezza".

Sette morti alla centrale idroelettrica di Bargi. Nell’agosto scorso 5 operai uccisi da un treno mentre lavoravano nel Torinese. Ogni giorno 3 morti sul lavoro in Italia. Non in Francia, Germania, Spagna. In Italia tra appalti e subappalti non sappiamo nemmeno chi stia lavorando in un certo momento in un certo luogo. Se non ora, quando un’azione di forza?

Michele Bezzi

"Non siamo contrari allo strumento dello sciopero. È una delle armi più importanti in mano al sindacato, ma va usata adeguatamente. Si corre il rischio di svilire lo strumento. Oggi dobbiamo trovare, insieme, delle soluzioni. Si parla di 3 morti sul lavoro al giorno da noi, mille all’anno. E non calano. Una carneficina intollerabile per un Paese civile. Sull’onda dell’emozione fai lo sciopero. E dopo?"

Vedi cosa cambia. E semmai ne fai un altro.

"Serve invece un’azione culturale, di lungo periodo. Iniziando dalle scuole, dove trovi i futuri lavoratori e imprenditori: per una cultura della sicurezza. Dobbiamo far capire che la sicurezza è una cultura, non un costo. E può costituire un risparmio dal punto di vista economico. Ci sono nuove tecnologie per aiutarci a diminuire drasticamente gli infortuni sul lavoro: telecamere, sensori. Meno infortuni e meno malattie professionali delle quali si parla un po’ meno. Qui da noi abbiamo ancora morti per l’amianto, pensionati che muoiono in silenzio. Questa attenzione non si ottiene con la fermata del lavoro. È una questione di civiltà, non di contrapposizione tra lavoratore e imprenditore o il governo. L’obiettivo è comune. Ci vuole un percorso condiviso, regole, tecnologia e una forte azione formativa. Puntando sui rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. A quel punto, se la norma non è rispettata dal datore di lavoro, si dovrà imporglielo".

Negli ultimi 20 anni il salario medio dei lavoratori italiani è precipitato nelle classifiche europee. In Francia e in Germania guadagnano il 30% in più. Lei stesso conferma che più di 1000 lavoratori all’anno in Italia muoiono sul lavoro. E in tutto l’Occidente, negli ultimi 30 anni, i redditi non sono stati redistribuiti, dall’alto verso il basso, si sono concentrati invece in profitto e rendita. Questo non è il fallimento di un certo modo di fare sindacato?

"Fare trattative... il sindacato in questi anni ha contribuito a rinnovare molti contratti pur con molte contraddizioni. Vediamo la lentezza con cui si rinnovano i contratti nazionali. È forse una pecca che noi abbiamo: a scadenza un contratto va rinnovato".

Non riuscite ad imporvi.

"La società è cambiata, lo stesso lavoratore pensa che sia meglio andare a contrattare da solo il suo salario. Negli anni ’70 la partecipazione agli scioperi era molto buona, oggi dobbiamo accontentarci di adesioni più basse. Il sindacato deve cercare di capire le nuove esigenze dei lavoratori. I giovani non chiedono solo salario, chiedono anche tempo per conciliare la vita col lavoro. La trattativa è anche sui diritti. Come Cisl abbiamo lanciato questa proposta: partecipi alla vita di un’impresa non solo da un punto di vista economico, magari detenendo azioni della stessa, ma contribuendo all’organizzazione del lavoro, avendo un ruolo nelle scelte. Certo, la controparte dovrebbe essere conscia che la sua prima risorsa è il capitale umano. Che però va retribuito con giustizia. Oggi anche in Trentino c’è questa discussione sui salari e la perdita di potere d’acquisto a causa dell’inflazione. Noi con la Provincia abbiamo insistito per avere questi tavoli per discutere di salari. Con l’industria è più facile, ma se pensiamo al settore della pulizia, portierati, multiservizi... hanno salari più bassi e sono meno tutelati. Un esempio: molti lavoratori al tempo del Covid sono andati in fabbrica, lasciando il turismo. E poi non sono rientrati. Non potremmo rivedere la parte normativa nel settore turistico? Magari lavorare 5 giorni anche in stagione? Aiuterebbe a trovare nuovi lavoratori".

Non sarà che dopo vent’anni di trattative lo sciopero possa rappresentare la forma di pressione più efficace in mano ai lavoratori?

"La Cisl è andata in piazza. Anche con scelte scomode. Certo che se vai in piazza al sabato e non pesi sulle tasche dei lavoratori... ci siamo andati anche contro il governo. Il governo non ne ha avuto un danno e l’imprenditore ci guadagnava a pagare poche 'commesse', mentre le altre erano in piazza. Lo sciopero è l’ultima arma del sindacato. Dopo cosa fai? Va usato bene. Devo provare a stare al tavolo per trovare le soluzioni. Quando sia evidente che soluzioni non se ne trovano, lo sciopero è l’ultimo strumento che ho a disposizione. Scendere in piazza, animare lo scontro sociale, perché questo è di fatto lo sciopero, portare le persone ad arrabbiarsi, a scontrarsi in un momento così delicato dove è a rischio la coesione sociale nel nostro Paese, con l’instabilità globale del nostro pianeta, l’incertezza sul futuro, non va bene. Ci vuole responsabilità. Che non vuol dire dare ragione all’altro, ma cercare in tutte le maniere di trovare una soluzione. Il sindacato anche negli anni più bui della nostra Repubblica - sto pensando al terrorismo - ha avuto la capacità di canalizzare il confronto, non lasciandolo sfociare nella violenza. Dobbiamo tornare a quello spirito. Il sindacato dovrebbe parlare e ascoltare di più. E così dovrebbero fare gli imprenditori e la politica, ascoltare il lavoratore. L’obiettivo è comune, migliorare la nostra società. Due le strade: l’antagonismo o la ricerca di una mediazione che vada bene a tutti. Questo forse succede di più in altri Paesi europei. I lavoratori partecipano di più alla vita delle aziende. Quando va male e quando va bene. In Italia forse gli imprenditori quando le cose vanno bene cercano di non riconoscerlo anche ai lavoratori".

Tutto molto compartecipativo, ma se tu parti in una condizione di debolezza, rinunciando ai tuoi strumenti più contundenti, rimani con le parole in mano.

"Il sindacato deve pensare a 3 o 4 cose. Salute e sicurezza, reddito, tutela del posto di lavoro e la sua qualità. Cose che posso garantire solo con l’accesso alla formazione. Il tempo indeterminato è una cosa bella, ma quando c’è una crisi vengono mandati a casa anche i lavoratori a tempo indeterminato. Un passaggio forse non abbiamo fatto. Un lavoratore a tempo indeterminato accede ai mutui bancari per farsi la casa, quelli a tempo determinato no. Penso alle agenzie di somministrazione, persone che fanno 3 mesi da una parte e poi 3 dall’altra: hanno continuità di lavoro ma difficoltà a trovare una casa in affitto... la nostra riforma non è stata completa. Nel Nord Europa sono più abituati a riqualificare i lavoratori, li pagano per farlo, è una risorsa anche per la società. Piuttosto che darti il sussidio di disoccupazione per stare a casa. Queste sono le sfide del domani, per poter dare risposte anche ai giovani".

I giovani? Da tempo stanno andando via.

"Vanno via per il reddito, ma anche perché altrove hanno possibilità di crescita. Il sistema là ti offre servizi per la natalità, assistenza alla famiglia. Ridurre la questione solo al reddito vuol dire perdere di vista l’insieme. Per avere questo non è che devo combattere col mio datore di lavoro o con la maggioranza politica di turno. Devo creare un patto che coinvolga tutti: imprenditori, lavoratori, politica, giovani, anziani (anche per evitare lo scontro tra le generazioni). Dobbiamo puntare ad una maggiore coesione e per ottenerla serve parlare, parlare, ascoltare, mediare”.

Trattare trattare trattare…

"… fino a che ci si riesce. E non è facile. È più difficile stare ad un tavolo che andare in piazza".

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