Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 5, maggio 2024 Servizi

L’odissea dei richiedenti asilo

Stefano Bleggi, Graziella Facchinelli, Sara Ballardini, attiviste di LiberaLaParola

Tareq, Hamza, Saif, Mohammed, Hussain sono alcune delle persone che ogni martedì e venerdì incontriamo alla scuola di italiano “LiberaLaParola” e allo sportello di orientamento legale presso il Centro Sociale Bruno. Molte di loro partecipano da diversi mesi alle attività della scuola, altre sono da poco giunte in città dopo aver percorso il duro tragitto lungo le cosiddette rotte balcaniche. In questo periodo, la maggior parte di queste persone è originaria del Marocco e del Pakistan ed è accomunata da uno status legale e giuridico che limita, di fatto, l’accesso ad una serie di diritti fondamentali: tra tutti, quello dell’abitare. In quanto formalmente richiedenti asilo, infatti, avrebbero diritto ad un’accoglienza sicura e garantita, ma da mesi sono invece lasciati a vivere in accampamenti di fortuna sotto i ponti della nostra città e - come se non bastasse - vittime di frequenti sgomberi ad opera delle forze dell’ordine a cui non seguono soluzioni migliorative di nessun tipo.

Approfondendo brevemente la normativa italiana che regola l’accesso alle procedure di protezione internazionale e al sistema di accoglienza, si riscontra infatti che per queste persone sarebbero previsti “tempi brevi e congrui”, dai 3 ai 10 giorni massimo, per formalizzare l’istanza di asilo ed essere inseriti nel sistema di accoglienza, in quanto “privi di mezzi economici di sostentamento”. Ma le loro storie raccontano tutt’altra realtà: un labirinto rallentato e tortuoso che ogni persona migrante che arriva a Trento e cerca di formalizzare la richiesta di protezione internazionale si trova ad affrontare.

Dentro un labirinto in salita

Ripercorriamo il percorso della gran parte degli studenti che frequenta “LiberaLaParola”. Il primo passo lo hanno fatto prendendo, tramite l’applicazione web FilaVia, disponibile solo in lingua italiana, un appuntamento al Cinformi (anche se, da ottobre scorso, le persone possono recarsi al Cinformi senza appuntamento, mettendosi in coda e aspettando all'esterno, anche per interi pomeriggi). In questa prima tappa, un operatore ha illustrato loro i documenti necessari da presentare ed è stato fissato il primo appuntamento in Questura, disponibile all’incirca tra i 3 e 6 mesi successivi.

In totale, solo per mettere un piede all’ufficio immigrazione della Questura, senza avere la certezza di riuscire a formalizzare la richiesta di asilo, hanno aspettato quasi 6 mesi. Nel frattempo, privi di una rete sociale che li potesse ospitare, il secondo passo intrapreso è consistito nel rivolgersi allo “Sportello unico per l’accoglienza delle persone senza dimora”: qui hanno trovato una lunga lista di attesa, in quanto i posti di bassa soglia disponibili per richiedenti asilo sono solo 40 (di cui 26 alle ex scuole Bellesini che chiuderanno a fine giugno). In questo tempo di attesa, quindi, non è rimasta altra possibilità che quella di dormire sotto i ponti e negli anfratti della città.

Ma le trappole continuano: in questo periodo di vita in strada o di appoggio precario ai dormitori, avrebbero dovuto essere in grado di reperire la fatidica “houspity”, come viene chiamata colloquialmente dalle persone richiedenti asilo, ovvero la “dichiarazione di ospitalità”. Infatti, una volta arrivata alla seconda grande tappa dell’appuntamento in questura, all’ufficio immigrazione per procedere con la pratica è stata richiesta una “dichiarazione di ospitalità” rilasciata da un dormitorio oppure da un proprietario di casa. Va specificato che questa prassi adottata negli ultimi anni dalla Questura è totalmente illegittima, in quanto la norma europea ed italiana sull’accesso alla richiesta di asilo non riporta in alcun articolo la richiesta di questa documentazione aggiuntiva. Come può una persona arrivata in Italia in emergenza, a volte senza documenti con sé e che richiede asilo politico allo stato italiano, avere già un luogo sicuro dove legalmente domiciliare prima della formalizzazione della domanda d’asilo? I protagonisti di questo tortuoso gioco a tappe ci raccontano che alcuni loro connazionali hanno pagato fino a 300 euro sul mercato nero per ottenere una dichiarazione di ospitalità da presentare in Questura per formalizzare la domanda d’asilo. Ricordiamo che, in merito a queste prassi illegittime messe in atto dalla Questura, sono state già presentate diverse diffide da parte di avvocati e varie soluzioni temporanee sono state proposte dagli Enti del terzo settore, senza però grandi risultati finora.

Ad aggiungere ulteriore frustrazione e rallentamento al percorso di queste persone, sono da considerare i 60 giorni di attesa che devono intercorrere tra la domanda d’asilo e la possibilità di iscriversi al Centro per l’Impiego e/o di contrarre regolare contratto di lavoro, forzando le persone a una condizione di inattività lavorativa e di facile coinvolgimento in proposte di lavoro irregolare.

Il tutto appare come un gioco dell’oca, in cui nei tentativi di avanzamento queste persone rimangono impigliate tra ostacoli che ne rallentano e bloccano l’esistenza, il percorso di regolarizzazione e di accesso a possibilità di inclusione sociale. Mentre beviamo un tè caldo prima di iniziare le attività della scuola, sono tante le storie simili che ascoltiamo.

2018: l’anno di Salvini & Fugatti

Dal nostro osservatorio privilegiato ci siamo accorte che queste prassi arbitrarie si sono moltiplicate a seguito del primo “Decreto sicurezza” dell’ex ministro dell’interno Salvini e della (prima) vittoria alle elezioni provinciali di Fugatti. Il presidente della PAT ha iniziato il suo mandato smantellando il sistema di accoglienza diffusa, che allora ospitava circa 1.400 richiedenti asilo su tutto il territorio provinciale; riducendo progressivamente i posti letto disponibili per i richiedenti asilo; tagliando alcuni servizi essenziali (dalle scuole di italiano al supporto psicologico e legale, ai percorsi di inclusione socio-lavorativa) e, di conseguenza, tagliando anche posti di lavoro di professionisti preparati per facilitare l’inclusione dei migranti nelle nostre realtà cittadine e paesane.

Ancora, ha accentrato tutte le persone richiedenti asilo nei centri di accoglienza straordinaria del capoluogo (in primis, alla Residenza Fersina), mantenendo fede alla promessa di liberare le valli dalla loro presenza; ha imposto un limite numerico di circa 700 posti per richiedenti asilo, non considerando che il fenomeno migratorio è per sua natura flessibile e il sistema d’accoglienza dovrebbe tentare di rispondere a bisogni che possono cambiare nel corso dei mesi.

La propaganda si è abbattuta su tutte le nazionalità dei richiedenti asilo, ad eccezione delle persone in fuga dall’Ucraina che, come nel resto d’Europa, hanno avuto un trattamento diametralmente opposto. Fugatti ha poi reso opaca tutta la gestione dell’accoglienza: sul sito del Cinformi i dati del “cruscotto statistico accoglienza” sono rilasciati con il contagocce. Dall’aggiornamento dei dati disponibile al 31 marzo 2024 risultava che i posti per richiedenti asilo erano 730 e pare che non tutti fossero utilizzati (25 sarebbero stati quelli liberi), malgrado ci fossero in quella data persone lasciate in strada. Solo attraverso un'interrogazione provinciale del consigliere Paolo Zanella, proposta anche a seguito del decesso di Abdeljalil Bendaoud, il ragazzo morto di freddo in un vagone allo scalo merci di Verona lo scorso 10 dicembre dopo essere stato respinto dalle istituzioni locali, Fugatti si è deciso a rispondere e finalmente fornire i numeri reali.

Da richiedenti asilo a homeless

Dalla risposta di Fugatti all’interrogazione di Zanella emerge che nel corso del 2023 le persone che si sono rivolte al Cinformi per richiedere l’appuntamento in Questura per formalizzare la richiesta di asilo sono state 1.805. Di queste solo 633 (il 35%) sono state autorizzate dal Commissariato del Governo, ma solo 319 ( il 17%) sono state accolte nei centri di accoglienza locali. Perché? Semplice, lo scopo dichiarato di questa politica è la deterrenza. La giunta provinciale ne ha fatto una bandiera ideologica che ha avuto l’effetto di aggravare la situazione rendendo i richiedenti asilo dei “senza fissa dimora”. Alcuni di loro, esausti per le lungaggini, lasciano il territorio, mentre molti rimangono a dormire all’addiaccio e a gravare sui servizi di bassa soglia strutturati per altre tipologie di utenza. Non è un caso, infatti, che il numeri di pasti offerti ogni giorno dalla mensa del Punto di Incontro sia aumentato drasticamente: dai dati forniti dalla cooperativa che gestisce la mensa, nel 2022 i pasti serviti hanno avuto un incremento del 40% e il 2023 ha visto un ulteriore aumento del 50%.

E non è tutto. La politica di respingimento favorisce infatti anche lo sfruttamento lavorativo: le persone straniere, compresi i richiedenti asilo “invisibilizzati” ed esclusi dai minimi sostegni del circuito dell’accoglienza, sono estremamente comodi per ricoprire lavori saltuari e sottopagati funzionali al profitto di diversi settori, da quello agricolo fino a quello turistico-alberghiero. L’Agenzia del Lavoro, nel 38° Rapporto sull’occupazione in provincia di Trento, afferma che la “manodopera straniera dà un sostegno proattivo alla crescita dell’occupazione” e che questa nel 2021-2022 è risultata in crescita del 5,3%. “Nei dati amministrativi sull’occupazione dipendente, il peso della componente straniera sfiora il 16%” (nel comparto agricolo stagionale ben il 35,4%). E se l’accoglienza dei richiedenti asilo è in primis competenza di Provincia e Stato, la concentrazione di questi gruppi numerosi in strada a Trento ha obbligato anche il Comune ad attivarsi. Le risposte sono state utili, ma limitate ed emergenziali (pensiamo ai pochi posti letto aggiunti per i giorni di temperature invernali estreme), non certo coerenti con una città che ha scelto - tra le foto emblema del suo essere “capitale del volontariato” - quella di una persona che offre coperte e sollievo a chi è senza dimora.

L’intervento della Polizia presso le Albere

Lo sgombero dell’11 aprile scorso nel quartiere delle Albere e le successive dichiarazioni del sindaco hanno confermato che l’amministrazione comunale è ancora distante dal dare priorità a un intervento che davvero garantisca un luogo dignitoso in attesa dell’ingresso in accoglienza.

Le richieste inascoltate

Oltre all’ente gestore Centro Astalli, tra le reti sociali che hanno cercato di portare attenzione al tema c’è sicuramente l’Assemblea Antirazzista Trento: che ha organizzato, a dicembre e gennaio, alcuni presidi in piazza Dante e in via Belenzani insieme ai richiedenti asilo e che non ha mai smesso di chiedere soluzioni immediate e concrete. In particolare, l’Assemblea ha gestito dal basso per 45 giorni (dal 15 gennaio al 28 febbraio) un dormitorio di emergenza allestito in alcuni spazi comunali con 24 posti letto: qui ha potuto osservare da vicino gli effetti della vita in e di strada sullo stato di salute fisico e psicologico dei richiedenti asilo lasciati fuori dall’accoglienza.

Tra le patologie riscontrate in diverse persone, certificate dal personale sanitario del Pronto soccorso e dai medici volontari del GRIS, si sono registrati: un episodio sincopale dovuto al freddo (la persona in questione è stata trovata, difatti, incosciente all’esterno di un edificio); difficoltà respiratorie; grave infiammazione urinaria; forti dolori articolari dovuti all’esposizione prolungata alle basse temperature; malattie della pelle dovute all’impossibilità di accedere ad adeguate condizioni igieniche (docce, lavanderia, presenza di animali negli accampamenti informali come topi); infezioni da insetti (ad esempio da scabbia). Nella lista consegnata dai volontari alle istituzioni si legge di casi di ulcera ad una gamba a seguito di una ferita non trattata adeguatamente e di situazioni che necessitano sistemazioni adeguate per svolgere cure riabilitative per fratture e problemi di salute cronici. L’Assemblea Antirazzista ha anche messo in evidenza come il volontariato non può sopperire alle mancanze istituzionali: siamo al punto che gli enti gestori, impossibilitati ad assumere un numero congruo di personale, chiedono supporto alla rete solidale (ad esempio, nell’aiuto nei compiti ai minori, negli accompagnamenti in questura oppure a visite mediche).

Mentre scriviamo è tornato il freddo pungente e le richieste presentate nei mesi scorsi sono purtroppo ancora attuali: il ripristino della corretta procedura di accoglienza delle istanze di asilo, senza addurre una pretestuosa quota prefissata non prevista dalla legge; l’individuazione di una dignitosa situazione abitativa per tutte le persone richiedenti asilo lasciate fuori dall’accoglienza; l’individuazione di altre soluzioni abitative alla Residenza Fersina, già in difficoltà per ragioni di sovraffollamento; il ritorno, quindi, ad un sistema di accoglienza diffuso su tutto il territorio provinciale, lavorando in sinergia con le comunità locali così come è avvenuto per l’accoglienza degli ucraini; la realizzazione di un ostello pubblico per lavoratori e lavoratrici privi di alloggio, ovvero una struttura indipendente a cui si possa accedere pagando, ad un costo sostenibile, per i propri pernottamenti e non una struttura legata al datore di lavoro, prospettiva che, invece, creerebbe una situazione di totale dipendenza da quest’ultimo (fornendo il fianco a facili dinamiche di ricatto-sfruttamento).

Sulle migrazioni sono in atto politiche di discriminazione sociale che già si profilano anche per il resto della società. Lo stato di abbandono istituzionale in cui versa l’accoglienza trentina è rivendicato come un successo politico. In realtà questo modus operandi si sta progressivamente allargando ad altri servizi essenziali destinati ai cittadini italiani e trentini tutti: il tema della direzione intrapresa dalle politiche di welfare dovrebbe stare a cuore all'intera società trentina, perché se peggiorano le condizioni di vita di una parte della popolazione, peggioreranno pian piano le condizioni di tutte e tutti.

A rigor di logica, se non ci si arriva per un senso di giustizia sociale, ci si può arrivare almeno per egoismo: la metafora dei vasi comunicanti non funziona e togliere risorse e opportunità a qualcuno non implicherà mai un vantaggio per altri. Anzi, le vulnerabilità presenti si aggraveranno sempre più, riversandosi su tutto il territorio e su tutta la comunità.

Commenti (0)

Nessun commento.

Scrivi un commento

L'indirizzo e-mail non sarà pubblicato. Gli utenti registrati non devono inserire altre verifiche e possono modificare il proprio commento dopo averlo inserito.

Riporta il codice di 5 lettere minuscole scritto nell'immagine. Puoi generare un nuovo codice cliccando qui .

Attenzione: Questotrentino si riserva la facoltà di cancellare commenti inopportuni.