Scuola inclusiva o scuola etnica?
Le elezioni si avvicinano ?e la Svp torna a puntare ?sui contrasti fra i gruppi linguistici.
Strategia di “distrazione”.In ottobre ci sono le elezioni provinciali e come ogni cinque anni, la Svp cerca di suscitare contrasti etnici per convincere l’elettorato della necessità di votarla per “salvare l’Autonomia”. Questa volta il gioco è più difficile, perché il partito etnico si sta avvicinando a grandi passi al partito di governo, su cui vigeva fino a poco fa l’anatema. Già uno degli esponenti più invisi è diventato presidente della Commissione dei Sei, con la sua benevola astensione.
Ma la Svp non teme le contraddizioni. L’assessora comunale Svp di Bolzano, Johanna Ramoser, ha dunque lanciato l’allarme perché, secondo i suoi dati (non confermati dalla Provincia) nelle scuole tedesche di Bolzano la percentuale di bambini di lingua madre (o padre) tedesca è troppo bassa e la garanzia dell’apprendimento della lingua materna messa in dubbio dalla presenza di bambini di altra lingua, italiani o di origine migrante. Ha chiesto un test d’ingresso per italiani e stranieri. Dato che i giovani di lingua italiana non riescono a raggiungere una conoscenza adeguata del tedesco, molti genitori li mandano in quella tedesca. E così fanno anche molti migranti, che hanno capito l’importanza del bilinguismo.
Un fatto di cronaca ha acceso gli animi: un ragazzino di 12 anni è stato allontanato da una scuola di lingua tedesca perché non conosceva la lingua, e non la conoscevano neppure i suoi genitori. La notizia ha suscitato emozioni contrastanti: e se un bambino o una bambina non conosce neppure la lingua italiana, sta a casa? La destra nazionalista tedesca ha gridato alla “minoranza minacciata di estinzione” e dall’altra parte hanno protestato coloro che temono che tutti i bambini e le bambine migranti vadano nella scuola italiana. Entrambe le obiezioni partono dal presupposto che il plurilinguismo che caratterizza la società reale anche in Sudtirolo sia un impedimento. Si deve premettere che gli educatori e insegnanti che lavorano in scuole frequentate da bambini e bambine che parlano diverse lingue, si trovano d’accordo che ci sarebbe bisogno di maggiore sostegno finanziario e di più docenti di sostegno.
Ma molte scuole italiane e tedesche hanno sviluppato per conto loro una grande competenza nell’affrontare il problema di classi complesse, linguisticamente e culturalmente, senza trascurare di promuovere la conoscenza della lingua della scuola. E i risultati ci sono, come scrive un gruppo di insegnanti italiani e tedeschi della CGIL in una bella dichiarazione. Invece i partiti cavalcano la tigre: l’assessore alla scuola e segretario della Svp annuncia una normativa che applichi il test d’ingresso e che imponga ai genitori di dimostrare la conoscenza della lingua della scuola tedesca o impegnarsi a seguire corsi di lingua. Pena la non ammissione dei figli. Inoltre l’assessore Achammer ha detto che gli insegnanti non potranno parlare con i genitori altro che in tedesco. Un insegnante in pensione ha commentato ironicamente: e se il docente riceve l’indennità di bilinguismo, pagata per usare la seconda lingua, come potrà rifiutarsi di usarla? E se conosce l’inglese chi gli impedirà di parlarlo?
Sembra di essere tornati indietro di 40 anni, ai tempi dell’assessore Anton Zelger, che fece una lotta durissima contro anche i colleghi di giunta e le istituzioni scientifiche per boicottare l’insegnamento del tedesco nelle scuole di lingua italiana. “Più ci separeremo e più ci capiremo” era il suo famoso slogan che ha fatto da guida al modello separatista della società e delle scuole in Sudtirolo: tre, divise, senza alcun rapporto fra di loro.
In una lunga e interessante intervista sulla Neue Südtiroler Tageszeitung, Bruna Rauzi, per 16 anni sovrintendente scolastica, ha ripercorso la storia della lotta per riuscire ad adeguare l’insegnamento alla richiesta dei genitori che chiedevano che i figli avessero un’istruzione bilingue. Si dovettero superare divieti assurdi come gli orari diversi di entrata fra alunni di lingua diversa, muri fra scuole vicine, divieti di scambi fra classi, rifiuto dell’uso delle aule scolastiche per i figli di coppie miste, divieto delle innovazioni didattiche. Ci sono voluti decenni di ricorsi giudiziari per cambiare le cose.
La realtà è diversa
La ripresa di questo atteggiamento contrasta profondamente con la società reale e le richieste dei genitori, consapevoli degli enormi vantaggi per il futuro dati dalla conoscenza delle due lingue principali e gli enormi svantaggi per chi non le conosce.
Educatori e docenti sanno che molti bambini e giovani vivono nelle città altoatesine in una condizione di bilinguismo o di plurilinguismo: lingue asiatiche e africane a casa, italiano con gli amici e tedesco a scuola. Nei Kindergarten li sentono parlare di tutto, scambiandosi le parole e comunicando perfettamente se necessario anche con i gesti. Questo non è affatto un male, se la conoscenza di più lingue viene accettata e sfruttata come competenza, accompagnata, in un periodo della crescita in cui i bambini sono “come le spugne”.
A differenza degli insegnanti, troppi politici ancora non hanno capito che si può coltivare la lingua principale della scuola e mantenerne e acquisirne altre e soprattutto che imparare altre lingue migliora anche la prima, oltre a stimolare enormemente lo sviluppo cognitivo. Nelle nostre scuole, - ha detto il direttore del plesso scolastico di lingua tedesca Bozen/Europa con le scuole elementari Pestalozzi e Alexander Langer e la scuola media Albert Schweitzer in una zona popolare di Bolzano, - i bambini e le bambine parlano tre lingue, e molti ne parlano anche quattro o cinque. “Molti dei nostri studenti non sono di lingua tedesca. I genitori e i tutori legali vogliono che i figli imparino la lingua tedesca. Lo vedono come un valore per il futuro delle figlie e dei figli. Abbiamo scuole con una grande complessità linguistica ed è una sfida che ci poniamo ogni giorno”. Alcuni bambini non sono sostenuti dai genitori, ma ci si deve porre come obiettivo quello degli 8 anni di scuola, e solo alla fine guardare il risultato. E, sorpresa: ci sono genitori che portano i loro figli in quelle scuole, proprio per l’eterogeneità e la ricchezza di esperienze e conoscenza che i loro figli possono fare lì. Il direttore non conosce nessuno che se ne sia andato perché non imparava a sufficienza il tedesco. (L’assessora aveva sostenuto che ci sono genitori che portano i figli tedeschi nelle scuole dei paesi vicini in cui è garantita la maggioranza tedesca).
Pretendere dai genitori che seguano i figli è giustissimo, ma come ha insegnato don Milani, se la famiglia non riesce a supportarli, la scuola deve fare il proprio mestiere.
Mentre nelle istituzioni, ci si scalda per capire se l’articolo 19 dello Statuto, che garantisce il diritto alla scuola in lingua materna (e oggi forse dovrebbe essere anche quella paterna) escluda di per sé ogni apertura a esperienze di bilinguismo o plurilinguismo, centinaia di insegnanti fanno di necessità virtù, affrontando la realtà di una società che chiede che i giovani vengano istruiti ed educati in una scuola non ideologica, che non ignori la realtà o la sacrifichi sull’altare della politica etnica.
Che si tratti di ideologia, viene dimostrato dal fatto che le scuole private, riservate alle élite economiche, praticano l’insegnamento in più lingue senza timori di subire aggressioni da parte dei politici (che ci mandano i loro figli).
Questa polemica fatta scoppiare all’improvviso amareggia, e fa danni nell’opinione pubblica, ma si spera non duri: a fine ottobre sarà finita. Nel frattempo i genitori migranti spesso impegnati in lavori senza orario e mal pagati, cercheranno disperatamente di trovare il tempo di seguire i corsi di lingua, senza i quali dalla Provincia di Bolzano non riceveranno più gli assegni familiari per i figli. Un atteggiamento duro che contrasta con la comprensione riservata ad evasori e profittatori.
A chi piace la Meloni?
Forse è questo atteggiamento che spiega il risultato di un sondaggio fatto dal SWZ, giornale economico, sulla presidente del Consiglio italiano e il Sudtirolo. Secondo un’indagine della società Apollis, il 57% dei sudtirolesi trova il lavoro di Meloni soddisfacente, un consenso molto più alto che in altre regioni italiane. Il gruppo tedesco con il 62% e quello ladino con il 66%. Meloni piace “solo” al 50% dei sudtirolesi italiani. Il territorio più entusiasta è la Val Venosta, dove Meloni raccoglie l’80% di simpatie. Sono soprattutto uomini fra i 50 e i 64 anni, imprenditori e pensionati a dare i numeri più alti. Ma sulle scelte di trattare male i meno abbienti (cattiva sanità e cattiva scuola), di premiare i ricchi (poche o niente tasse e regalie a milioni), o di fare una politica della famiglia contro le donne, la Svp ha certamente molto in comune con la maggioranza che oggi governa l’Italia e con cui vuole governare dal prossimo autunno in provincia.
Hans Karl Peterlini, sudtirolese che insegna all’università di Klagenfurth, mette in guardia la classe politica sudtirolese dal sostenere un governo e un partito che già in pochi mesi riduce diritti di libertà, sostiene l’omofobia, fa una politica familiare reazionaria, colpisce i diritti dei rifugiati, accontentandosi che non si tocchi l’autonomia. Il politologo Günther Pallaver ricorda come gli esponenti della politica sudtirolese all’inizio del fascismo ne erano affascinati. “Se fossi italiano sarei fascista”, disse il parlamentare Friedrich Toggenburg nel 1921 al Corriere della Sera due settimane dopo l’assassinio del maestro Franz Innerhofer da parte di una squadraccia fascista, e il suo collega Wilhelm von Walther si aspettava dal fascismo “un’epoca di sano sviluppo per l’Italia”. La simpatia per la destra e l’odio per la sinistra, i cui partiti hanno reso possibile l’Autonomia, senza mai riceverne gratitudine, sono sempre le stesse.
Nell’intervista alla Taz, Bruna Rauzi cita il preside e storico della scuola Rainer Seberich che scrisse: “Una scuola che funziona solo secondo l’identità di un gruppo linguistico non può soddisfare le esigenze del mondo di oggi. La scuola piuttosto dovrebbe dare un contributo essenziale e irrinunciabile alla convivenza e alla collaborazione fra diversi gruppi linguistici”.
Il rifiuto della Svp di scuole pubbliche bilingui e plurilingui, mentre contemporaneamente sovvenziona fortemente quelle a pagamento riservate ai figli e alle figlie dell’élite economica dove si insegnano più lingue, ha il doppio scopo di mantenere l’incomprensione fra persone di lingua diversa (divide et impera) e di favorire una società divisa e diseguale per censo, nell’istruzione come già nella sanità.