Schlein, la strada giusta
Primarie del PD: gli elettori battono la burocrazia di partito e il conformismo dei politologi.
E’ ormai famosa la frase, sottolineata da un sorriso grande ed allusivo, con cui Elly Schlein ha commentato la vittoria: “Anche stavolta non ci hanno visto arrivare”. Non si sono accorti di noi, che pur siamo tanti.
Non è stata una rivendicazione, ma una constatazione. Per il ceto politico il milione di elettori al voto erano invisibili, alieni. Inesistenti. E non solo per i capicorrente del PD, per i quali la politica inizia e finisce dentro il piccolo recinto dei reciproci sgambetti e rapporti di forza. Ma anche per i quadri intermedi e poi giù giù, fino a influenzare i semplici iscritti.
E non è questione solo del PD: anche i politologi, che sempre concionano in base alle dinamiche del passato, non avevano visto niente. Neanche i sondaggisti, che forse i sondaggi non li fanno proprio, e sarebbe bastata una capatina dagli elettori pazientemente in fila ai gazebo, per capire che aria tirava. Neanche i commentatori del giorno dopo: impegnati a strologare sulle prossime alleanze – Conte forse, Calenda ni, Renzi no, Bonino boh – o a predire sventure per un partito improvvisamente – ohibò - di sinistra, mentre, si sa, si vince al centro (e con Meloni, come la mettiamo?).
Pochissimi a pensare che forse Elly Schlein abbia vinto perché si è rivolta a chi negli ultimi trent’anni non veniva proprio considerato. Non veniva visto. Chi chiedeva più uguaglianza e si è visto – unico in Europa – la paga falcidiata; chi aspirava a un lavoro dignitoso e ha visto esplodere quello precario (mentre l’ex segretario del PD, autore peraltro del famigerato Jobs Act, andava in Arabia Saudita a dire di invidiare la loro possibilità di utilizzare lo schiavismo); chi ai problemi ambientali ci crede, e se li è visti sempre agitare come fiorellini all’occhiello, sempre più appassiti. Chi da tutto questo conclude che la nostra società, la nostra convivenza, il nostro futuro, sono a rischio, ma non vede nessuno in alto loco preoccuparsene.
“Lavoro, clima/ambiente, disuguaglianze”. Questi i tre punti cardinali enunciati da Elly Schlein. Esattamente quello che i cittadini di cui sopra chiedevano. Non c’è da stupirsi che siano andati in massa ai gazebo. Né c’è da stupirsi, in fondo, che di fronte a questa nettezza (oggi da alcuni ribattezzata “massimalismo”) i capicorrente, e più in generale il circo del mondo politico nulla abbiano capito, rimanendo clamorosamente spiazzati. Loro, i superfurbi.
Per una volta tanto, finalmente, la vuota autoreferenzialità del mondo politico non è stata battuta dalla demagogia populista, destinata ogni volta ad essere riassorbita dalle vetuste logiche dell’establishment.
E’ stata bastonata da obiettivi propositivi che, se ben sviluppati, possono essere felicemente praticabili: il lavoro strutturato è più produttivo per una nazione che non voglia far concorrenza al Vietnam; le politiche ambientali possono essere generatrici di nuova economia, benessere, tecnologia; la società meno diseguale è più armonica e quindi efficiente di quella divisa tra ricchi, miserabili, e guardie del corpo.
Certo, per praticare tutto questo occorrerà battere non solo le resistenze dell’ampia parte sclerotica e irrecuperabile del ceto politico, ma anche saper affrontare vasti parassitismi e incrostazioni sociali. Occorrerà quindi saper convincere.
Non sarà certamente facile, ma finalmente la strada giusta è stata individuata.