APPA: le cose non funzionano proprio
Per i controlli ambientali la normativa ci sarebbe, ma la Provincia fa melina.
Che in Trentino APPA (Agenzia Provinciale per l’Ambiente) non possa svolgere in autonomia e bene il proprio lavoro lo abbiamo denunciato già nel lontano 2014 (QT di giugno: “Ambiente, i peggiori d’Italia”). Il peccato originale, scrivevamo, che toglie ad APPA la necessaria “autonomia” sta proprio nella nostra “Autonomia”, o meglio, in un pessimo uso della stessa. La legge italiana n°61 del 1994, quella che di fatto ha istituito il sistema nazionale di protezione ambientale, stabilisce che: “Le Agenzie regionali e provinciali hanno autonomia tecnico-giuridica, amministrativa, contabile e sono poste sotto la vigilanza della presidenza della giunta provinciale o regionale”.
Ecco le due parole chiave: autonomia e vigilanza. Sempre nell’articolo del 2014 ci chiedevamo: ma autonomia da chi? Dalle Giunte, appunto, ossia dal potere esecutivo e dalla sua struttura. Disposizione sacrosanta, evidentemente: come si fa a controllare (e a denunciare, se del caso) gli stessi soggetti che poi magari finanziano la campagna elettorale del presidente e dei suoi assessori o gli garantiscono in altro modo i voti?
Venendo ad anni più recenti, con un certo sconcerto dobbiamo prendere atto che al peccato originale dell’APPA, ne sono seguiti altri, con conseguenze altrettanto dannose.
La Comunità Europea, a cui - non dimentichiamolo - va il merito di avere spinto gli stati membri ad attivarsi seriamente sui temi ambientali, con una specifica Direttiva aveva dato nel 2010 precise indicazioni sulla necessità di attuare una netta distinzione tra chi si occupa del rilascio delle autorizzazioni e chi invece effettua le verifiche e le ispezioni sul campo. Così facendo aveva trasformato in legge ciò che di fatto è una buona pratica, di cui è facile comprendere le ragioni. E’ preferibile che le persone che operano all’interno di un’agenzia occupandosi delle richieste di autorizzazioni e permessi ed avendo quindi continui e ripetuti contatti con il personale degli enti richiedenti non siano le stesse persone che organizzano le visite ispettive e si recano poi sul campo per effettuarle. La delicatezza delle mansioni svolte da chi opera a salvaguardia dell’ambiente impone questo tipo di accorgimenti. Una semplice telefonata di preavviso che informi che sarà effettuato un controllo basta a trasformare il medesimo in una pura formalità, vedi il caso, acclarato dalla magistratura, dei controlli all’Acciaieria di Borgo.
Nel 2014, anche se con alcuni anni di ritardo, l’Italia, in attuazione alla sopra citata Direttiva europea, ha provveduto ad identificare le due diverse autorità competenti, specificandone i rispettivi ambiti di competenza.
In ambito statale le autorizzazioni alle installazioni produttive vengono rilasciate dal Ministero dell’ambiente, mentre i controlli spettano all’Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA). A livello regionale invece le autorizzazioni spettano alle Regioni, e il controllo alle ARPA/ APPA. Così nel 2014 la Provincia Autonoma di Trento si è adeguata individuando l'ambito autorizzatorio nel Servizio Autorizzazioni e Valutazioni Ambientali (SAVA) e l'ambito di ispezione e controllo nell'Agenzia provinciale per la protezione dell'ambiente (APPA).
Tutto bene dunque? Non proprio. Nel 2020 (ed ecco che entra in campo Fugatti) con apposita delibera la PAT ha nuovamente fatto confluire in un unico settore le competenze autorizzatorie e di controllo in materia ambientale, in netto contrasto con la Direttiva Europea del 2010, con il Testo Unico Ambientale italiano e con le disposizioni indicate dalla stessa Provincia quando nel 1995 costituiva l’APPA.
A volere pensare bene si può immaginare che la scelta sia stata motivata da argomenti quali la razionalizzazione della struttura o l’ottimizzazione dell’utilizzo del personale o magari la necessità di una sua riduzione. Sono argomenti sempre graditi a chi si occupa di amministrazione e di costi. A volere pensare bene, però, spesso si sbaglia.
A volere pensare male bisogna invece porsi questa domanda: come è possibile che proprio nell’anno 2020 i controlli ambientali nei siti produttivi industriali (ossia i controlli in assoluto più importanti) si siano praticamente azzerati? La tabella che riportiamo nella pagina a destra lascia pochi dubbi in proposito.
Dai dati appare evidente come il numero degli interventi ispettivi sia rimasto costante negli anni 2015/2019, anni in cui le autorizzazioni e i controlli erano in capo a due organismi separati, per poi miseramente crollare nel 2020, anno dell’accorpamento (e risalire un pochino nel 2021, ma rimanendo sempre a livelli minimali).
Il sospetto che in realtà la tanto decantata riorganizzazione del 2020, nasconda obiettivi meno nobili di quelli ufficiali è assai forte. Possibile che, con circa 70 grossi siti produttivi presenti sul territorio provinciale, tutti a potenziale impatto ambientale importante, in un intero anno si esegua un solo controllo?
Goffa la risposta che la PAT fornisce ad una interrogazione del consigliere Degasperi in cui si invoca la pandemia come causa dei mancati controlli. La pandemia, che non ha affatto fermato le attività produttive, ma al più ne ha rallentato alcune, avrebbe però fermato, secondo la giunta Fugatti, i controlli.
Volta a confondere le idee, nascondendo la verità, un’altra risposta, in questo caso da parte dell’assessore Tonina, ad un’interrogazione della consigliera Coppola. Nel riportare i numeri delle ispezioni effettuate vengono incluse tutte assieme le varie tipologie di verifiche, mescolando quelle importanti (poche appunto) a tutte le altre, ossia, tanto per capirci, un controllo ad una canna fumaria a seguito di una lite tra vicini o lo scarico dei liquami fuoriuscenti da una stalla.Ci chiediamo se nella nostra povera Provincia valori come trasparenza, correttezza, difesa dell’interesse pubblico, rispetto delle norme, torneranno mai ad essere considerati tali.