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QT n. 1, gennaio 2022 Trentagiorni

Casse-Rurali: la rivolta contro il padre-padrone

Messo alla porta il dominus di Cassa Centrale Banca: forse la cooperazione conta ancora.

Mario Sartori, amministratore delegato di Cassa Centrale Banca, nonché direttore generale – in pratica padre-padrone – lascia la banca “per limiti di quiescenza”. Seguono parole di ringraziamento, “orgoglio per i brillanti traguardi”, “20 anni impegnativi e straordinari” e tutte le smancerie di un violento fine rapporto diplomatizzato per il pubblico.

In realtà Sartori è stato cacciato. La stessa data della cessazione degli incarichi, è indicativa: il 1° febbraio, quindi prima della presentazione del bilancio, ultimo e basilare compito che gli viene sottratto, a sottolineare la radicalità dell’atto. Perché non si tratta di una sfiducia, ma di una rivolta.

Mario Sartori, infatti, negli anni, grazie a indiscusse, straordinarie capacità, ha radicalmente trasformato Cassa Centrale Banca: da consorzio che forniva strumenti, consulenze, prodotti finanziari alle Casse Rurali trentine, ad azienda di livello sovraregionale, e poi in uno dei due gruppi di credito cooperativo nazionali, il sesto-settimo gruppo bancario italiano.

Mario Sartori

In questi ultimi passaggi ha stravolto l’impianto cooperativo (vedi “Casse Rurali: dove finirà la cooperazione?” su QT del novembre 2018 e “CCB è ora un grande gruppo nazionale. Ma è ancora cooperativo?” del novembre 2019). In pratica Cassa Centrale obbligava le banche cooperative del suo gruppo a sottoscrivere un “patto di coesione” subito ribattezzato “patto di dominio”: si riservava il potere di revocare e nominare membri dei cda delle Rurali a proprio piacimento, e questo non solo in banche in crisi e mal gestite, ma anche in banche in attivo. Un totale stravolgimento del concetto stesso di cooperazione: le Rurali erano ridotte a mere filiali di un gruppo nazionale. All’interno del quale peraltro, c’era una sola figura dominante: Mario Sartori appunto, contemporaneamente amministratore delegato e direttore generale.

Questa dinamica è stata vista malissimo nelle Casse Rurali: l’indispensabile razionalizzazione, il rafforzamento che diventava una perdita totale, di autonomia, identità, senso.

Sartori non si fermava. Costituito il gruppo nazionale, incominciava ad operare sulla grande scena bancaria. E qui sbagliava. Forse si credeva condottiero invincibile, di sicuro agiva da capitalista d’assalto. Si lanciava nell’acquisizione della pericolante Cassa di Risparmio di Genova.

Un’operazione che aveva un senso commerciale - Carige opera in un’area in cui Ccb non è presente – ma che si presentava come molto azzardata: i conti reali erano ballerini, le insidie legali molteplici, non certo a caso tutti i grandi gruppi se ne erano tenuti alla larga. Sartori invece entrava d’impeto nella partita, impiegando ingenti capitali. Poi si rendeva conto che probabilmente era meglio uscirne, ma l’uscita non era gratis.

Così perdeva non solo capitali, ma anche l’aura di invincibilità. Le Rurali si ribellavano. Per almeno tre motivi: per i soldi persi, per il ruolo cooperativo stravolto, perché sono fatte di uomini, che Sartori usava trattare a pesci in faccia.

Mario Sartori nella sua scalata si era accoppiato al presidente della Cassa di Trento, poi presidente di Cassa Centrale, infine presidente del gruppo nazionale: Giorgio Fracalossi. Il quale di Sartori era il complemento: dalle capacità tecniche ignote, ma dalle grandi doti comunicative, con i singoli, nelle assemblee, nelle elezioni. Dispensatore di ampi sorrisi e di convinte strette di mano, sa convincere, e soprattutto raccogliere simpatie e voti, nelle assemblee e nei cda. Insomma, i due si completavano a vicenda. Fino a qualche mese fa: annusata l’aria di bufera, Fracalossi, per non venirne travolto, si metteva a capeggiare la rivolta.

Che risultava molto più ampia del previsto. Infatti nel Consiglio di amministrazione di Ccb, le Rurali trentine contano solo per il 20%, ma riuscivano a trascinarsi dietro la maggioranza delle altre banche. A evidenziare che il malessere non era solo trentino, evidentemente Sartori aveva scontentato ed allarmato tutti.

Ora si tratterà di trovare una persona che lo sostituisca. Di sicuro non rivestirà il doppio ruolo di direttore generale ed amministratore delegato, anzi si parla di eliminare proprio la figura dell’Ad, per arrivare ad una gestione più condivisa. Non ne siamo sicuri, tuttavia vogliamo dare una lettura positiva di questa vicenda.

Forse ha vinto il senso, la cultura cooperativa. Quella delle banche vicine al territorio, alle persone. Speriamo che non sia troppo tardi.