Lettura di un paesaggio
Ezio Chini, La conca delle Giudicarie Esteriori. Itinerari fra arte e storia. Centro Studi Judicaria, 2021. Pp. 184.
Arte
Man mano che procede la lettura di questo lavoro recente di Ezio Chini, dove la cura dello storico dell’arte si affianca allo spirito del viandante, ci si accorge che la consapevolezza del paesaggio, del proprio paesaggio è anche frutto di opere che, come questa, aiutano a vederlo e a leggerne il sostrato storico attraverso molti segni, inclusi quelli apparentemente minori. E’ del resto un’opera che si inserisce e mette a frutto una tradizione di studi almeno bicentenaria su questa incantevole conca, arricchita nel secolo scorso da diversi libri, tra cui guide imprescindibili come quelle di Arturo Martini (1955) e di Aldo Gorfer (1975 e oltre). Senza dimenticare che fu lo stesso Chini ad avviare dal 1987 e proseguire negli anni lo studio approfondito delle opere d’arte nelle chiese delle Giudicarie Esteriori.
Nello specifico della storia dell’arte, la sua sintesi iniziale, discorsiva e priva di specialismi, seguita poi da puntuali osservazioni lungo le tappe del viaggio tra i tre territori del Lomaso, del Bleggio e del Banale, è quanto serve a mettere bene in luce il depositarsi nel corso dei secoli di interventi di artisti di cultura veneta ma soprattutto lombarda. Con una presenza esclusiva del Trentino occidentale: i pittori Baschenis, botteghe itineranti organizzate su base famigliare, provenienti dal bergamasco, che tra Quatto e Cinquecento”rallegrano” con la loro pittura luminosa le chiese di Dorsino, di Bono, e raggiungono “l’apice della maturità” nel Lomaso, in Santa Maria di Dasindo, nel 1538-40.
Ma vi sono luoghi che appaiono vocati al sacro fin da prima dell’era cristiana, come la pieve di San Lorenzo nel Lomaso, con reperti romani; altri, come Santa Croce del Bleggio, sede di culto sin dall’ottavo secolo, come dicono gli affreschi restaurati negli anni Novanta nella cripta. Sono solo due esempi di un territorio diffusamente segnato dai reperti di un’antica antropizzazione. Basti pensare ai siti archeologici, non solo a quello, divenuto quasi simbolico, delle palafitte
di Fiavè, ma anche al Monte San Martino di Lomaso, una fortezza-deposito di più di un ettaro (secoli V e VI d.c.) che si è cominciato ad indagare dal 2004 ed è ancora poco conosciuto.
Il libro ha il pregio di dare un’informazione aggiornata alle ultime, alcune anche recentissime operazioni di restauro e valorizzazione, e di accompagnarla con precisi riferimenti bibliografici.
A tale riguardo, il frequente recupero nel testo delle osservazioni apparse nel corso del tempo nelle diverse guide e studi sul territorio consente a Chini di storicizzare certe trasformazioni, alcune anche pesanti, subite dal paesaggio.
Cesare Battisti, nel 1909: ”Commiste alle costruzioni solide e nuove si vedono numerose case rusticane coi grandi tetti di paglia, di forma aguzza, con larghi ed ampi solai frastagliati da travature capricciose di legno, con terrazze, ponti, poggiuoli...”.
Aldo Gorfer, a proposito di Stenico, nel 1975: “Ha grandi case giudicariesi alcune delle quali ornate di finestre bifore e trifore, di loggiati, di androni, di portali, di ballatoi, di ponti. L’incendio del 19 agosto 1873, che distrusse 34 case e quelli, successivi, del 4 aprile 1909 e del maggio 1914, eliminarono i grandi, caratteristici tetti di paglia poggiati si fantasiose sovrastrutture lignee”. Oggi, di questi tetti di foggia unica in Trentino, rimangono solo alcuni documenti fotografici. Ma altri danni sono sopravvenuti, come in molti luoghi, nella recente epoca dell’ indisciplinata espansione edilizia.
Dall’ indagine sulle fonti bibliografiche emerge, tra l’altro, un’ interessante pagina della Statistica del Trentino di Agostino Perini del 1852, in cui si raccontano le origini delle Terme di Comano: nel 1807 uno dei contadini che usavano quelle sorgive per macerare la canapa si accorse che dopo alcune immersioni gli era passata la scabbia. Un prete di nome Mattei acquistò il fondo e lo mise a beneficio dei poveri dei comuni di Banale, Bleggio e Lomaso. Colpisce, tra l’altro, la presenza non isolata, in queste zone, di preti che con una schietta vocazione al progresso sociale (il benemerito don Guetti, ma anche don Lenzi), esercitata in chiave laica.
L’accompagnamento di immagini si avvale, qui e là, anche del contributo di due notevoli artisti che vivono nella zona, Gianluigi Rocca e Paolo Dalponte, e del resto documenta in più punti anche le opere lasciate da altri artisti giudicariesi del Novecento sul loro territorio: tra essi Carlo Donati, nelle chiese di Santa Croce, Vigo Lomaso, Bivedo e in Castel Campo (fra il 1911 e il 1931); e Carlo Sartori, alla Casa sociale di Godenzo (1957-60).