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Col pretesto della devozione

Croci, statue ed altri manufatti stanno alterando il profilo di molte montagne

La storia – sulla cui conclusione sarà la Regione Veneto a dire una parola definitiva – iniziò quando Papa Wojtyla decise di donare alla città di Roma una gigantesca (18 metri) croce astile. Ma in città non si trovò una sistemazione acconcia e l’opera fu acquistata dall’associazione religiosa “Fiat! Totus tuus”, che in un primo tempo pensò di installarla sul monte Baldo; poi cambiò idea e la destinò a Cortina, dove però non ne vollero sapere. E siamo ai giorni nostri, col monte Baldo nuovamente in predicato di ospitare il manufatto, operazione sostenuta dal comune di Malcesine (con 100.00 euro, pare), con la benedizione del Vaticano e della Curia veronese. All’operazione collaborerebbe la Pgp 2, una srl veronese che si occupa di “gestione, tutela e valorizzazione di opere d’arte nonché di sfruttamento dei diritti d’autore... compresa la commercializzazione di marchi, invenzioni e modelli ornamentali, il merchandising, la sponsorizzazione”.

Contrari: associazioni ambientaliste, CAI e SAT; ma anche Vita Trentina ha parole pesanti nei confronti del progetto, chiedendo “un po’ di chiarezza sull’uso delle croci, non solo in montagna, spesso segno di ostentazione più che di devozione. La montagna non può essere appaltata come è ora al consumismo più volgare, ad una monocultura degli eccessi che la svuota del suo significato e della sua stessa capacità di richiamo” (Sulla vicenda vedi anche l’intervento di un nostro lettore a p. 42).

Nulla di nuovo. “Le croci in vetta – scriveva Luigi Casanova nel 2013 - hanno poco più di un secolo. Nell’anno 1900 il papa Leone XIII inventò con sacro ardore un ‘omaggio a Dio’, chiedendo di imporre su venti montagne italiane dei monumenti religiosi. Prima di allora la montagna si frequentava certo anche pregando, ma con rispetto, con umiltà. Oggi, non ci si accontenta più di portare sulle vette simboli delicati, appena percepibili, inseriti come sono nel fragile contesto che li ospita.

Da vent’anni in qua sta accadendo di tutto. Belluno è dominata dalla croce del monte Serva, alta oltre 7 metri, ai piedi dell’Amiata si viene travolti da una croce alta 22 metri, sul monte Catria, in Umbria, svetta alta 10 metri una croce illuminata truccata da torre Eiffel. Fino al record: la croce del Tirolo, a St. Jakob in Haus, dove è in progetto una croce di 36 metri, con 19 di braccia; la si salirà in ascensore, ospiterà un museo e terrazze panoramiche. Ma sono nati anche i conflitti: sul Pizzo Badile (3.308 metri) nel 2005, in contrasto con la enorme croce, delle guide alpine giulive hanno portato un Buddha.

Tutto questo nel totale disprezzo di chi le montagne le percorre per ascoltarle, di chi ricerca silenzi, o vi legge il fraseggio della natura, dal movimento delle nuvole al soffio del vento. Le montagne non hanno bisogno di croci e cristi per invitarci a pregare: è sufficiente camminare osservando, e sorridendo. La montagna viene così privatizzata, o da singoli o da decisioni di associazioni e pubbliche amministrazioni. Avvenire, il quotidiano dei vescovi, ha dedicato al tema una intera pagina di riflessione, invitando i credenti alla sobrietà e al rispetto di chi pensa diversamente”.

Il business

C’è da aggiungere che col tempo l’installazione di croci sulle montagne ha assunto nuove caratteristiche: “Da che mondo è mondo ci sono luoghi percepiti come significativi per piccoli gruppi, popoli e intere civiltà: alberi sacri, pietre particolari e poi altari, templi, reliquie, cattedrali che diventano mete di pellegrinaggio, centri di mercati e città, luoghi simbolici che travalicano i secoli e le culture. Oggi sembra invece che occorra progettare a tavolino l’industria del sacro. Se ci sono gli ingredienti, il prodotto può funzionare. Prendi una cima poco conosciuta ma dallo splendido panorama, una statua abbastanza scadente che richiami qualcosa di religioso, una attenta campagna pubblicitaria, un po’ di Paolo Brosio (adeguatamente stipendiato per guidare i pellegrini) ed ecco 60.000 persone che raggiungono questo bizzarro ‘luogo sacro’. Ormai si sta perdendo qualsiasi tipo di fede, nel mettere sullo stesso piano la visita a un santuario e una camminata eno-gastronomica, una sosta in una chiesetta alpina con il nuovo tracciato di sci da fondo approntato per raggiungerla, la processione in occasione di qualche ricorrenza religiosa con la desmontegada de le caore. Quando non si sa a che santo votarsi per il turismo, si lancia il turismo dei santi”.

Questa nota di Piergiorgio Cattani introduceva la storia così raccontata da Casanova: “Passo Rolle è uno dei valichi dolomitici più desolati. Uno stupendo scenario pascolivo è stato stravolto dal caos urbanistico ed oggi l’intera area è un insieme privo di anima: edifici, alberghetti, l’imponente scuola della Guardia di Finanza e parcheggi lasciati nel disordine più assoluto. Al rilancio dell’area, perlomeno nel periodo estivo, ci ha pensato un privato, che ha saputo unire al proprio interesse valori religiosi. Costui ha portato in quota la statua del ‘Cristo pensante’ (motivo religioso presente nella cultura cattolica dei paesi dell’est) imponendolo ad una montagna fino a ieri libera da infrastrutture: il monte Castellazzo, quota 2.333. Su questa montagna, teatro della Grande Guerra, sono ancora visibili le trincee, le gallerie, i resti dei ricoveri dei soldati che per tre anni l’hanno abitata. Da lassù, guardando verso il basso, si legge la maestosità della foresta di Paneveggio e all’opposto la complessità e asperità della val Venegia, due luoghi simbolo del Parco di Paneveggio-Pale di San Martino. Alzando lo sguardo ci si trova circondati da gruppi delle Dolomiti mitici come il Latemar, l’imponente parete sud della Marmolada e le spettacolari torri delle Pale di San Martino. Non è solo perché il Castellazzo offre questi paesaggi che la zona è stata classificata Riserva integrale del Parco, ma anche perché rappresenta un luogo di memoria della guerra, perché ospita un gran numero di pernici bianche, perché è area di svernamento dei camosci. Improvvisamente, dal 2010 ad oggi, la montagna è stata invasa da oltre centomila persone, attirate da una croce e dalla statua di un Cristo. Pellegrinaggi organizzati, proposte di trekking religioso, un misticismo che lega Medjugorje a Czestochowa, sponsorizzati dalle APT delle valli di Fiemme e del Primiero hanno cambiato la funzione della montagna. Per poterci arrivare si sono scavati decine di sentieri, il pascolo è stato divelto, mentre le trincee ospitano i bisogni di quanti si trovano a soddisfare le proprie necessità fisiologiche. Quest’anno si sono contati 60.000 passaggi. E infatti il Parco ha autorizzato l’allargamento del sentiero. L’ideatore di questa iniziativa è un ex finanziere, Pino Dellasega, atleta della nazionale di orienteering, che incrementa la pensione organizzando il trekking. Gli sponsor sono numerosi, dalla Provincia di Trento alle APT di Fiemme e del Primiero, che sposano qualunque iniziativa basata sul turismo religioso, i comuni di Siror e Tonadico, che finalmente ottenevano una infrastruttura sul loro territorio. Poi religiosi che non avevano colto l’impatto sull’ambiente di tale iniziativa, e infine Annibale Salsa, allora presidente del CAI nazionale, troppo vicino alle sollecitazioni dei finanzieri. Fra le personalità protagoniste dell’impresa è impossibile trascurare Paolo Brosio. il nuovo mistico della religiosità italiana, contattato dall’APT di Fiemme, che nel 2010 era presente all’inaugurazione della statua e si ritrova come presenza fissa ogni anno, a fine giugno. Ovviamente ponendo attenzione alla gestione della sua agenzia di viaggi per Medjugorje, verso il ‘Cristo pensante’ e la Madonna della Piastraia. S ul posto, a quanto raccontano, si sono già verificate apparizioni: di San Michele Arcangelo e perfino della Madonna. Anche dei miracoli, ma su questi sono in corso indagini approfondite. Come è stata accolta nelle valli di Fiemme e Fassa l’operazione? Ovviamente in modo entusiasta dalle APT: il turismo della spiritualità e delle religioni sembra essere l’unico in attivo. Entusiasti anche gli operatori del Rolle: fino a due anni fa erano nella disperazione ed ora, perlomeno in estate, i problemi sono risolti. La realtà è che in poco tempo, grazie al trekking religioso, siamo ora in presenza di una montagna privatizzata, ridotta a pura mercificazione: altro che trekking rivolto alla ricerca delle fondamenta del vivere!”.

Dopo l’autentica devozione e la religione come business, non poteva mancare (ne abbiamo avuto in tempi recenti degli esempi illuminanti) la religione strumentalizzata dalla politica, come in questo esempio di sei anni fa proveniente dal Sudtirolo: “Il centenario della Grande Guerra non poteva passare esente da polemiche di stampo nazionalistico. Sono stati gli Schützen ad accendere un nuovo conflitto. A loro avviso le montagne devono ricordare i morti di parte austriaca, i Kaiserschützen e gli Alpenjäger. Così hanno preparato 70 croci, alte poco più di un metro e mezzo, che durante l’estate saranno messe in vetta alle montagne teatro dei combattimenti. A parte il discutibile uso che viene fatto delle montagne per imporre agli escursionisti una appartenenza religiosa e culturale, la proliferazione del fenomeno e la sfrontatezza delle dimensioni di alcuni di questi segni, con tale iniziativa si ritorna a dividere i morti della guerra. Si tratta di un gesto che divide fra caduti dalla parte giusta e da quella sbagliata, la riproposizione di uno sterile nazionalismo pantirolese”.

Nel corso dell’inevitabile dibattito sui social a proposito di una di queste storie, un intervento ironico, ma non privo di saggezza, ci suggerisce: “La croce è stata uno strumento di tortura: se Gesù fosse stato giustiziato al tempo della rivoluzione francese sulle cime delle montagne troveremmo delle ghigliottine...”.

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