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“La straordinaria vita di David Copperfield“

Dimenticatevi il libro. Un film di Armando Iannucci.

David Copperfield, ancora lui. Londra vittoriana: miserie, ingiustizie, gioie, alti e bassi, riscatto, lacrime di rabbia e di commozione. Insomma il pacchetto completo, ecco cosa ci si aspetta e ci si bea di rivedere ripetutamente al cinema, o nelle numerose serie tv. Invece no.

Già il titolo, “La vita straordinaria di David Copperfield”, allude ad una lettura diversa del romanzo di Charles Dickens. Quella di un’avventura continua, piena di personaggi, avvenimenti e sorprese, piuttosto che di tetraggine, patimenti e torti.

Si tradisce il romanzo, qualcuno storcerà il naso, ma il cinema lo fa sempre, perché niente regge la pagina scritta. Quindi è interessante che per questa riedizione si sia scelto un taglio originale, vitale, ironico, fedele nei caratteri ma decisamente antitradizionale.

Certo, le molte invenzioni e le libertà che si è preso il regista scozzese Armando Iannucci spiazzano parecchio, al punto che a tratti il film ricorda la sfrontatezza di “Moulin Rouge”! di Baz Luhrmann. A partire dal fatto che il nostro David è interpretato dall’attore britannico di origine indiana Dev Patel (quello di “Millionaire”). Ma poi è tutto il cast ad essere costituito da attori asiatici, africani, europei, liberamente mescolati per interpretare personaggi della più classica, bianca, società inglese ottocentesca. Un presupposto da intendere come precisa scelta concettuale: visto che il libro tratta di sentimenti, relazioni e caratteri dell’umanità, perché non mescolarla tutta l’umanità, ignorando colore e forma di occhi, capelli e pelle?

In questa chiave provocatoria si possono leggere anche altre scelte stilistiche del regista. A partire dell’incipit con il protagonista, adulto scrittore, che si racconta in una sala di teatro, proprio come faceva Dickens con le letture dei suoi testi. Ma ci sono anche flashback raccontati con videoproiezioni su pareti di legno o vele di battello. Per non parlare di una sequenza in interni, con personaggi raccolti in una stanza, fin quando le tende della finestra vengono strappate e con un improvviso movimento di macchina tutti si ritrovano catapultati in un vasto paesaggio naturale esterno.

Anche i personaggi del libro vedono accentuati i tratti più umoristici e bislacchi, finendo per apparire un po’ tutti come dei babbei mezzi suonati. Per primo il protagonista, con la sua ingenua, ineluttabile, insistita positività. E altrettanto i parenti, gli amici, i nemici, i buoni e i cattivi, tutti attraversati da un filo di simpatica demenza virata, secondo il caso, in ossessione, incoscienza, vaghezza, fatalismo, servilismo…

I veloci cambi di scena e i salti di scenari e circostanze danno poi una sensazione di dinamicità rutilante, una corsa continua da una situazione ad un’altra, da un decennio ad all’altro, attraverso scenari diversi, senza pensare troppo e senza tempo per indignarsi e compiangersi. Troppa energia ha la vita, troppe avventure, troppi rovesci e rinascite attendono i protagonisti per fermarsi a commiserarsi. Il male è endemico ed inevitabile ma non è il caso di dargli troppa importanza. La vitalità esistenziale lo spazza via ed è questa energia a far inevitabilmente trionfare l’umanità, la generosità, l’affetto, il sacrificio, il perdono, l’accoglienza, come valori morali, sociali e politici di Dickens.

Insomma un film le cui decise scelte, piacciano o no, non lasciano indifferenti.

Un film per tutti, ma forse anche più indicato a un pubblico giovane/adolescente che, in virtù di tante libertà stilistiche/interpretative, si può avvicinare a un testo imponente della letteratura ottocentesca con meno reverenza e timore.

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