Rossana Rossanda: borghese, comunista, democratica, garantista
Un profilo, personale e storico.
Rossana Rossanda: borghese, comunista, democratica, garantista. Questa la definizione che all’interno delle nostre mail, uno dei redattori ha dato di Rossanda, scomparsa in questi giorni, a 96 anni. Definirla un’intellettuale è infatti riduttivo, una politica pure, come forse non è produttivo e di sicuro è scontato seguirne lo sviluppo biografico, dalla nascita in Istria, alla guerra partigiana, al PCI, alla fondazione del Manifesto...
Chi scrive l’ha conosciuta, e la vuole ricordare partendo proprio da quelle quattro parole: Rossana Rossanda borghese, comunista, democratica, garantista.
Borghese
Sì, come stile sempre impeccabile, nell’incedere elegante, nel parlare pacato, nel parco muovere le mani. Borghese anche come stile di vita. Non tanto per le frequentazioni di salotti intellettuali, ma per le abitudini colte e raffinate: non andava in vacanza in un posto, se non era sicura che vi avrebbe trovato Le Monde Diplomatique. Eppure il suo stile, misurato ed autorevole, era lo stesso sia in un’intervista in tv, in un intervento in un congresso, che in uno scantinato, dove con austera grazia scendeva per parlare - e ascoltare - studenti ed operai. E non era accondiscendenza, non era demagogia; era un modo di essere, era la convinzione che quelli fossero i luoghi, quelle le persone con cui misurarsi per affrontare la realtà, quello il metodo per cercare di tramutare i grandi ideali in fatti concreti.
Comunista
È forse il dato essenziale. Almeno per me. Ricordo con quanta lucida passione spiegasse il suo slogan (utopistico?) di progetto per la scuola: “Quattro ore di studio, quattro di lavoro”. A iniziare dalla scuola, appunto, dagli studenti, per arrivare alla fabbrica e agli operai, e infine a tutti. Le differenze sociali aggredite ed annullate attraverso un balzo in avanti della società sulla strada dell’aggiornamento continuo, della conoscenza come base della convivenza, della democrazia (nelle ore di studio erano conteggiate quelle di partecipazione democratica). Quali sarebbero le differenze tra lavoratore manuale e dirigente, se entrambi dedicassero metà tempo al lavoro, e metà all’aggiornamento e alla partecipazione? In questo, grande era, o perlomeno sembrava, l’esempio della Cina maoista (che oggi le viene addebitato come vergognoso errore), dove tutti erano tenuti a due ore di lavoro manuale: Mao stesso andava a sbadilare in una diga presso Pechino. L’utopia, il comunismo con l’annullamento delle differenze, sembrava vicino: “La maturità del comunismo” era il titolo delle tesi attorno a cui con Lucio Magri agglutinò il gruppo del Manifesto.
Democratica
Oggi sembra un’antinomia irrisolvibile: non si può essere comunisti e al contempo democratici, gli esempi storici, da Stalin a Mao, a Cuba, alla Cambogia, tutti lo confermano, mettendo in un angolo altre esperienze, come quella di Gramsci ad esempio. Rossanda invece era autenticamente democratica: fino a farsi espellere dal Pci con gli altri del Manifesto proprio per aver condannato lo strame della democrazia perpetrato dall’Urss con l’invasione della Cecoslovacchia per soffocare la “Primavera di Praga”. Di più: quella di Rossanda era una democraticità strutturale, originata dalla convinzione che le idee, per svilupparsi, debbano confrontarsi possibilmente proprio con idee diverse. Ricordo un dibattito interno al Manifesto, in cui un tale si era messo ad andare del tutto fuori tema, mettendo in discussione in maniera per me un po’ bislacca, alcuni punti ritenuti acquisiti. “Non perdiamo tempo su questo - sbuffai sobillando altri ad interromperlo - andiamo avanti”.
“No - intervenne lei, con dolcezza - lasciatelo parlare, è un punto di vista diverso, interessante...”
Garantista
Nel senso vero, non in quello, in genere prevalente, per cui non ci sono mai colpevoli. Quest’ultima versione era quella propugnata dalla sinistra e dal Manifesto, forcaiolo con i nazi-fascisti (e si può capire), ma pelosamente innocentista all’estremo, con brigatisti, autonomisti, operai ecc: non erano mai colpevoli, le indagini sempre viziate, i processi una farsa. Rossanda ruppe fragorosamente questa che era vera omertà, con il famoso editoriale sulle Brigate Rosse appartenenti all’”album di famiglia”, eredi della cultura stalinista: quindi non certo innocenti incastrati dal potere, non “Brigate sedicenti rosse” e neanche “compagni che sbagliano”; ma colpevoli deviazioni derivanti però dal peggio del ceppo comunista, che andavano riconosciute e combattute come tali.