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QT n. 9, settembre 2020 Servizi

Cooperazione: il re travicello

Roberto Simoni è il nuovo presidente di Federcoop: la rivincita dell’oligarchia.

Un momento dell'assemblea

È stata limpida l’assemblea della Cooperazione trentina che a fine luglio ha eletto il nuovo presidente della Federazione: i ruoli in gioco, le forze in campo, erano chiarissimi. Fin dall’intervento del favorito, Roberto Simoni, presidente del Sait, candidato dai boss.

Un intervento inconsistente, che formalmente omaggiava, come d’uso, gli ideali cooperativi, ma in realtà, esplicitamente negava che nella cooperazione ci siano problemi, innanzitutto di democrazia e di rappresentanza: “I giornali parlano di ‘mettere i soci al centro’: ma i cooperatori siete voi, i presidenti. – diceva rivolendosi all’assemblea, formata appunto dai presidenti delle coop – Voi che siete legittimati dai soci”.

E così, con questa frase, in trenta secondi metteva al loro posto tutte le belle intenzioni scaturite da decine di convegni e anni di promesse programmatiche: la cooperazione non ha alcuna esigenza di far contare di più i soci, è una balla dei giornali.

Tono suadente, quello di Simoni, financo umile, da persona che si trova inaspettatamente, troppo inaspettatamente, a coprire un ruolo di primissimo piano. Eppure su un punto l’umiltà svaniva, il tono si faceva duro, aggressivo: “Non accetto che si dica che nella cooperazione ci sono posizioni di potere”.

Frase che è una colossale fesseria, eppure rivelatrice. Una fesseria perché un movimento che gestisce una parte rilevante del Pil trentino, dà il lavoro a decine di migliaia di dipendenti, coinvolge oltre centomila soci, giocoforza gestisce un rilevante potere; negarlo è grottesco, è come se il presidente degli Stati Uniti si mettesse a dire che non accetta che qualcuno parli della Casa Bianca come di un centro di potere.

Roberto Simoni

Ma la fesseria parla chiaro: l’umile Simoni mostra i denti quando si mette in discussione il ruolo degli immarcescibili boss che lo telecomandano. A riprova di ciò, quando da più parti si solleva il tema dei giovani che si trovano sbarrata ogni strada verso ruoli significativi, la chiusura è totale: “I giovani? Vanno accompagnati, il percorso per avere ruoli importanti parte da lontano, non possiamo mandarli allo sbaraglio”. Poverini, è bene che le poltrone rimangano in aeternum sotto le terga dei mammasantissima.

Un discorso chiarissimo. Roberto Simoni è il re travicello, sistemato al vertice perché nulla cambi.

Verrà attaccato, con inusitata durezza in un ambiente dove i pugnali si nascondono dietro la schiena, dall’ex presidente della Federazione (attualmente presidente degli allevatori) Mauro Fezzi: “Non votate Simoni, è del tutto inadeguato, è incoerente, in Rendena, dove lo conoscono, non lo hanno rieletto”.

Di fatto quella di Simoni era stata una scelta raffazzonata dell’ultima ora. Gli oligarchi avevano deciso di mettere al vertice uno di loro, Renato Dalpalù, ex presidente Sait, che già nel 2015 doveva succedere al sempiterno Diego Schelfi, ma era stato fulminato in vista del traguardo da una nostra inchiesta sulle sue responsabilità nel crack di BTD Cooperativa servizi. Ora Dalpalù veniva riproposto, ma lo spettro della BTD lo perseguita: poche settimane prima del voto veniva, in conseguenza dei suoi problemi giudiziari, sospeso dall’Albo dei Commercialisti, e diveniva inevitabilmente improponibile come presidente della Federazione. Si decideva quindi di ripiegare sul docile Simoni - che Dalpalù aveva piazzato al Sait - ottenendo in tal modo un duplice vantaggio: avere una marionetta alla presidenza, e al contempo liberare il posto al Sait per Dalpalù, altrimenti senza cariche e senza lavoro.

Ci scusiamo con i lettori per queste dietrologie su giri di poltrone: ma tali miserie, peraltro usuali in tanti luoghi dove si distribuiscono posti ben remunerati e di potere, purtroppo costituiscono le motivazioni vere di tali decisionidei vertici cooperativi, altrimenti incomprensibili: chi si farebbe mai guidare da un Simoni?

I perdenti

E le opposizioni?

Ci sono. Ma escono da una batosta, la dura sconfitta della presidenza Mattarei, su cui molto abbiamo scritto. Un po’ stordite, presentano due candidati, Andrea Girardi e Geremia Gios. Con l’obiettivo di portare Simoni al ballottaggio, e poi far convergere sul meglio piazzato i due elettorati. Ma non sono candidati all’altezza della difficile sfida con gli oligarchi.

Andrea Girardi

L’avv. Girardi si presenta molto male: un discorsetto di pochi minuti, in cui parla di sé, delle proprie competenze, e nulla dice sulla cooperazione e su suoi programmi. Si giustificherà adducendo una forte indisposizione che lo avrebbe angustiato per tutta la notte e ancora in mattinata, ma accidenti, uno straccio di foglietto con su quattro idee avrebbe ben potuto averlo! Si dimostra un cacciatore di poltrone, un tecnico del diritto con scarse competenze politiche e nulle cooperative, che può passare dalla presidenza dell’Autostrada al commissariamento della Cantina LaVis, alla candidatura in Consiglio provinciale, senza far danni, ma anche senza portare nulla di nuovo.

Geremia Gios invece fa un discorso alto. Sul senso della cooperazione: occorre “mettere insieme capitale e uomo”, elementi “che possono essere contrapposti, e allora la soluzione è la partecipazione dei soci, e al loro interno dei giovani”.

Sul crinale stretto in cui essa si muove: “Il modello cooperativo può prendere dal mercato e dalla sua organizzazione gerarchica, ma deve addomesticarne le durezze attraverso l’identificazione del proprio destino con quello della propria comunità” – Sulle distorsioni in atto ad opera dei “professionisti dei cda”.

Insomma, una bella lezione, e comunque stimoli sempre interessanti dal professore di economia; che però come candidato non è pienamente credibile: all’ultima tornata elettorale provinciale si era troppo speso per venire cooptato in uno o nell’altro degli schieramenti.

Così al voto Simoni – grazie a un centinaio di voti dei consorzi e delle società di sistema, che non rappresentano i soci, ma sono direttamente gestiti dagli oligarchi – riesce ad avere, sia pur di poco, la maggioranza assoluta. I boss, molto tesi durante lo spoglio, esultano.

I problemi restano

Geremia Gios

Il fatto è che i problemi aperti, e che rischiano di incancrenire, sono tanti. A iniziare dal credito dove, con le modalità brutalmente accentratrici con cui viene realizzato il gruppo unico Cassa Centrale, le Casse Rurali rischiano di essere annullate attraverso un’interminabile serie di fusioni, con i presidenti ridotti a direttori di filiali, e i soci a scomparire. È un settore in cui c’è grandissima fibrillazione; ma il percorso intrapreso sembra difficilmente reversibile.

Altro punto dolente sono i giovani. In una realtà dominata da oligarchi imbullonati alle poltrone, che via via eliminano il vincolo del tetto dei tre mandati, che frenano per natura e per cultura ogni innovazione, i giovani si rendono conto di avere poco spazio. In diversi (Luca Riccadonna, Nadia Pedot, Sara Ghezzer) lo hanno rivendicato: gli è stata chiusa la porta in faccia, non gli è stato neanche concesso un posticino in cda, come a suo tempo avrebbero fatto i ben più accorti dorotei.

Come mai un comportamento così poco lungimirante? Perché i 22 posti in cda sono risultati addirittura insufficienti per soddisfare tutti gli appetiti solleticati nel clientelare accaparramento dei voti.

I giovani, più che chiedere posti in quanto appunto giovani, dovranno farsi strada, con il lavoro e con le idee nelle cooperative; anche se pure lì sono bloccati dalle presidenze infinite, ormai di fatto senza limiti al numero dei mandati. E allora?

Si sente parlare di venti scissionisti. E l’ipotesi non è del tutto peregrina. È vero che una cooperazione frammentata perderebbe peso politico, è però altrettanto vero che a Bolzano le centrali cooperative sono più d’una, e il sistema funziona.

Forse però ci potrebbero essere altre strade.

Stiamo portando avanti una serie di ragionamenti, che non nascono adesso – ci dice Marina Mattarei, tutt’altro che domata - Da anni si cerca la riforma dall’interno, ora dopo quanto accaduto, più che organizzare una scissione si deve elaborare un pensiero: su un modello cooperativo, economico e teorico, alternativo, su come la mutualità possa oggi essere attualizzata; ci sono esperienze all’estero da studiare, su come far marciare i valori dentro l’economia odierna. Su questo ora stiamo lavorando, con Gios e una decina di persone”.

Ricordiamolo: nella pur infelice assemblea del 31 luglio i voti delle cooperative – senza le società di sistema – sono andati in maggioranza contro Simoni e gli oligarchi. Pur in presenza di un’opposizione inadeguata.

Forse non è utopistico pensare che un suo rafforzamento – teorico, organizzativo, generazionale – possa finalmente portare in tempi ragionevoli al definitivo pensionamento della nomenklatura.