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QT n. 11, novembre 2020 Trentagiorni

Sait, un posto per l’oligarca?

Come in un gioco di bussolotti Dalpalù ritorna alla presidenza del Sait, e così il limite dei tre mandati diventa una burletta

Sembra non arrestarsi la riduzione della cooperazione a “cosa loro” da parte di un gruppo di inamovibili oligarchi. A fine giugno abbiamo visto l’elezione a presidente della Federazione di “re travicello” Roberto Simoni. Quando Renato Dalpalù, uno degli oligarchi che contano, aveva esauriti i tre mandati alla presidenza di Sait, vi aveva piazzato il docile Simoni, con l’idea di promuoversi passando alla presidenza della Federazione. In questa mossa era stato stoppato dall’ombra che su di lui grava per il fallimento della BTD Cooperativa Servizi (vedi “Dalpalù e la BTD” su QT del maggio 2015): nel pieno della corsa per la presidenza Federcoop era stato stoppato dalla sospensione per 18 mesi, come effetto del caso BTD, dall’Albo dei Commercialisti, e non si poteva pensare che chi non può fare il commercialista possa invece fare senza problemi il presidente di tutte le cooperative. Dalpalù e i boss avevano quindi ripiegato su Roberto Simoni.

Con un duplice scopo: mettere un re travicello a capo dell’organizzazione, e liberare la presidenza del Sait per un ritorno di Dalpalù, altrimenti disoccupato.

La prima fase dell’operazione riusciva: grazie alla scarsa consistenza degli oppositori e al peso che hanno nel voto le società di sistema (servizi informatici, Cooperfidi ecc non sono vere e proprie cooperative, con una base sociale, e sono elettoralmente nelle mani dei boss), Simoni riusciva ad essere eletto.

Renato Dalpalù con Luca Picciarelli

Ora siamo alla seconda fase. Come in un gioco di bussolotti Dalpalù ritorna alla presidenza del Sait. Con il limite dei tre mandati che diventa una burletta: ha messo sulla poltrona un segnaposto, e poi ritorna. E anche il discorso del rigore etico va a farsi friggere: Dalpalù non era presentabile per la presidenza di Federcoop, non si vede perché dovrebbe esserlo per Sait. Cosa vuol dire, che in Sait chiudono un occhio?

Poi c’è una questione di merito. Nei nove anni della gestione Dalpalù, Sait e famiglie cooperative hanno continuato a perdere quote di mercato; Sait ha dissipato ingenti capitali in strampalate operazioni immobiliari; ha costruito una nuova “moderna” sede, troppo grande e troppo costosa. Tutto questo si è riversato sulla tenuta del consorzio stesso: diverse cooperative, stufe anche della conduzione autoritaria di Dal Palù, se ne sono uscite, andando nel concorrente consorzio Dao (“dove hanno problemi economici” dicono gli uomini di Dalpalù, ma non è vero).

A dire il vero Dalpalù ha anche delle ragioni dalla sua. Ha chiamato direttore del Sait Luca Picciarelli. Un manager, non un cooperatore. E Picciarelli ha fatto il manager duro: ha ridotto di brutto gli organici del Sait, probabilmente sovradimensionati da anni di politiche clientelari, ha imposto alle Famiglie cooperative un generale abbassamento dei prezzi, ha rivisto tutta la politica delle forniture, gestita molto alla buona. Insomma, un mix di durezza e di efficienza. La ricetta è risultata amara, ma efficace, ora le FC hanno, a differenza di prima, prezzi competitivi.

Tutto questo però comporta un risvolto strategico: in cosa le Famiglie cooperative si differenziano dagli altri supermercati? A Picciarelli questo non interessa, non è il suo mondo.

Il presidente del consorzio però dovrebbe avere questa stella polare: coniugare cooperazione e mutualità. Dalpalù ormai, dopo tanti anni lo si conosce: a lui interessa solo la poltrona. Ma è un gioco rischioso: diverse Famiglie Cooperative sono a disagio in questa situazione, e minacciano di uscire, il che sarebbe un disastro: il Sait, con gli “investimenti” fatti, ha bisogno di una base sociale ampia, se si riduce torna ad avere problemi a far quadrare i conti.

Finora ha aiutato il Covid: durante il lockdown sono aumentate le vendite di tutti i supermercati, e in estate i centri turistici hanno visto riempirsi come non mai le seconde case, di persone che la spesa la facevano nelle Famiglie Cooperative.

Ma il Covid finirà, e i problemi restano tutti sul tavolo.

A contrastare Dalpalù è sceso in campo Aldo Marzari, presidente della Famiglia cooperativa di Vattaro e Altipiani. Gli chiediamo il senso di questa sua candidtura: “Sistemata la parte economica cui era indispensabile mettere mano, anche se forse si potevano evitare delle azioni troppo traumaticche con i dipendenti, bisogna ora valorizzare non solo le FC ma anche i punti vendita di Sait e pure Superstore, ma caratterizzandoli attraverso il legame con il territorio. Questo è il punto fondamentale. Poi nelle FC se vogliamo che siano punti di socialità occorre che stiano in piedi, però il rapporto con la gente, le produzioni locali, il riconoscimento delle esigenze, questo deve essere primario. Non è un caso che gli stessi nostri concorrenti cerchino di pubblicizzare al massimo le iniziative che fanno in questo ambito. E noi possiamo farlo meglio, proprio sfruttando la caratteristica cooperativa del rapporto con la gente del luogo, che ne vive i temi. Certo, per portare avanti questo discorso occorrono energie fresche, questo è il senso della mia candidtura”.